Capitolo Tre. Riunione di famiglia che non è famiglia

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CAPITOLO TRE

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CAPITOLO TRE. RIUNIONE DI FAMIGLIA CHE NON È FAMIGLIA

L'ACQUAZZONE SI ERA INFINE ACQUIETATO e, celato dalle nuvole plumbee che ancora si soffermavano nel cielo cereo, il sole si stava ormai dissolvendo all'orizzonte.

L'ala destra della doppia scalinata si affacciava proprio a sud-ovest e Oneiron Kairos – ora Cairns – si soffermò un istante davanti alla vetrata smerigliata del pianerottolo per ammirare il proprio riflesso falsato, appena distinguibile tra le sfumature confuse, sanguinolente, del tramonto.

Le labbra secche e arrossate, sempre inclini a un ghigno sarcastico o malizioso – a seconda dell'occasione – erano ora tese in una linea rigida e inespressiva e gli occhi eterocromatici guizzavano da una parte all'altra, simili a due passeri in gabbia, lucidi di febbre. Tirò su con il lungo naso greco, pregando chiunque ci fosse Lassù – sempre che ci fosse qualcuno, bien entendu(1) – perché non la tirassero troppo per le lunghe e lo lasciassero tornare alle sue stanze alla svelta. E, una volta lì... cosa? Dubitava fortemente di trovare la propria scorta di cristalli dove l'aveva lasciata, specie dopo che la sorella glieli aveva spazzati da sotto il naso a quel modo, nemmeno tre ore prima. "È davvero passato così poco, poi? Mi sembra essere trascorso un secolo."

«Signorino, vi attendono» gli ricordò Nicolina, non senza una certa premura, affiancata dalla silenziosa compagna. La cameriera più anziana si teneva a debita distanza da lui e, le poche volte in cui i suoi occhi neri si erano fissati nei suoi, era stato solo per meri secondi e con sguardo disinteressato; a Oneiron scappò da ridere.
"Mi sono preso la tua verginità, non fingere non sia accaduto", avrebbe voluto rinfacciarle, ma scoprì che, in fondo, non gliene importava granché. Se ora voleva fare la donna morigerata e negare le loro scappatelle quotidiane, buon per lei. Dopotutto, anche lui era passato oltre da un pezzo – e lei non era nemmeno questa gran cosa, a letto.

«Fate strada, signorine» beffeggiò una seconda volta, indicando con un ampio gesto del braccio magro di precederlo. Le due non sorrisero né accennarono un passo. "Décevant(2)."

Sospirò pesantemente e tornò a calpestare, scontroso, la moquette del ballatoio e il marmo levigato della scala.


La dimora dei Cairns si strutturava su quattro livelli – mansarda e cantine escluse

– al pian terreno si trovavano il vestibolo – sobriamente elegante, con un vasto guardaroba annesso, una specchiera a parete con intarsi in bronzo e una zampa d'elefante incisa nell'avorio come portaombrelli – e la lunga galleria con i ritratti degli antenati di Oban; la galleria si apriva sull'impressionante scala a doppia rampa in stile impero, considerata la colonna vertebrale della villa, in quanto proseguiva, intervallata da ariose balconate, per tutti i piani, dando l'impressione di sostenere la struttura stessa. Tra i due candidi scaloni marmorei, un'arcata sontuosamente elaborata dava il benvenuto al salone da ballo principale, con i suoi alti soffitti affrescati e i pavimenti tanto lucidi da riflettere la luce fiammeggiante dei candelabri

– il primo piano era suddiviso in sale da pranzo, salottini per il tè, cucine di rappresentanza – dove spesso i signori della casa si raccoglievano per spezzare il digiuno, al mattino –, cucine vere e proprie e un monumentale salone con un ricco affresco rappresentante il giorno e la notte, nota sede di discussioni culturali con gli aristocratici ivi ospitati nei fine settimana

– il secondo piano, invece, era stato pensato come zona giorno della famiglia, un'area privata e confortevole, con stanze adibite all'apprendimento delle arti e della musica, la ricca biblioteca – orgoglio personale di Lord David e Ophelia – e un'ampia sala da lettura, la destinazione finale di Oneiron e seguito. A differenza del resto della casa, il secondo piano non ostentava ricchezza – niente porcellane di Sassonia in bella mostra né tappezzerie in seta – ed era la parte preferita da tutti i suoi abitanti, nobili e non.

Il giovane Kairos, però, in quel momento era troppo teso e di malumore, per potersi godere il senso di famigliarità e sicurezza rilasciato da quegli ambienti composti, quasi sciatti nella loro essenziale comodità, e continuò a macinare terreno con i denti stretti e gli occhi bassi.


Entrò nel salottino con il corpo ricoperto di sudore e il cuore che gli sussurrava parole violente nelle orecchie, e si prese del tempo per recuperare una calma che non possedeva e sollevare lo sguardo sui presenti, su una famiglia che non era davvero famiglia.

Quella stanzetta dove aveva imparato a danzare il minuetto assieme a Irida non gli era mai parsa tanto soffocante né le finestre ad arco sul cui davanzale aveva dato il suo primo bacio mai così distanti e strette.

Nicolina e Mads chiusero silenziosamente la porta alle sue spalle, lasciandolo solo davanti ai volti muti dei presenti. Sorvolò quelli sollevati e stanchi di Petra e David Cairns e si concentrò sui tre più giovani. Si sentì cedere le ginocchia.

Eccole lì, le sue sorelle.
Irida, con la sua voglia a mezzaluna a tingerle di prugna metà del viso e le dita da musicista affondate nella seta chiara dei calzoni – i bordi ancora leggermente umidi per gli schizzi della pozzanghera; Ophelia, dall'aspetto fragile e le guance tanto arrossate sul viso color gesso che Oneiron non dubitò un singolo istante se le fosse pizzicate in uno dei suoi tic nervosi. Il suo corpo era interamente coperto – pantaloni e stivali al ginocchio, maglione aderente con il collo alto che le sfiorava il mento sottile e guanti in cuoio lunghi fino ai gomiti – e si teneva a debita distanza dal resto dei parenti, schiacciata nervosamente contro il poggiolo di uno dei divanetti.

E infine lei, Hamartia, altezzosa e in pieno controllo – in ogni senso possibile – con i tratti spigolosi, androgini, atteggiati in un'espressione rilassata e impenetrabile. Le emozioni erano tutte trattenute dalle iridi color ambra e il giovane si sentì accapponare la pelle per la loro intensità.
A differenza degli occhi delle altre due sorelle, i suoi non contenevano la minima traccia di amore, ma solo livore e risentimento e una dose alquanto fastidiosa di autocompiacimento. "Salope(3)", le sputò tacitamente contro, stringendo i pugni lungo i fianchi fino a farsi sbiancare le nocche.

Da ragazzino aveva giurato a se stesso di difenderla anche a costo della vita e badare a lei come un bravo cavaliere avrebbe fatto. Ci aveva seriamente provato, per un po', quando Hamartia era ancora prigioniera della serra e lui era talmente sgraziato nell'entrare nei sogni altrui, da causare loro un'apoplessia.

Le cose, però, erano cambiate quando tutto era andato a puttane, tre anni prima, e i quattro Kairos avevano siglato la fine del proprio affetto uccidendo il padre.

"Da quando lei ci ha detto di ammazzarlo."

*

(1) Ben inteso/Ovvio

(2) Deludente

(3) Stronza


Buonasera o buongiorno o whatever, qui è Mairin che vi parla, capitano di una nave che potrebbe affondare da un momento all'altro come navigare i mari Wattpadiani per molto tempo ancora. Vedremo come tira il vento. 

Perdonatemi la metafora bislacca (solitamente non pubblico a quest'ora - e per ovvie ragioni) e per non essermi mai fatta sentire su questa storia, ma non sono mai andata troppo d'accordo con gli "angoli autore".

Volevo solo ringraziarvi per il sostegno mostrato fino a ora, i voti e in particolar modo i commenti, i quali mi strappano sempre un sorriso e mi permettono di interagire con voi. Questo è un social, dopotutto!

E niente, volevo davvero solo ringraziarvi, quindi ora me ne vado.

À bientôt, ciurma

- M

Ps. Il capitolo è prettamente descrittivo, me ne rendo conto, e davvero davvero breve, ma spero sia stato lo stesso di vostro gradimento e di sentire che ne pensate.

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