Capitolo Sei. Caccia alle uova di Natale

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CAPITOLO SEI

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CAPITOLO SEI. CACCIA ALLE UOVA DI NATALE

Il passero dallo splendido piumaggio ambra e nocciola si posò con un frullio d'ali sulla spalla del piccolo Oneiron Kairos, il minuscolo capo rotondo inclinato da un lato mentre osservava la scacchiera per lui grande quanto una città. Avrebbe tanto voluto zampettare tra quelle pedine granitiche e demolirne il minuzioso ordine, ma la pallida ragazzina inginocchiata dirimpetto al bambino si sporse sul gioco per fare la sua mossa, i lisci capelli argentei tanto lunghi da sfiorare e raccogliersi in una pozza scolorita sulla lucida superficie in ciliegio del tavolino da caffè.

«Non puoi spostare la torre in diagonale, Elia» si lamentò il bambino, imbronciato, allungandosi a sua volta per rimetterla al suo posto.

«Chiudi il becco, è solo uno stupido gioco» replicò lei, lasciandoglielo però fare con un sorrisetto appena accennato sulle labbra incolori.

«Se non ti andava di giocarci con me, perché hai accettato?»

«Perché Ida sta frignando come una bambina ed è divertente farti i dispetti.»

«Anche tu piangi quando papà ti fa le punture, però» le fece notare il fratello minore e il viso di lei perse all'istante ogni traccia di divertimento.

«Chiudi il becco.» E questa volta il suo tono di voce aveva un che di pungente, velenoso. Oneiron abbassò immediatamente gli occhi cangianti e parve quasi ingobbirsi su se stesso, la spensieratezza infantile di poco prima del tutto sciacquata via.

Il passero artigliato alla sua spalla sbatté le palpebre un singolo istante, ma tanto bastò.

L'attimo seguente, infatti, il salottino da lettura della decrepita magione Kairos era scomparso, sostituito da un ambiente a lui conosciuto in maniera impalpabile e spaventosamente surreale. Fu così che comprese di non essersi mai trovato in uno dei suoi sogni – semplici ricordi ripetuti in un loop, notte dopo notte – ma di essere stato inconsapevolmente trascinato nell'incubo della sorella maggiore, ora intenta a singhiozzare sul cadavere tumido di una donna. Ophelia non portava i suoi guanti di cuoio né i suoi soliti vestiti oppressivi – non indossava proprio nulla, a dire il vero – e al passero non ci volle molto per capire cosa fosse successo; persino nel mondo onirico, la giovane veniva tormentata dalla propria, mostruosa, capacità.

Prima che Oneiron potesse tirarsi fuori da quel sogno, però, Verne Kairos apparve e posò una mano scarnificata dal fuoco sulla schiena ricurva della figlia in un gesto che di rassicurante non aveva nulla, ma era, invece, possessivo e soffocante. Poi l'uomo si voltò verso di lui e lo guardò dritto negli occhi, la bocca dislocata in un grido silenzioso.

Oneiron si svegliò di soprassalto, con la testa spaccata in due e un rivolo di sangue scarlatto a imbrattargli naso, bocca e mento. Se lo asciugò con il dorso della mano, cercando di non badare troppo al suo visibile tremolio, dopodiché scese dal letto e si avviò a passi incerti, ciondolanti, verso la toeletta in stile rococò posta contro la parete di destra, cercando nel frattempo di non lasciarsi sopraffare dall'emicrania che gli infiammava le tempie e faceva vedere doppio. Aprì con più vigore del necessario il terzo cassettino a partire dal basso accanto alla specchiera e afferrò con urgenza crescente il piccolo cofanetto d'argento ricamato. Vuoto.

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