14. Ricordi sommersi

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Quella mattina Bucky si era svegliato prima del solito.
Ed "il solito" erano le cinque, quando ancora il sole era lontano dal mostrarsi all'orizzonte.
Alle quattro e mezza era uscito dal suo appartamento e aveva corso con la moto per le strade silenziose della città. Si era poi infilato in un bar, per fare colazione.
Il berretto in testa e lo sguardo fugace. Caratteristiche che faticava a lasciare, in questa nuova vita.
Quando poggiò la tazzina del caffè vuota sul piattino, qualcuno prese posto di fronte a lui, senza chiedere il permesso.
Furtivo alzò lo sguardo sulla figura, quasi preoccupato. E inarcò un angolo delle labbra, non appena riconobbe Barton nel nuovo arrivato.

- Barnes, mi sembravi tu da fuori... cosa ci fai in questa zona di prima mattina? , dicendo questo, poggiò una rosa rossa sul tavolo, accanto loro due. Bucky la guardò e poi rispose,

- Insonnia. E voglia di uscire: mi piace stare fuori quando ancora il mondo dorme. E tu, piuttosto? Sei fuori zona, se non sbaglio... come sta la tua famiglia? -

Clint alzò la mano, chiamando una cameriera,

- Stanno tutti bene... sono io che mi sto rammollendo un po' a dirla tutta... -, una ragazza si affiancò al loro tavolo,

- Mi dica -

- Una colazione completa, per favore. Con le uova, ovviamente. E... Buck, vuoi qualcos'altro? -, domandò il biondo,

- No, sono a posto, grazie -
La cameriera si allontanò con l'ordinazione scritta su un block-notes dai fogli azzurri.

Bucky continuava a scrutare Clint,

- Ti ha chiamato Fury? -, domandò curioso, mentre l'altro fece segno di diniego col capo.

- Una volta al mese ho bisogno di venire a trovarla -, disse cambiando espressione.

Il moro comprese subito, cercando lo sguardo dell'amico.
Natasha.
Il suo corpo non c'era più, come lei: era rimasto nel Vomir e con esso tutti i rimorsi di Clint Barton.

- Sei tu a portare una rosa rossa una volta al mese alla sua lapide... lo immaginavo... -, sussurrò Bucky, guardando il fiore con un velo di tristezza,

- Si. Tu sei quello che gliela porta bianca, invece. Un po' più spesso di me, credo. Perché ogni volta che passo ce n'è una fresca, sempre nuova... -, e dicendo questo sollevò lo sguardo, fissandosi nel suo.

Bucky resse il confronto, annuendo appena,

- Vivo qui... e credo sia giusto farlo... -, rispose cambiando espressione.

Clint si fece più serio, guardandolo con attenzione,

- Alla fine ti ricordi di lei, nel tuo passato? -

L'ex soldato d'inverno restò immobile, facendosi pensieroso.
In quel momento la cameriera portò sul tavolo un vassoio con la colazione per Clint. Lui si scostò, permettendole di posizionare ogni cosa davanti a sé.
Quando se ne andò, alzò ancora lo sguardo su Bucky, il quale lo stava fissando con serietà,

- Io non ricordo nulla... so che già ci conoscevamo... ma... non so perché... è nemmeno come... – portò le mani sul volto, serrando le labbra.

Barton prese le posate, iniziando a tagliare le uova,
- Ti detestavo, un tempo. Quando conobbi Natasha, intendo. -

Bucky scostò le mani, fissandosi su di lui, senza dire nulla e Clint riprese a parlare, assottigliando lo sguardo,
- Mi presi una bella batosta, per lei. Eravamo due anime affini, in qualche modo. Ci siamo sempre intesi con un semplice sguardo... soul mates... la percepivo come la metà della mia mela... ma tutto si fermava al platonico... aveva subito troppi traumi... ed io, dal suo punto di vista, non ero "quello giusto"... -

Masticò e deglutì, poi si fermò, fissando il moro, - Perché porti rose sulla sua tomba? Non la fai per Visione o per Tony, giusto?-

- Cosa mi devi dire, Barton? Non ho pazienza con gli indovinelli... -, rispose più rigido Barnes. Il biondo terminò il cibo nel piatto. Poi bevve il caffè, sempre guardandolo.

Sospirò.
- Hanno giocato con le vostre menti, incasinando ogni cosa. Questa è la cosa peggiore. – si alzò, fissandolo - Vieni con me. -

Bucky, confuso, restò fermo un momento, mentre l'altro si alzava per pagare ed uscire dal locale.
Poi lo seguì.
Una volta fuori, Barton gli propose di seguirlo in un posto.
Così fece, salendo sulla propria moto e mettendosi al seguito dell'auto guidata dall'arciere.
Il viaggio terminò una mezz'oretta più tardi, in una zona periferica della città.
Parcheggiarono i mezzi e Clint lo invitò a seguirlo.
Si diressero verso un palazzo antico, ma ben messo. Barton estrasse delle chiavi e ne aprì il portoncino in legno. Le scale dentro erano pulite e l'ambiente luminoso.
C'erano più appartamenti, ma loro raggiunsero l'ultimo piano.
Qui il biondo si fermò di fronte ad una porta e infilò la chiave nella serratura.
Non appena l'aprì, Bucky comprese che doveva trattarsi dell'appartamento di Natasha.
- Mi aveva lasciato un doppione delle chiavi, per qualsiasi eventualità... -, chiuse la porta alle proprie spalle.
Si trattava di un bilocale, minimalista ed ordinato. Poche cose anonime.
Ma c'era il suo odore, ancora. Se ne resero conto entrambi.
Poi Clint si mosse, raggiungendo il letto. Sollevò il materasso, estraendone una scatola di cartone color carta da zucchero. La privò del coperchio, mostrando una serie di foto sbiadite al suo interno.

- Qui si trova parte del passato della spia più in gamba che sia mai esistita... -, dicendolo, Clint inarcò un angolo delle labbra, - ... e in questo passato, ci sei anche tu... -

Bucky lo guardò frastornato, scrutando tra le immagini.
Infilò la mano di metallo nella scatola, quasi con senso di colpa. Prese tra le dita qualche foto. Una Natasha giovanissima, con un tutù rosa che aderiva perfettamente al suo fisico fin troppo asciutto. I capelli raccolti, la carnagione chiara.

- Non sapevo ballasse... -, sussurrò non troppo convinto.

Una seconda immagine: un gruppo di ragazze in posa con le armi. Tra esse vide chiaramente la giovane Natasha, accanto ad un'altra ragazza dai capelli biondi. Girò la foto, dove vi era una scritta in russo, che riuscì a leggere perfettamente:

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