Capitolo 1 - La copertina è tutto? (prima parte)

120 11 17
                                    

   Manhattan, isola di New York.
  
   Città con più di sette milioni di abitanti e migliaia di turisti che ogni giorno riempiono le sue strade, già così tanto affollate.
  
   Centro del mondo e luogo dove la moda prende vita, è da sempre vista come il posto dove tutto è possibile e dove i sogni diventano realtà. Prima per tutti gli immigrati fiduciosi che, a bordo di grandi navi, attraversavano l'oceano, e al solo vedere la Statua della Libertà, quella signora dalle vesti spiegazzate che fiera si erge sul suo piedistallo, sapevano che una nuova vita li aspettava. E oggi, nel 2018, per i giovani che vengono nella Grande Mela con la speranza di trovare qualcuno disposto a credere in loro e a realizzare i loro sogni.
  
   È il solito lunedì mattina primaverile. Gli alberi stanno fiorendo e l'aria comincia a scaldarsi, promettendo un'estate molto afosa. I pezzi grossi di Manhattan sono già usciti tutti in strada abbandonando i loro splendidi loft dell'Upper East Side e SoHo e, avviandosi verso un'altra giornata di lavoro, donano alla città quell'aspetto così fascinoso che da sempre le fa guadagnare il titolo di Capitale del Mondo. I clacson delle macchine ingorgate lungo la Madison Avenue fanno da sottofondo mentre il facchino del Waldorf Astoria come ogni mattina si sistema i guanti in attesa dell'arrivo dei prossimi clienti importanti.

   E poi, poco più a Sud invece, proprio su Charles Street, ci sono io che mi piego in due per riprendere fiato mentre le scarpe da quattrocento dollari che ho comprato tre giorni fa mi stanno distruggendo i piedi dito dopo dito

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

   E poi, poco più a Sud invece, proprio su Charles Street, ci sono io che mi piego in due per riprendere fiato mentre le scarpe da quattrocento dollari che ho comprato tre giorni fa mi stanno distruggendo i piedi dito dopo dito. Mi chiamo Kim Stewart e ho un grave problema che mi perseguita fin dai tempi del college: sono sempre quotidianamente in ritardo. Ammetto che alcune volte sono io la responsabile dei miei ritardi ma altre volte, come oggi, è la sfortuna a volermi complicare la giornata fin dalle prime ore del mattino. Pochi minuti fa mi ha chiamato il mio autista il quale mortificato mi ha comunicato che l'auto e il mio caffè Starbucks se ne stanno bloccati entrambi sulla Madison Avenue per dei lavori in corso. L'unica soluzione, quindi, è quella di riuscire ad accaparrarmi il primo taxi che passa. «Ti prego, fammi trovare un taxi e prometto che oggi non tratterò male nessuno in preda alle mie solite crisi di nervi», borbotto sottovoce, sperando che esista una formula magica da pronunciare per arrivare puntuale per una volta. Ancora con il fiatone alzo la mano sventolando al polso un bracciale Cartier per tentare di impormi a qualche tassista svegliatosi di buon umore questa mattina. Il mio cercare di pensare positivo viene, però, interrotto dallo squillo del cellulare mentre due taxi mi sfrecciarono accanto senza fermarsi.
  

   «Sto arrivando, non muovete un muscolo

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

   «Sto arrivando, non muovete un muscolo.»
   «No, ma io...», non finisco nemmeno ti ascoltare la voce isterica al telefono. Riaggancio.
  
   L'ansia si sta impossessando di ogni fibra del mio essere mentre una signora di tutto rispetto, sui settanta/ottanta, si ferma accanto a me. Piccola tanto da non arrivarmi nemmeno alla spalla, con un'espressione decisa e minacciosa contornata da un tailleur rosa confetto, anche lei cerca di richiamare l'attenzione di una di quelle macchinine gialle apparentemente impazzite che corrono lungo la strada. Quando, finalmente, una di queste si blocca proprio davanti a noi, allungo la gamba scendendo dal marciapiede quando sento questa scansarmi con la spalla aprendo la portiera con uno scatto degno di Bruce Lee. Non vi nego che sarei tentata di rispondere alla sua sfacciataggine sfoggiando qualche mossa che ho imparato alla scuola di autodifesa, ma voglio davvero aggiungere negatività a una giornata già iniziata con il piede sbagliato? No! Così mi giro guardando la donna con aria supplichevole, vi assicuro che poche volte come ora ho desiderato suscitare davvero pietà!
  
   Per chi non lo sapesse, a Manhattan la conquista del taxi è una lotta estrema all'ultimo colpo fra newyorkesi e turisti.
  
   «Signora, la prego, mi lasci il taxi. Devo andare a lavoro e sono in ritardo.»
   «Cara signorina, forse doveva svegliarsi un po' prima stamattina», mi sento rispondere dalla donna, la quale cerca di farsi spazio per entrare mentre mi squadra dall'alto verso il basso con aria schifata. Ma che ho, puzzo!?
   «Ed è quello che ho fatto, ma per una serie di avvenimenti cosmici sono in ritardo e oggi è un giorno importante», prego di nuovo alzando le braccia al cielo prima di iniziare a straparlare invocando tutte le energie positive in mio aiuto. "Ignora la sua faccia Kim!" mi ripeto.
  
   «Andiamo signore. Qui non siamo a una riunione sindacale», borbotta il tassista fastidiosamente.
   «Ok, cinquanta dollari per il taxi. Anzi, settanta», dico tirando fuori i soldi dalla borsetta per cercare di mettere in atto la scena che avevo visto in tanti film. Mi ero sempre chiesta se avrebbe davvero funzionato nella realtà, e oggi avrò modo di verificarlo. Dopo un breve istante di esitazione, e l'ennesimo sollecito da parte del tassista, la donna prende i soldi, visibilmente scocciata e indispettita, mentre io salto sul taxi soddisfatta con un brivido di eccitazione. Corrompere una signora anziana con pochi dollari per un taxi farà di me una bad girl? Mi chiedo mentre penso alla mia reputazione impeccabile fin dalla tenera età in cui le mie amichette rubavano qualche caramella dal negozio di dolciumi di paese, il cui commesso simpaticamente fingeva di non vedere, mentre io assistevo con il tremolio alle ginocchia sentendomi in dovere di comprare almeno un pacchetto di Mentos sperando di riequilibrare il mio karma in quanto testimone oculare.
  

   Appena arrivata davanti al palazzo di settanta piani lungo la Downtown della città, ogni volta, quasi per abitudine, guardo in su ammirandone l'immensa vitrea bellezza

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

   Appena arrivata davanti al palazzo di settanta piani lungo la Downtown della città, ogni volta, quasi per abitudine, guardo in su ammirandone l'immensa vitrea bellezza. Il sole riflette i suoi
raggi sulla superficie perfetta e dona, all'immenso grattacielo, un aspetto dorato e importante.
  
   Ammirandolo, non passa giorno in cui non mi renda conto di quanto sia arrivata in alto. Tranne oggi. Oggi mi ricorda quante responsabilità io abbia nei confronti di chi affida il nome della rivista alla mia immagine e chi, ogni giorno, mi scrive sperando che la sua mail non venga ignorata dalla mia segretaria. È lei a farne un'accurata selezione prima di passarmele.
  
   Spingo con forza le porte girevoli ed entro nel gigantesco atrio accompagnata dal rumore dei tacchi che, con il rimbombo, sembra ancora più fastidioso.

©️ Silvia Stoyanova 2019

Una Fidanzata in PrestitoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora