Capitolo 3 - Padre e Figlio

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   Ognuno ha la famiglia che gli è toccata in sorte. Da piccoli sembra tutto normale e l'amore incondizionato che proviamo per i nostri cari ci fa andare oltre a tutto, arrivando anche a giustificare chi non dev'essere giustificato. Crescendo, poi, spesso riusciamo a scindere il bene nei confronti della famiglia da quello che reputiamo essere giusto o sbagliato. Ci sono cose che capiamo di non voler tollerare ma, soprattutto, decidiamo chi vogliamo essere; ciò qualche volta può discostarsi notevolmente da quello che la nostra famiglia è, o da quello che la stessa desiderava che noi diventassimo.
Questa è la storia di Dave Nixon: una mela che non solo è caduta dal suo albero ma che, a un certo punto, è letteralmente rotolata via senza mai voltarsi indietro.

   «Dave, vuoi deciderti ad alzare quel maledetto telefono?», sbotta Robert battendo un pugno sulla scrivania di legno di Dave, questo squillare lo sta uscire fuori di testa.

   Ma Dave lo ignora esattamente sta ignorando il fastidioso trillo che va avanti da circa un minuto. Resta con la testa china sui fogli esaminando il testo riga dopo riga. In realtà non è che si tratti di un documento di rilevante importanza o interesse, ma è l'unica cosa su cui può indirizzare la sua attenzione fingendo che Robert e il telefono non esistano. In realtà lui sa benissimo chi è dall'altra parte della cornetta e questo lo motiva ancora di più.

   Quando il suo avvocato si reca da lui è sempre per affari noiosi o poco piacevoli, ma i sigari che si godono in reciproca compagnia rendono il tutto sempre piacevole. Sì, perché Robert e Dave sono grandi amici da quando ancora non avevano i peli sul petto. Hanno condiviso feste, due di picche, tradimenti, fidanzamenti, matrimoni, lutti, divorzi, beghe legali, sbronze ad alto rischio, donne seppur involontariamente, pranzi in famiglia e intere domeniche a giocare a golf - abitudine che, rispetto a tante altre, hanno mantenuto.

   «Eri un gran testardo quando eravamo piccoli, e adesso sei anche peggio di allora», lo accusa Robert mentre accende un sigaro e si lascia andare affondando sulla morbida poltrona di pelle nera.
   «Il tempo ti cambia, amico. O, come nel mio caso, rafforza ulteriormente quello che eri da ragazzino e che cercavi di cambiare per piacere di più agli altri.» Il fumo esce lentamente tra le labbra di Dave. Bianco e denso cela il suo sguardo pungente e freddo per qualche istante, prima di dissolversi nel nulla.
   «Cambiare, avere il coraggio di mutare per diventare migliori, è simbolo di forza», insiste l'amico inutilmente.
   «Per quanto mi riguarda la forza è quando hai il coraggio di restare te stesso a costo di perdere tutti.»
   «Sì! Sarà per questo che ti trovi in questa situazione? Io rivedrei i tuoi principi sull'essere e sull'amor proprio smisurato.» Robert ha sempre cercato di fare da paciere in questi anni tra Dave e la sua famiglia - o meglio, quello che ne resta dopo la morte di suo padre.
   «Quello che sto passando è colpa di chi si sta aggrappando a tutto pur di avere il controllo sulla mia vita, nonché sull'azienda che mio padre ha lasciato a me! A me!» urla Dave sentendosi toccare nel profondo. Il suo sguardo mostra tutta la sua delusione nei confronti del suo amico che, invece di sostenerlo consapevole di tutto ciò che ha passato, cerca di propinare i soliti discorsi moralisti che ascolta da anni.
   «Ehi, amico! Calmati. Sono certo che troverò un modo per tirartene fuori! Non permetterò a nessuno di toccare l'azienda di Jack, te lo prometto.» il suo tono si fa rassicurante. Robert si porta in avanti con il corpo e appoggia i gomiti sulla scrivania mentre guarda il suo migliore amico dritto negli occhi. Di certo non condivide il suo pensiero, ma sarebbe pronto a tutto pur di aiutarlo.

   Afferra i fogli che Dave ha appena firmato, li infila nella valigetta e se ne va senza dire altro. Come se quello sguardo e le sue parole bastino per sigillare un giuramento che l'avvocato che è in lui manterrà a costo di fare carte false. E Dave lo sa.

   Guarda la scrivania baciata dal sole

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   Guarda la scrivania baciata dal sole. Con una mano accarezza il legno segnato dal tempo e i suoi pensieri vanno al primo giorno in cui suo padre lo portò qui. Fondò questa azienda prima che Dave nascesse, e quando il piccolo Nixon compì un anno ecco che comparve la sua D. Così nacque la nuova D&J. Jack lo portava spesso in ufficio a giocare, forse non tanto per passare del tempo con suo figlio quanto perché sperava che il piccolo Dave iniziasse a vedere quel grandissimo edificio come una seconda casa. Aveva quasi sette anni quando, un giorno, giocando con il grande fermacarte di Jack che raffigurava la cima del Chrysler Building, rigò il legno antico causando un graffio con tanto di piccolo solco nel legno. Suo padre lo strigliò per bene eppure non fece mai riparare la superficie. E ora, eccolo lì ancora il fermacarte davanti i suoi occhi lucidi, e il graffio proprio sotto le sue dita. Lo percorre piano chiedendosi perché spesso ad andarsene troppo presto siano proprio le persone a cui siamo più legati e, soprattutto, perché capiamo talvolta troppo tardi quanto contano le persone. Asciuga l'unica lacrima che riesce a rotolare lungo il suo viso e afferra il telefono che prima sperava si zittisse.
   Un groviglio di emozioni gli blocca le parole in gola per un breve istante, ma dopo un profondo respiro compone il numero nove dei numeri rapidi.
   Gli squilli si susseguono creando in lui sempre più agitazione. Una voce femminile finalmente risponde dall'altra parte.

   «Ciao mamma...» pronuncia a fatica quel nome.
   «Dave. Era ora che ti facessi sentire!»

   Segue un silenzio in realtà colmo di tutte le cose che lui non riesce a dire da troppo tempo e che gli bloccano i pensieri ogni volta che sente quella voce. Spesso non si riescono a esprimere i propri sentimenti e dire anche un semplice "ti voglio bene" a un genitore pesa come un macigno. Per Dave, però, le parole da tacere non sono di affetto ma di odio, sofferenza e rabbia.

   «Mi hai cercato due volte. Volevo sapere se hai bisogno di qualcosa o se è solo per controllarmi, come al tuo solito.» cerca di trattenersi stringendo forte i pugni.
   «Nonostante io non approvi tante cose, sei sempre mio figlio e volevo sapere come stessi. Ma se vuoi mettere le cose su questo piano, sappi che il tempo sta passando e non sta
cambiando niente...»
   «Hai altro da dire o posso mettere giù? Come dici tu, devo sfruttare meglio il mio tempo.» interrompe bruscamente la donna.
   «Se ti sentisse tuo padre si vergognerebbe di quello che sei diventato!» dice la donna freddamente.
   «Non ti azzardare a parlare di mio padre! Mai più!» Le vene gonfie pulsano sul suo collo e sulle tempie come se dovessero esplodere. La presa sulla cornetta si fa così forte da rendere
quasi violacee le dita della mano sinistra. Un respiro profondo per cercare di mantenere il controllo e poi sbatte giù il telefono.
Resta fermo in piedi tra la scrivania e la gigantesca finestra del suo ufficio. Alzando lo sguardo inciampa di nuovo sulla cima del Chrysler che brilla sotto i raggi del sole. Improvvisamente realizza quanto la sua solitudine sia palpabileCammina nervosamente avanti e indietro con le mani in
tasca ripensando alla telefonata. E quella donna? Cosa dire di quella donna... colei che lo ha messo al mondo ma che è sprovvista del basilare amore materno? Quella donna che odia e che è tutta la sua famiglia.
   "Che marcisca all'inferno!" pensa guardando una foto di lui con suo padre. Sì, perché di quella donna, Lisa, non ha niente se non il gruppo sanguigno.
   Mette le mani in tasca camminando avanti e indietro con lo sguardo a terra quando sente qualcosa tra le dita della mano destra. Estrae un biglietto stropicciato. Lo apre e le parole dette a sua madre gli risuonano in testa: "devo sfruttare meglio il mio tempo!". Sorride leggendoci sopra un'unica parola. VIP.

©️ Silvia Stoyanova 2019

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