Capitolo 3

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La mattina seguente, Anna marciò decisa verso la propria auto. Le bastò allontanarsi di pochi metri dal cancelletto della sua abitazione per iniziare a fremere di rabbia. È ancora lì! Pensò furiosa, scorgendo l'imponente sagoma nera dell'Audi che sovrastava quella più piccola e colorata del suo Panda.

Quando raggiunse la portiera, la ragazza controllò nervosamente l'ora sbirciando il quadrante dell'orologio che portava al polso sinistro. Nel giro di venti minuti avrebbe dovuto essere al lavoro: il percorso in macchina richiedeva all'incirca dieci minuti, il che significava che ne aveva altrettanti per trovare il proprietario del SUV, insultarlo e costringerlo a spostare quel bestione da lì.

Cosa faccio? Si chiese Anna, mentre le mani iniziavano a pruderle dal nervosismo. Doveva iniziare a suonare un campanello dopo l'altro, sperando che il proprietario dell'Audi non risiedesse proprio nell'ultima casa a cui avrebbe bussato? Così arrivo in ritardo di sicuro!

Forse avrebbe potuto suonare a un solo campanello, chiedendo alla persona che le avrebbe aperto di indicarle il colpevole. Ma se mi ignorassero? Non sono ancora le otto: e se le persone che sono ancora in casa stessero dormendo? Ci potrebbe volere un sacco di tempo!

La ragazza rimase immobile per qualche istante, ragionando sul da farsi. Sì, non c'era che una soluzione: non era elegante e probabilmente le avrebbe attirato qualche antipatia, ma non poteva davvero rischiare di arrivare in ritardo già la seconda settimana di lavoro. Aprendo di scatto la portiera, Anna scivolò sul sedile dal lato del conducente e impugnò saldamente il volante, chiedendosi per l'ultima volta se fosse davvero il caso di affrontare la questione di petto. Eh, sì! Mi dispiace, ma questa cosa va risolta.

Il clacson risuonò nella via silenziosa; un urlo che, nella quiete del mattino, alle orecchie di Anna parve assordante. La ragazza interruppe il suono per qualche secondo, poi premette nuovamente sul volante: una, due, tre volte, ogni volta lasciando che la pressione durasse un po' più a lungo.

E che cazzo! Pensò, mentre la rabbia e la frustrazione le serravano la gola. È possibile che stiano veramente dormendo tutti? Sono sordi o cosa?

Quando stava per suonare una quinta volta, la porta della casetta singola davanti alla quale era parcheggiato il Panda si aprì, lasciando intravvedere il volto arrossato di una donna sulla sessantina. Giudicando dal pigiama a fiori che indossava e dal golfino che si era gettata in qualche maniera sulle spalle, Anna giudicò che dovesse trattarsi di una casalinga.

Soddisfatta dal fatto di essere riuscita ad attirare l'attenzione di qualcuno e appena leggermente imbarazzata dal modo in cui era riuscita a ottenere quel risultato, la ragazza balzò giù dall'auto, sistemandosi meglio la scollatura del vestito, che tendeva sempre a scendere un po' più del dovuto. «Mi scusi, eh!» esclamò, avvicinandosi alla donna. «Sa di chi è questa macchina? È parcheggiata male e io non riesco a uscire!»

La donna aggrottò la fronte e si strinse il maglioncino sulle spalle per proteggersi dall'aria frizzante di inizio ottobre. «È del...» la donna si interruppe, fissandola in volto come se l'avesse appena messa a fuoco. «Scusami, ma tu chi sei? Abiti da queste parti?»

Sofia annuì, fermandosi a pochi passi dall'uscio sul quale si trovava la casalinga. «Sì, mi chiamo Anna: ho appena preso in affitto uno degli appartamenti al numero cinque» spiegò. «Mi scusi se mi sono attaccata al clacson, ma tra un quarto d'ora devo essere al lavoro e non riesco proprio a passare... bisogna essere proprio dei somari, per parcheggiare così!»

La donna la guardò con aria comprensiva. «Eh, quello fa sempre così, sai? Come si dice? A posto lui, a posto tutti!»

«Ah, perfetto!» borbottò Anna. «E chi sarebbe, 'sto genio? Gliela faccio spostare io, la macchina.»

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