3-Una vita a modo mio

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Avere un balcone che si affaccia sul cielo e che permette di vedere il bello e il cattivo tempo senza che esso ti piombi addosso. Essere appena fuori dalle mura di casa ma avere comunque un tetto che ripara da eventuali piogge. E poi una panchina su cui sedersi perché se c'è la possibilità di ammirare tutti i fenomeni atmosferici inimmaginabili, bisogna ammirarli bene, con il giusto comfort e una visione più artistica; così se a qualcuno venisse in mente di farci una foto, noi potremmo avere una faccia buffa e il caffè che stiamo bevendo potrebbe caderci sulla maglia, ma resterà pur sempre una bella foto. Una foto che ha il cielo come sfondo: un tramonto, un'alba, un nuvolone di pioggia, un arcobaleno spuntato dal nulla... ma ci siamo anche noi nei nostri gesti più spontanei, negli imbarazzi tanto odiati che, agli occhi degli altri, trasmettono fascino. Messa da parte ma comunque presente una bottiglia di birra, bevuta fino a metà, sul tavolino e poi un posacenere stracolmo di sigarette consumate e l'ultima posata sul lato, col fumo che sale e si mischia nell'aria. Giusto per aggiungere un elemento alla foto e per ricordarci che siamo chi vogliamo essere; con i nostri difetti e vizi più grandi, giusti o sbagliati che siano. Il cielo è affollato oggi, come in un concerto di quelli attesi per lungo tempo. Oltre a essere sereno e a non lasciare che le nuvole rubino un minimo di scena, questa sera ha deciso di essere limpido come il più bello dei mari. Elia non ha bisogno di osservare bene gli angoli più misteriosi della luna, ha però bisogno di mille occhi per contare le stelle, individuare i satelliti e anche per riconoscere un aereo che passa. Si alza e spinge la panchina fino all’angolo del balcone, poi prova a sdraiarsi mettendosi per lungo. Sia le gambe che la sua testa fuoriescono ed è nella posizione più scomoda possibile. Con le gambe esce ancora ed è costretto ad alzarle ma almeno riesce ad appoggiare la testa sul manico.
Irrompe suo padre nello stesso momento - "Puoi venire un attimo dentro?"
"Cosa c'è?" - gli chiede seccato.
"Ti devo parlare di una cosa."
“Dai devo uscire adesso, me ne parli domani."
"No, parliamo ora; ti rubo cinque minuti, non di più."
"Va beh, fai cosa vuoi."
Non soffre più il contrasto, è diventato parte integrante della sua vita, gli sembra così normale da non darci più peso come ha sempre fatto. Al contrario, si stupisce quando vanno d'accordo e non discutono; capisce che le cose non stanno andando esattamente bene e si chiede - "quando torna tutto come prima?". Doveva ancora diplomarsi e suo padre aveva già deciso di guardarlo con una grossa dose di amarezza, è passato quasi un anno e l’amarezza è rimasta. È uno di quei padri che oltre a un posto fisso non ha raggiunto i suoi obiettivi e ripone le sue ultime e uniche speranze sul proprio figlio. Non sono gli errori a ricadere ma i sogni conditi dalla pressione e l'obbligo di fare bene per paura di deludere. Tutto nacque dalle scorie di un matrimonio finito e con la madre di Elia fuggita non si sa dove e non si sa con chi, lontana dalla famiglia. Rimasero solo gli uomini di casa e per Elia il responsabile del disastro familiare fu solo e unicamente suo padre. La questione peggiorò quando Elia decise di mollare il calcio, suo padre era il classico elemento - "Mio figlio deve sempre giocare, guardate quanto è bravo" e fu la causa di molte diatribe con gli allenatori. Il divertimento di Elia non venne mai preso in considerazione, solo l'utopia di sfondare nel mondo più difficile e competitivo che sia mai esistito. Quando gli confessò la sua intenzione di smettere lui apprese la notizia nel peggior modo possibile. Credeva che stesse facendo un torto a lui, e quando capì che suo figlio sarebbe diventato la sua fotocopia: niente più di un semplice e umile lavoratore, prevalse in lui una delusione mai affievolita. Mentre si dirige nel salone dà un'occhiataccia al caos nella camera di suo figlio ma abbassa lo sguardo senza dire nulla. Entrano in salotto e lui si siede. Elia invece rimane in piedi, con le mani in tasca e la testa rivolta all'orologio per far capire a suo padre che ha fretta.
"Quanti mesi sono che lavori?"
"Non lo so, non li ho contati." – fa lo spocchioso perché non gli interessa quello che suo padre ha da dirgli. Aspetta solo di poter uscire.
"Saranno passati almeno tre mesi?"
"Più o meno, penso di si."
"Un po' di tempo fa ti ho parlato della tabaccheria in Liguria che avevo intenzione di affittare. Ti ricordi, no?"
"Vagamente."
"Ho ancora la stessa intenzione e… non so, quando andrò in pensione potrò lasciare tutto quanto a te. E comunque il mestiere in parte lo conosci dato che vendi quotidiani e riviste."
"Ti ho mai detto che sono d'accordo?" - ora lo guarda dritto negli occhi ma lo fa con strafottenza.
Suo padre invece nasconde un velo di dispiacere per il disprezzo che suo figlio prova per lui, ma è bravo a nasconderlo - "No, mi hai detto che ci avresti pensato."
"Ok, ci ho pensato adesso e la mia risposta è no. Se vuoi trasferirti al mare vacci da solo."
"Ti rendi conto almeno dell'opportunità che avresti?"
"No, l'opportunità è tua. È a te che piace il posto e ti trovi bene lì dove non c'è un cazzo." - Elia comincia a spazientirsi e quando capita alza il tono della voce.
"Non c'è un cazzo? Hai il mare tutto l'anno e lavori duramente tre mesi al massimo." – lui prova a convincerlo ad ogni modo, cerca un nesso per portarlo dalla sua parte ma sente come se tutti i suoi tentativi fossero vani.
"Hai il mare tutto l'anno… anche in Sicilia c'è il mare tutto l'anno, anche a Trieste, anche in Finlandia c'è il mare tutto l'anno. Il discorso è uno solo: vuoi trasferirti al mare e vuoi portarmi con te. Bene, io ad andare lì non ho nessuna intenzione. Ora ti è chiaro?"
"Perché non vuoi?"
"Perché no, punto. Ma è mai possibile che debba dare spiegazioni di tutto a chiunque?" - allarga le braccia come chi si sente il mondo addosso e pensa che tutti ce l'abbiano con lui per qualsiasi ragione.
"Allora dammi un motivo per cui noi dobbiamo rimanere qui, sentiamo."
Si agita e trema inconsapevolmente - "No, "noi" il cazzo. Non è che se tu prendi una decisione questa riguarda anche me."
"Finché sei a casa mia ti deve riguardare invece."
"Ma siccome io da questa casa vorrei andarmene, penso sia giusto cominciare a me stesso e a quello che c'è dopo, no? Non ho più dodici anni, l'epoca di "tu vai a giocare a calcio perché te lo sto dicendo io" è finita, ci siamo capiti?"
"Senti un attimo, io..."
"No io non sto a sentire un cazzo di nessuno, tu stammi a sentire piuttosto - arrossisce dalla rabbia e dall'esasperazione. A ogni parola corrisponde un gesto e ogni urlo porta il corpo a fare movimenti inconsueti e involontari - Capirei se non lavorassi, se non facessi mai nulla e se stessi sul divano dalla mattina alla sera. Ma dato che momentaneamente ho un lavoro e per quanto mi stia sul cazzo ogni mese mi arrivano 1000 euro, questo discorso a me non lo devi fare. Tu vuoi andare? Fallo, ma non ti azzardare a mettere in mezzo me. Sono maledettamente stufo di te, delle tue cazzate e di tutto quello che fai. E adesso esco che ho già perso tempo a sufficienza. Se vai a dormire ci vediamo domani, ciao."
"Elia, non ho finito."
"Io si, ti ho detto ciao." - esce di casa con passo lungo e sbatte la porta. Mentre cammina continua a bisbigliare frasi dentro di sé che avrebbe voluto dirgli, ma sono saltate alla mente soltanto adesso. Per andare al parco deve passare in mezzo alla strada e nella via passano macchine di continuo. Lui attraversa senza dare importanza a nessuno e con lo sguardo rivolto verso il basso. Clacson, gomme che fischiano per terra per una brusca frenata, un ragazzo mette la testa fuori dal finestrino per sgridarlo - "ma dove cazzo guardi?" - ma Elia non lo sente nemmeno. Entra nel parco e raggiunge il tavolo da ping pong; si siede. Il tempo di accendersi una sigaretta e arriva anche Andrea. Si siede e anche lui, come Elia, tiene lo sguardo abbassato. Raccoglie un rametto da terra e per ammazzare il tempo gli sradica la corteccia di dosso. Non dicono niente e nessuno ha voglia di parlare. Nessuno tranne Marcus, il quale li sta raggiungendo.
Apre le braccia - "Hermanos, felice di vedervi."
Elia, come è solito fare, liquida senza nemmeno guardarlo - "Beato te."
"Tu no?"
Scuote la testa rimanendo serio.
Marcus alza le spalle, emette un sospiro e risponde - "Immaginavo."
Andrea interviene smorzando gli animi - "Al massimo rilassato. Tu e la parola felice non potete stare nella stessa frase."
"Sai cosa? Neanche con la parola rilassato posso stare."
"Perché?"
Con tono deciso dice - "Perché mi rompete i coglioni continuamente e non mi lasciate mai un momento di tranquillità. Uno, eh! - indica col dito - uno."
Marcus si sente preso in causa - "E noi cosa c'entriamo?"
"Non voi, Cristo santo. Parlo in generale. Parlo di mio padre, di Davide, del lavoro, dei clienti di merda..."
"Cosa vuol dire? Anch'io ho avuto una giornata del cazzo ma non incolpo di certo te."
"È mai possibile che tu c'abbia sempre 'sta coda di paglia in mezzo al culo?"
"È mai possibile che tu debba avercela sempre col mondo per ogni tua cazzo di disgrazia?"
Elia si alza per un confronto e Marcus lo asseconda. Andrea assiste in disparte alla scena; arrivano faccia a faccia e si danno uno spintone a testa - "Tu ora mi dici il tuo cazzo di problema!"
"Sei tu che hai problemi, hijo de puta. Non io."
Andrea non ne può più delle loro continue liti e si mette in mezzo tra i due - "Ragazzi! - urla - Ragazzi, basta! - li guarda negli occhi - Adesso fate mente locale tutti e due. Trattenete il respiro qualche secondo, buttate fuori l'aria e vi date una cazzo di calmata."
Elia e Marcus continuano a guardarsi in cagnesco nonostante siano separati dalle braccia di Andrea.
"Va bene? - ripete con tono deciso - Ho detto, va bene?!"
I due non rispondono ma si tolgono l'aria di sfida dagli occhi e sembrano aver recepito il messaggio. Si rimettono seduti come se non fosse successo niente, Marcus tira fuori il pacchetto di sigarette e gliene offre una. L'accendono insieme come a voler porre fine al loro dissidio.
"Anche per me è stata una giornata da buttare." - ammette Andrea.
"Tu che hai fatto?" - Elia si volta per sentire la sua risposta.
"Ho cercato di studiare tutto il pomeriggio ma è inutile, ragazzi. È inutile - ripete sconsolato - Non mi entra niente in testa. Leggo, ripeto, provo a capire i concetti ma perdo solo tempo." - lancia il rametto dalla rabbia, ormai rimasto senza corteccia.
Marcus prova a consolarlo - "Non puoi farti entrare mille pagine in testa, vato. È impossibile, è da pazzi."
"C'è chi ci riesce."
Anche Elia prova ad alleggerirgli il problema, ma lui per queste cose non ha tatto - "Potresti farcela anche tu se vuoi."
"Appunto, se voglio. Il problema è questo."
"Hai intenzione di mollare?"
"Un giorno sì, l'altro pure, quello dopo mi convinco del contrario, quello dopo ancora mi ripeto che è solo una fase di stallo."
"Lo è, hermano - Marcus si alza e di fronte a loro inizia a parlare - Ma non è dovuto allo studio, alla facoltà o all'esame che devi dare. Riguarda tutti noi perché tutti e tre siamo in una fase di stallo. Siamo giovani, coño, abbiamo 19 cazzo di anni e invece di godere a pieno ogni fottutissimo giorno finiamo per passare la sera a lamentarci su quanto cazzo faccia schifo la nostra vita e su quanto odiamo la nostra routine. Perché noi siamo intrappolati in questa routine ed è proprio quella la nostra fase di stallo - finisce la sigaretta e le dà un calcio come se fosse un portiere che si appresta a un rinvio da fondo. Si siede - Ho bisogno di dare una svolta alla mia vita altrimenti impazzisco, coño - guarda Elia e gli chiede - Sei d'accordo almeno su questo?"
Lui lancia uno dei suoi soliti sguardi inespressivi, freddi e privi di sensibilità. Poi torna a fissare il vuoto davanti a sé - "Già..." - e mentre risponde il fumo esce dalla sua bocca.
Andrea gira lo sguardo un po' verso uno, un po' verso l'altro - "Io ho bisogno che il tempo si fermi un attimo; per qualche giorno al massimo, non di più."
Elia gli risponde con freddezza - "Il tempo non si ferma, al limite ti fermi tu."
"Che rallentasse, cazzo!"
"Tranquilli che il tempo prende per il culo anche me."
"In che senso?" - dice Marcus.
"Quando sono in negozio vorrei che passasse velocemente."
"E invece?"
"Scorre lento, semplice."
Andrea se ne esce con una risata amara - "Quando qualcosa non va proprio giù il tempo scorrerà sempre lento."
"E succede il contrario mentre faccio altre cose."
"Intendi Chiara?"
"Come quando sei con Chiara." - provano a intuire.
"Lei è un esempio ma non intendo solo lei."
Marcus si rialza e dice - "Sapete l'intervallo di tempo che va dalla sveglia al momento preciso in cui il mio turno inizia? Ecco, quelle due ore vorrei che fossero le più lunghe di tutta la mia vita."
"Io no - Elia lo contraddice - vorrei passassero in fretta invece. Prima finisce la giornata, prima mi levo dal cazzo."
"Almeno voi avete soldi che vi entrano ogni mese." - commenta Andrea, sentendosi escluso dal discorso.
"Sì, dentro il buco del culo." - il sarcasmo del freddo e insensibile Elia.
E Marcus, una volta tanto, è sulla sua stessa lunghezza d'onda - "Tra benzina, parcheggio, spese, commissioni mi resta poco meno della metà."
"E in più aggiungi le spese condominiali del cazzo perché mio padre da solo non riesce a pagare tutto." - torna alla mente la discussione avuta prima con lui ed alza il tono della voce per il nervoso. Non è ancora riuscito a smaltire tutta la rabbia.
Andrea ha modo di valutare i pro e i contro e alla fine dice - "Ok ma almeno avete i vostri soldi e non dovete chiedere prestiti o paghette a nessuno."
"Illuso, questo lo dici tu, hermano." - Marcus ride, si siede e si accende un'altra sigaretta.
Elia lo guarda per cinque secondi nel suo silenzio che mette imbarazzo e poi dice - "Che poi scusa, puoi anche lavorare nel frattempo."
Andrea lo eclissa - "Già non ho voglia di studiare, figurati se ho voglia di cercare un lavoro sottopagato e con orari impossibili da gestire."
"In effetti..."
Ne scaturisce un silenzio spezzato dai sospiri di fumo e da un'arietta che soffia tra i capelli di Elia, i quali si muovono seguendo le direzioni del vento. Le stelle sono tutte lì dove le aveva lasciate ma la luna si è presa il centro dell'attenzione in tutta la sua pienezza.
Marcus si rialza per l'ennesima volta - "Fuggiamo."
Elia, prendendolo in giro, gli chiede - "Che vuoi fare tu?"
"Fuggire, coño."
"Destinazione?"
"Dove sono certo di non trovare i miei pensieri più negativi."
"Pensavo rispondessi paradiso."
Andrea se la ride senza però perdere la sua compostezza.
Marcus gli risponde stizzito - "Vete a cagar..."
"Però Marcus ha ragione - Andrea spezza una lancia in suo favore - non sarebbe per niente male andarsene in questo momento."
"E dove volete andare?"
"Dovremmo tornare a Londra, siamo stati solo una settimana ma ci siamo divertiti un sacco.”
Elia rompe prontamente il loro entusiasmo - "Vivere a Londra costa troppo ormai, non conviene più a nessuno." - finisce di fumare e quando prende il pacchetto si accorge che è vuoto, lo butta per terra e ci sputa sopra.
Marcus riprende il suo comizio - "A me non frega un cazzo, posso anche dormire in un letto ricoperto di letame e immondizia ma se mi sento a mio agio va tutto quanto bene. Io voglio solo allontanarmi da quel senso di inadeguatezza che le persone attorno mi hanno trasferito - lancia la sigaretta il più lontano possibile e esclama - "hijos de puta!"
Elia traccia una sua conclusione - "O fuggi da tutto e te ne vai o ti fai andare tutto quanto bene."
"No, ese. Io non mi faccio andare bene proprio un cazzo. E se è necessario fuggo."
"E incontrerai le stesse cose da un'altra parte."
"Allora fuggiamo noi tre insieme, coño!"
"La mia domanda è sempre la stessa."
"Coño, ti ho detto che non è importante - dice alzando la voce - E poi in ogni caso ci sarebbe la casa in montagna dei miei nonni. Volendo possiamo stabilirci là momentaneamente."
Elia e Andrea si guardano. Il primo non dice nulla, scialbo come al solito. L'altro si agita come se avesse appena avuto un'illuminazione.
"Momento, momento, momento. Tu hai che cosa?"
"La casa dei miei nonni in montagna. Saranno dieci anni che non vado, nel frattempo sarà cresciuta tutta la foresta attorno."
Andrea lo fissa poi gli scappa un sorriso - "Questa si che è una bella notizia."
"A che pensi, hermano?"
"Sto pensando di mandare a fanculo lo studio, mamma, papà, mio fratello, Arthur e stabilirmi in quella casa."
"Non c'è né luce né corrente, vato. Di notte stai letteralmente al buio."
"Accenderò un fuoco."
"Sei capace?"
"No ma imparerò."
"La mia idea sarebbe quella di cambiare sempre posto - alza gli occhi al cielo come se ci fosse l'immagine là sopra di lui - Avete presente quelli che non sanno mai dove saranno il giorno dopo? Qualcosa del genere."
"Ci va coraggio, ci vanno i soldi."
"Riuscirei a farne a meno, oppure ruberò i soldi di qualcun altro."
Elia si inserisce nel discorso - "I soldi di qualcun altro?"
"In altre parole rubare."
"Questo sta delirando più di quel che pensavo." - commenta Elia con sarcasmo.
"No hermanos, non sto scherzando. Pensateci bene - zittisce per cinque secondi in modo tale da trovare le parole giuste per esprimersi ma anche per avere la completa attenzione degli amici - siamo in tre, ok? Se ci muoviamo insieme, pianifichiamo cosa fare insieme, ci studiamo qualcosa insieme, possiamo fare tutto. Siamo in tre - fa segno con le dita - tre persone diverse, tre teste diverse che faranno tre ragionamenti diversi e troveranno sempre un punto d'incontro."
"Ma rubare cosa?"
"Lascialo perdere Andre, è intrippato con La Casa di Carta. Il culo di Tokyo gli fa ‘sto effetto."
"Pendejos, cosa potremmo mai rubare? Negozi, case, qualsiasi cosa. Partiamo dalle cose piccole e man mano ci allarghiamo."
"Non siamo in grado di rubare in casa nostra, figurati in casa degli altri."
Andrea aggiunge - "E anche se fosse non sapremmo da dove cominciare."
"Si che lo so, Andre."
"Uhm?"
"Conosco bene la zona, la casa è ben isolata in mezzo alla foresta. Vinadio è distante 20 km da lì."
"Cosa c'è lì?"
"Per essere un paesino di montagna ci sono un sacco di negozietti. Ma anche i paesi vicino."
Andrea risponde perplesso - "Io non sono molto convinto, ragazzi."
"Hermanos, cosa cazzo abbiamo da perdere? - cammina avanti e indietro, come se stesse tenendo una conferenza - Io e Elia abbiamo un lavoro che non ci piace, in un ambiente che non ci piace e in un contesto che non ci piace. Tu, Andre, studi in una facoltà che non sai dove ti porterà ma per ora sai che non ti sta portando da nessuna parte. Delle nostre famiglie devo parlarne? Devo ricordarvi come si sono sfasciate nel corso degli anni? Non abbiamo niente e non abbiamo nessuno che ci sostiene. Non so voi, ma io voglio vivere una vita a modo mio." - conclude con la voce semi strozzata. È alla ricerca disperata di un cambiamento radicale. Sono parole di un ragazzo rimasto deluso dal mondo dei grandi e, presto o tardi, ha il terrore di diventare come loro. Ha perso di vista il suo concetto di vita, la quale si concentra pienamente sulla sua libertà interiore e un ambiente che vada a genio.
"Vivere a modo mio." - ripete Elia.
"Cosa?"
"Niente, mi piace la frase."
"Se ci pensate è l'unica via d'uscita che abbiamo. Vogliamo vivere a modo nostro? Vogliamo scappare dalle nostre vite?"
Andrea, questa volta meno scettico, afferma - "Lo penso anch'io, però noi non siamo ladri, non siamo rapinatori, non siamo criminali. Come facciamo?"
"Hermano, step by step. La prima cosa da fare è andarcene, quindi dobbiamo progettare una fuga. Avete idee?"
"Fingerci morti." - risponde Elia.
Andrea dice incredulo - "Ma non scherzare."
"Volete cambiare la vostra vita e viverla a modo vostro?"
"Non è affatto male come idea." - dice Marcus.
"Quanto ti dà fastidio darmi ragione?"
"Troppo, non immagini quanto."
Andrea riporta su di lui l'attenzione - "E lasciamo tutto quello che abbiamo qui?"
"Tutto cosa, coño? - gli chiede Marcus - Cosa abbiamo qui oltre le rotture di coglioni? Dai, sii serio."
"La certezza di avere un posto dove dormire ti sembra poco?"
"Sì, anzi per me è inesistente. E se mi dici così allora non mi hai ascoltato."
"Ti sto solo dicendo che è un rischio troppo grande."
“Lo so che è rischioso, ma io qui non ci voglio più stare. Soffoco, coño, mi capisci?"
"Sì, anche io soffoco."
Elia si intromette di nuovo - "Ok ma questa fuga la state prendendo sul serio?"
"Io si - gli risponde Marcus - e sono convinto anche di inscenare la nostra morte."
"Pensate ai nostri genitori e a chi ci vuole bene, ragazzi." - Andrea cerca di farli ragionare.
"L'ho fatto ma ora sto pensando a me."
"Ok, ora ci fingiamo morti." - Elia vuole arrivare al punto.
"Come?" - chiede Andrea.
Marcus, alzandosi, propone - "Se prendessimo la mia macchina e la buttiamo da qualche altra parte?"
Elia non gli fa nemmeno finire la frase - "Ci cercherebbero."
"Ci cercherebbero in ogni caso - anche Andrea propone qualcosa - io dico che dobbiamo lasciare lì telefoni, documenti e tutte le cose che risalgono a noi."
Marcus aggiunge - "Sì sì, scordiamoci telefoni e carte di credito."
Elia chiede - "Ok e della macchina?"
Andrea gli risponde - "Dovremmo gettarla in un dirupo, qualcosa del genere."
"O in un fiume."
"O bruciarla."
Buttano giù milioni di ipotesi ma alla fine interviene Marcus - "Hermanos, ho un'idea migliore."
"Cioè?"
"Vicino Parco Dora, a riva del fiume, c'è una zona non sorvegliata ed è facile arrivarci. La macchina la gettiamo là; fidatevi, l'acqua è abbastanza alta perché ha piovuto fino a ieri, perciò la corrente se la porterebbe via. Facciamo qualche minuto a piedi e arriviamo alla fermata del pullman Sagat che va a Porta Susa. Arriviamo lì e prendiamo il primo treno diretto a Cuneo. Scendiamo a Cuneo e camminiamo fino a Lubi, dove c'è la casa. Da lì iniziamo una vita a modo nostro e mi raccomando, hermanos, scordiamoci i telefoni. Non portiamo nulla da casa o qualcuno sospetterebbe. Io domani lavoro mezza giornata e tu Andre potresti venire con me a fare una spesa veloce."
"Cosa compriamo?"
"Non lo so, vediamo."
"Ma vuoi andartene già domani?"
"Si, hermano. Basta, ti prego non voglio più stare qui. Mi sento una cazzo di corda intorno al collo pronta a spezzarmelo e io questa cazzo di corda voglio togliermela."
"Ti capisco più di quanto pensi."
"Ditemi voi quando volete partire. Per me domani andrebbe già bene ma solo se voi siete d'accordo."
"Anche per me va bene domani, prima mi allontano dai libri e da questa vita, meglio è."
"Ely?" - si voltano verso di lui.
"A me non importa più un cazzo."
"È un si?"
Annuisce senza dire niente.
Marcus gli chiede - "A che ora stacchi?"
"Alle 13."
"Ok allora torni a casa e lasci la macchina. Noi alle 14 passiamo e da quel momento inizia la nostra vita."
"Ma una volta arrivati alla casa?"
"Ci penseremo, Andre."
"Ma avere almeno un'idea di quello che vogliamo o dobbiamo fare."
"Senti, da Cuneo a Lubi ci sono 4 ore di camminata, abbiamo il tempo sufficiente per pensarci."
"Ok..."
"Fidatevi di me. Fin qui siamo tutti sulla stessa linea?"
Elia dice - "Prima di muoverci deve passare tempo."
"Che vuoi dire?"
"Dico che ci cercheranno quando si renderanno conto della nostra scomparsa."
Marcus gli chiede - "Dici di aspettare qualche settimana prima di mettere il naso fuori casa?"
"Mesi anche, dipende quando si calmeranno le acque."
"Vedremo, vato. Qualcosa ci inventeremo."
Elia si alza - "Fatemi andare a dormire che domani devo alzarmi."
Andrea fa lo stesso - "Vado anch'io."
"Hermanos, non mi avete risposto prima: siamo tutti sulla stessa linea?"
"Sì."
"Seh."
Elia ha lasciato la suoneria accesa e a differenza di tante altre volte si accorge immediatamente dell'arrivo di un messaggio. Accende il display e il mondo gli si ferma davanti sotto forma di un muro insormontabile: riesce a vedere sia l'inizio che la fine, ma essa è così in alto che aggrapparsi per raggiungerla può solo portare a un dolore annunciato. Il messaggio di Chiara lo destabilizza a tal punto da impallidirlo. Lui rimane con lo sguardo fisso sulla chat mentre sente tuonare il suo battito dentro le orecchie. Gli occhi non distolgono lo sguardo da quel - "mi manchi da morire" - e anche se lui pensa la stessa cosa, lei non immagina neanche lontanamente il significato di - "mi manchi anche tu.”

Gli incappucciati Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora