8-Incubi, stelle e sensi di colpa

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"Non voglio fare incubi." - ripete nel sonno. Si gira e rigira nel materasso e non riesce a stare fermo un secondo. Cambia posizione sperando di lasciarsi gli incubi alle spalle, ma questi si palesano anche se tiene gli occhi chiusi. Li vede come se i suoi occhi fossero spalancati e non può far nulla per allontanarli. Affonda la testa nel cuscino per soffocarli, lo prende a testate cercando di ucciderli. Non sente nessun dolore e allora inizia a tirarsi pugni sulle tempie. Queste si gonfiano e a ogni pugno il dolore che avverte, aumenta gradualmente. Non ha nessuna esitazione nel farsi male e nessuna paura di mettere tutta la forza che ha nelle sue mani. Sente la testa scoppiare, la fronte sembra esplodere e le tempie danno l'impressione di dilatarsi. Si sente svenire. Per un attimo la vista si annebbia e lui si ritrova riverso sul materasso, quasi privo di sensi. Quando gli manca il respiro chiude gli occhi credendo sia arrivata la sua ora. Fa un sospiro enorme e i suoi polmoni si riempiono d'aria. Suda freddo per la paura e il suo cuore batte così forte che sembra di averlo tra le mani. Riapre gli occhi e appare lo stesso incubo che lo sta seviziando da tutta la notte. Rivede le canne di quel fucile puntate contro di lui e il volto di quell'uomo pronto ad aprire il fuoco. Rivede il suo corpo esanime, forato dalle pallottole e il suo sangue a contornarlo. Un'altra visione gli mostra delle persone dietro di lui. Piangono, tra queste c'è anche un bambino che lo chiama papà. Riconosce il corpo del padre e vede il sangue sul pavimento. Piange a dirotto e si accascia per dargli un abbraccio, sperando che lui lo senta, si svegli e ricambi il gesto. Andrea è spettatore di tutta la scena e crolla tra le sue lacrime. Si dispera e non si capacita per quello che è successo a causa sua, com'è potuto arrivare a tanto. È un macigno troppo pesante, insopportabile. E lui crede di non essere in grado di sorreggerlo. Il solo pensiero che qualcuno stia soffrendo a causa sua lo sta logorando. Quindi si asciuga le lacrime e, alzandosi dal letto, pensa di pareggiare i conti. Prende la candela del mobile vicino al letto, l'accende. Scende le scale quasi al buio, individuando i gradini a memoria senza il pericolo di inciampare su di essi. Scende ancora ed apre la taverna. Entra e chiude la porta; vuole stare da solo. La fiamma riesce a illuminare tutta la taverna, lui lento si avvicina allo scaffale dell'alcol. Sconsolato decide cosa bere tra whisky e gin, optando alla fine per il primo. Triste stappa la bottiglia. Inesorabile cammina lungo il perimetro della taverna e senza speranza comincia a bere come se l'alcol allevierà le sue pene. Pene che, naturalmente, non si alleviano e a ogni goccia che deglutisce aumentano la soglia del dolore. Barcolla fino all'armadio, lo apre e sposta la cassa degli attrezzi. Prende uno sgabello e cammina con esso in mano intorno alla taverna, senza staccare la bocca dal collo della bottiglia. Lo mette giù e si siede lasciandosi andare a peso morto. Rivede davanti a sé il macellaio mentre viene ucciso da Elia. Riprende il suo piagnisteo. Alza la testa e le lacrime scendono lungo gli zigomi, fin sotto il mento. Avvicina a sé la bottiglia ma non è rimasto più whisky, non si era accorto di essersi bevuto già tutto. Sbatte la bottiglia, frantumando il vetro in mille pezzi. Si trascina di nuovo fino all'armadio, urtando nel tragitto alcune bottiglie di vino, facendole cadere. Rovista tra numerosi attrezzi e trova una prolunga. Srotola l'intero cavo e taglia il pezzo di plastica che contiene la presa elettrica. Sale sullo sgabello al rallentatore, si alza ancora con le punte dei piedi. Fa un nodo stretto al cavo, girandolo intorno al tubo vicino al soffitto. Con un altro nodo forma un cappio, abbastanza largo da riuscire a infilare il collo. Guarda dritto davanti a sé, non piange più anche se le lacrime hanno lasciato il segno sul suo volto. Si sente pronto al suo destino. Si rivolge a Dio, lui che non lo ha mai fatto e ha sempre dubitato - "Sono pronto per l'inferno." - fa il segno della croce e si confessa - "Con la morte negli occhi e i sensi di colpa nel cuore." - si dondola lateralmente fino a quando lo sgabello cade. Il cappio si stringe, lo soffoca e lui rimane appeso; l'aria sotto i suoi piedi. Emette dei gemiti e non può fare altro. Mentre lui è in preda al soffocamento, resta immobile e non fa niente per divincolarsi, comincia a perdere conoscenza e gli occhi diventano lucidi, accetta il suo destino. Ma non appena si considera morto, i fili cedono per la troppa pressione, si spezzano. Si spezza pure il cavo e lui cade rovinosamente a terra. Le vie respiratorie sono ancora bloccate e lui non riesce a prendere ancora aria. Si sforza chiudendo gli occhi e provando a urlare ma i tentativi sono vani. A un certo punto tossisce, più di una volta. Fa entrare un briciolo di aria nei polmoni. Respira a fatica, ma almeno respira. Si toglie il cavo dal collo, torna a respirare con regolarità. Prova a rialzarsi ma è troppo debole, non ha le forze. Cedono le ginocchia, rotola e con la schiena appoggiata al pavimento si mette a guardare il soffitto. Non vede più il macellaio, né la sua famiglia, né tantomeno il suo bambino. Accetta, per la seconda volta in due minuti, il suo destino.
Elia assiste alla scena appostato alla porta, per non farsi vedere da Andrea. Non è intervenuto mentre il suo amico si stava impiccando e non lo fa nemmeno ora che lo vede sdraiato per terra. L'istinto gli suggerisce di andare lì, prenderlo con sé, dirgli che va tutto bene e accompagnarlo a letto. Ma la sua strana logica lo tiene fermo e lo obbliga a guardare senza fare nulla - "Hai un estremo bisogno di rimanere da solo." - gli dice. Ma Andrea non lo sente, si è addormentato subito e ora nessun incubo gli sta tenendo compagnia - "Questa volta ti salvi da solo, io non ti salvo due volte."

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