10-Tranquillo, siam qui noi

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Passano sei giorni e la notte tra il sabato e la domenica le loro munizioni scarseggiano; il cerchio si chiude. La radio passa "Gli anni" degli 883 ed è la canzone che più si addice al momento - "Stessa storia, stesso posto, stesso bar." - Stesso paesino. Stesso deposito di armi. Stessa quiete. Stessa strada. Stessi particolari dell'ultima volta. Ancora la notte fonda, anche oggi senza la luna, senza le stelle in cielo e coperto dalle nuvole. Ancora il silenzio e la percezione dei movimenti vicini alla soglia minima dell'udito. La città che riposa nel buio più pesto e le stradine isolate, i marciapiedi vuoti. Il gatto nero che miagola, attraversa la stradina guardandosi intorno e cerca un riparo sicuro sotto una macchina. La stessa luce che si accende per un attimo e lo scricchiolio della finestra che rompe il silenzio per due secondi. Le macchine lontane che viaggiano e non sanno dell'esistenza di quel piccolo paesino, si riesce a percepire anche un clacson. I corvi che svolazzano da un tetto all'altro rendendo la notte ancor più lugubre di quel che è. Un uomo che spunta dal fondo della via e cammina in mezzo alla strada con la testa abbassata, probabilmente lo stesso dell'ultima volta, il rumore dei suoi passi mentre cammina e delle chiavi che si muovono dentro la sua tasca. Si ferma davanti al suo portone d'ingresso, gira la chiave ed entra dentro. Di nuovo la quiete. Ancora una volta la quiete. La tanto temuta quiete che non viene più temuta come prima. Perché l'unica ma essenziale differenza è la calma che emanano, il clima sicuro che c'è in macchina mentre ascoltano e riconoscono una canzone alla radio e la canticchiano a bassa voce. L'hanno già fatto, sanno i rischi che corrono e sanno a cosa vanno incontro. Sanno cosa fare perché conoscono il pericolo.
Marcus abbassa il volume della radio - "Ely, oggi è il tuo compleanno giusto?"
"Eh."
"Non ti abbiamo ancora fatto gli auguri."
"E chi cazzo vi ha chiesto di farmeli?"
"No però, ti abbiamo preso una cosa."
"Cioè?"
"Sai quando io e lui siamo andati a prendere da mangiare?"
"Eh."
"Abbiamo visto una cosa che a te piace tanto e abbiamo deciso di comprartela."
"Mi avete fatto un regalo?"
"Sì."
"Ma l'avete rubato da qualche parte?"
"No vato, lo abbiamo comprato."
"Non dovevate raga, perché l'avete fatto?"
"È un pensiero, coño."
Prende il regalo e strappa la carta in un colpo solo, poi apre la confezione. Marcus e Andrea si trattengono a stento dal ridere ed Elia se ne accorge. Tira fuori il contenuto dalla scatola e il suo entusiasmo scompare alla sola vista del regalo: un modellino rosa della Lancia Ypsilon. Lascia cadere la confezione e rimane col modellino tra le mani. Andrea e Marcus lo guardano e ridono. Elia non si arrabbia e rimane composto, abbassa il suo finestrino e lancia il suo regalo di compleanno in mezzo alla strada; la risata di Marcus e Andrea sfocia in esagerazione, arrivando fino alle lacrime.
Elia non può credere di essere cascato nella loro trappola. Non si sono mai fatti regali a vicenda e il fatto che abbiano pensato a lui nel giorno del suo compleanno lo ha colto di sorpresa, poi ha visto il regalo e lo stupore è passato istantaneamente. Scuote la testa e ammette di essere stato fregato - "Dai scendiamo."
Si armano di torcia e piede di porco e scendono dalla macchina. Tutti e tre slegano la scala dal tettuccio, rubata il giorno prima in una discarica, Andrea e Marcus la portano vicino alla grata di ferro che recinta l'area, mentre Elia arrotola la corda di canapa. Elia va per salire e mette un piede sul gradino ma Andrea lo ferma, lo guarda e gli dice - "No, vado io."
"Ok, Andre - gli risponde - Sono contento."
Sale fino all'ultimo gradino poi fa un balzo saltando oltre il filo spinato e cade nell'area di proprietà dell'armeria.
"Non è meglio se uno di noi rimane fuori come l'altra volta a controllare?"
"Nah, non c'è bisogno."
Lo seguono Marcus ed Elia.
Camminano fino alla porta sul retro a passi lenti per fare il minor rumore possibile. Marcus impugna il piede di porco ma Elia lo ferma perché si è accorto che la porta, riparata e messa a nuovo dall'ultima volta che hanno fatto visita, è rimasta socchiusa. Infila lentamente la testa dentro lo stanzino e non vede nulla, illumina con la torcia e si rende conto che è rimasto tutto come l'ultima volta ma oltre a ciò si assicura che non ci sia nessun altro oltre che loro.
"È vuoto - dice - entriamo."
Montagne di scatole una sopra l'altra, casse di legno sparse per il magazzino, le ragnatele sul soffitto - "Non è cambiato un cazzo." - commenta Elia.
Non perdono tempo e ispezionano qualsiasi genere di contenitore fino a quando Marcus non trova quello giusto - "Trovato, 9mm." - frugano con tutte e sei le mani e prendono i caricatori fino a riempirsi le tasche della felpa e dei pantaloni.
"Torniamo alla macchina." - ordina Marcus.
Ma inaspettatamente una luce si accende, si insospettiscono e alzano la testa. Osservano la luce del lampadario diventare fissa. Sale la preoccupazione così come la sensazione di non essere soli dentro al magazzino - "Chi l'ha accesa?" - chiede Elia inquieto.
Andrea risponde balbettando - "Non ho toccato niente."
Marcus controlla se c'è qualcosa di strano oltre alla luce. È nervoso, si guarda intorno intimorito e sospetta il peggio. Tutto è uguale a prima, la disposizione confusa delle scatole e la puzza di legno marcio; ma nella sua testa si inanellano una serie di brutti presentimenti - "Andiamocene." - ribadisce cercando di coprire la sua voce sommersa dall'ansia.
Si dirigono verso l'uscita ma alle loro spalle si spalanca la porta e compare un uomo robusto, rugoso, con una barba così lunga che scende in linea col suo petto. Coglie sul fatto i tre ragazzi e imbracciando un fucile da caccia urla - "FUORI DAL MIO NEGOZIO."
Loro rimangono pietrificati alla sola vista di quell'arnese così grosso e carico di colpi. Le loro facce sbiancano dal terrore ed esso è così forte da impedirgli ogni tipo di movimento.
"Via!" - grida Marcus, che scappa verso l'uscita.
Elia e Andrea si buttano a lato istintivamente, riparandosi dietro gli scaffali. L'uomo inizia a sparare e i suoi proiettili disintegrano le casse in legno. Spara a qualsiasi cosa si muova cercando di mirare ad altezza uomo. Quando il polverone si infittisce e annebbia la vista, spara alla cieca col solo obiettivo di spaventare i tre ladruncoli. Si ferma solo quando non ha più colpi, per aprire il fucile e ricaricare. Andrea ne approfitta per uscire dal suo riparo e sparargli addosso. Spara un paio di colpi non precisi, gli sfugge la pistola dalle mani ma una pallottola di queste si conficca nel polpaccio. Lui cade dal dolore e il fucile gli sfugge. Andrea, senza più l'arma, si rintana dietro le macerie delle cassette. L'uomo urla dal dolore e preme sulla gamba per fermare il sangue. Trascina se stesso per riprendere il fucile, cercando di ignorare il male atroce e il sangue che colora la gamba di rosso. Elia è scaltro, lo raggiunge e punta la pistola alla nuca. Lo fredda prima che riesca a dire una vocale o un qualsiasi lamento di dolore. Il sangue schizza sul viso e sulla sua maglia, il cadavere dell'uomo cade di lato senza più una vita.
"State tutti bene?" - grida Elia col fiatone.
"Sì." - risponde Andrea, che esce dal riparo e recupera la sua arma.
"Marcus?" - non risponde.
“Marcus, stai bene?”
Guardano verso l'uscita e notano delle macchie di sangue sulla porta e sul pavimento. Si fiondano fuori e trovano Marcus accovacciato con la schiena appoggiata al muro e la mano a comprimere l'addome - "Aiutatemi." - singhiozza. Toglie la mano, così piena di sangue che colano gocce sull'asfalto, e mostra loro il suo addome ferito.
Elia si accovaccia e gli tampona la ferita con la mano - "Merda! tranquillo, non è niente."
"Che cazzo facciamo?" – gli chiede Andrea, preso dal panico.
"Ce ne dobbiamo andare subito." – si toglie la felpa e la usa come tampone.
"Dobbiamo passare dall'ingresso principale."
Andrea rientra, in preda alla confusione, perquisisce le tasche del cadavere e trova delle chiavi. Apre la porta dalla quale è comparso poco prima e si trova nel buio; dentro il negozio vero e proprio. Di fronte a lui c'è la porta d'ingresso e la saracinesca abbassata. Le prova tutte finché non trova quella corrispondente alla saracinesca. La tira su e sfonda la porta con una spallata. Intanto Elia ha preso le chiavi della macchina dai pantaloni di un Marcus sempre meno cosciente. Lo tira su e cammina con lui in braccio.
"Andrà tutto bene, hermano." - gli sussurra all'orecchio.
"Non mi hai mai chiamato così."
Andrea gli apre lo sportello, Elia lo adagia piano per causargli il minor male, fino a sdraiarlo.
Si avvicina un uomo con una vestaglia, svegliato di soppiatto dalle esplosioni, corre e grida ad alta voce - "Cosa sta succedendo? Ho sentito degli spari."
Andrea sente solo la voce, non lo ha visto nemmeno in faccia e non sa che tipo è, tanto basta per innervosirlo. Sbatte la portiera, si gira verso di lui, prende la pistola, urlando e gridando con tutta la collera che ha dentro scarica una raffica di colpi sul pover uomo che viene colpito più volte e cade a terra. Ricarica la sua arma e infierisce su di lui, nonostante sia già morto. Elia lo ferma e lo spinge via da quell'uomo. Si guardano a vicenda. Elia vede il volto di Andrea stravolto dall'ira, stracolmo di rabbia, si rendono conto che i loro ruoli si sono per un attimo invertiti. Andrea è diventato senza scrupoli e non ci ha pensato due volte prima di sparare. Elia invece è dovuto intervenire per fermare il compagno, mostrando e capendo la gravità del guaio. Si accorgono delle finestre aperte e delle luci nelle abitazioni limitrofe. La sparatoria ha risvegliato il quartiere nel pieno della notte.
"Noi ora saliamo in macchina e ce ne andiamo. Subito!"
Salgono in macchina, Andrea si siede dietro per stare con Marcus e tenerlo impegnato. Ha la sua testa appoggiata tra le gambe - "Fa tanto male?" - gli chiede.
"Perché lo hai ammazzato, coño?"
"Tu non ti preoccupare, pensa a te stesso."
Fa fatica a respirare, tiene la bocca aperta per raccogliere più ossigeno ma passano i minuti e lui si sente sempre più debole, gli mancano le forze perfino per spostare la testa. Sbatte le palpebre e biascica parole incomprensibili - "Ho freddo." - dice, i brividi sulle braccia e il viso pallido gli danno ragione. Le derapate di Elia, le curve percorse a una velocità consistente e il fischio delle gomme lo tengono sveglio.
Andrea è spaventato, lo guarda senza trovare le parole e il volto di Marcus trasmette rassegnazione - "Dove cazzo lo portiamo?" - chiede ad Elia.
"Non lo so, non so che cosa fare."
Marcus risponde a fatica - "Portatemi a casa nostra. Voglio vederla per l'ultima volta."
"Marcus stai zitto, non dire niente."
"Dobbiamo portarti in ospedale."
"Vedete di non fare cazzate, hijos de puta. Non possiamo andare da nessuna parte e voi lo sapete bene."
"Vato, noi ti portiamo in ospedale." - insiste Andrea, sempre più disperato.
"Odio dirlo ma ha ragione - Elia si rassegna, pronuncia quelle cinque parole sovrastato dalla paura - Abbiamo le mani legate."
"Cosa vuoi dire?"
"Non lo possiamo portare in ospedale."
"Ely, sta morendo davanti a noi, cazzo!"
"Sii ragionevole. Non possiamo fare niente perché siamo dei fuggitivi di merda. Non possiamo andare da nessuna parte, non possiamo rivolgerci a nessuno perché ci arresterebbero tutti, lo capisci? - la voce si rompe dalla tristezza per aver messo il bene comune davanti a tutto e così sacrificando la vita del suo migliore amico - scusa Marcus..."
"Non ti preoccupare, lo farei anch'io al posto tuo."
"Shh, risparmia il fiato." - Andrea gli accarezza i capelli e tiene stretta la sua mano.
"Avevo immaginato tutto."
"Immaginato cosa?"
"Che sarebbe finita così."
"Non ti devi sforzare, Marcus, cerca di riposare."
"No fatemi parlare, tra poco il riposo sarà la mia unica scelta; per quello c'è tempo. Io l'ho capito che sarebbe finita male. Per quello insistevo tanto con il telescopio. Volevo vedere lo spazio prima di finire in carcere o prima che qualcuno mi uccidesse. Volevo ammirare la luna da vicino e tutte quelle stelle che ho imparato ad individuare a occhio nudo. Sapevo che ci sarebbero stati problemi ma non sapevo in che modo uscirne. Sapevo che potevamo contare sulla casa ma non per l'eternità. Ho sbagliato a non pensare a una sistemazione alternativa. Vi ho messo in mezzo a un brutto guaio, è tutta colpa mia."
"Siamo tutti responsabili - gli risponde Elia - se pensi di avere queste colpe non ti addossare anche le nostre."
"Mi sa che non faccio in tempo ad arrivare a casa, sono obbligato a salutarvi prima."
"Chiudi quella cazzo di bocca, hermano." - lo sgrida Andrea tra le lacrime di disperazione.
"No coño, lo sento. Non muovo più le gambe, ho un formicolio tremendo alle braccia, vedo doppio, forse triplo, non riconosco la mia stessa voce. Sto per andarmene, non datemi false speranze perché mi incazzo come una bestia. Questa mia nuova vita è durata poco ed è stato il periodo più bello di tutta la mia esistenza. Nonostante la dissenteria, i morsi della fame, il caldo insopportabile, tutte le complicazioni. Rifarei ogni cosa, hermanos, sin dal primo giorno. Non mi pento di nulla e ho passato dei momenti indimenticabili grazie a voi. Vi sono grato perché con voi ho creduto di poter fare tutto, ho creduto di poter diventare qualsiasi cosa. Quando sei con i tuoi migliori amici sei il meglio di te. Hai solo energia positiva e ti senti onnipotente, quasi vicino a Dio. Con voi sono stato questo. Non vi chiedo niente. Anzi, due favori: seppellitemi vicino al fiume e continuate. Vi prego continuate e che non vi venga mai in mente di fermarvi, fatelo per me."
"Marcus, ti prego, non ci puoi fare questo."
"Vi voglio bene, hermanos." - la testa cade di peso di lato e i suoi occhi si chiudono per sempre.
Andrea urla dal dolore. Gli muove la testa, apre le sue palpebre con le dita, gli grida all'orecchio di svegliarsi immediatamente. Elia piange senza distrarsi dalla guida, le lacrime scendono in successione ma le sue mani rimangono tese sul volante e gli occhi gonfi restano fissi sulla strada.
La loro corsa prosegue nel lutto profondo e nel silenzio più triste rotto dal pianto e dai gemiti. Cade qualche goccia di pioggia sul parabrezza. Il tempo cambia, incupisce, e anche il cielo piange per Marcus. La sua carcassa viene sballottata a causa delle buche lungo la strada deteriorata dall'età, dal sentiero, che con la pioggia si convertirà in fango, e tutte le sue salite e discese. Il suo braccio è rimasto disteso lungo tutto l'addome, con il pugno stretto e deciso per darsi le ultime forze fino alla fine. Andrea è rimasto accanto per tutto il tragitto e non ha mai staccato la sua mano da quella di Marcus. L'ha tenuta sempre stretta a lui, anche dopo aver ascoltato le sue ultime parole, dopo aver visto i suoi occhi chiudersi e arrendersi dinanzi a una morte certa e inevitabile. Non ha ancora finito di piangere ma ha finito le lacrime per lui. Si formano delle rughe sulla fronte quando stringe le palpebre e i denti contemporaneamente. Accarezza i capelli di Marcus, glieli stringe e lo abbraccia forte abbassandosi con la testa e avvicinandosi alla sua, ripetendo a se stesso che gli dispiace e che non doveva finire in questo modo. Elia invece non ha ancora potuto dedicarsi un secondo al suo amico scomparso, non ha potuto guardarlo negli occhi mentre si confessava con loro e diceva le sue ultime parole, ha solo potuto guidare, scappare e nel frattempo ascoltarlo ma la circostanza non gli ha permesso di riservare a Marcus tutta l'attenzione che meritava. Ha solo potuto sentirlo andare via, spegnersi e morire senza distogliere lo sguardo dalla strada, continua a piangersi addosso perché avrebbe voluto dirgli addio in una maniera migliore; voleva che Marcus guardasse pure lui prima di morire. Esce dal sentiero e fa lo slalom tra gli alberi, fino ad arrivare a casa loro. Parcheggia la Golf e spegne la macchina.
Appoggia la fronte sul volante e dice ad Andrea - "Ora che rientriamo a casa fallo portare a me."
Escono dalla macchina e camminano fradici sotto la pioggia che cade con più frequenza. Andrea rientra a casa, accende delle candele sul ripiano per fare un po' di luce nel soggiorno, dopodiché si lascia andare sul divano. Elia dietro di lui lo segue con il corpo di Marcus tra le braccia. Alza la testa per bagnarsi e mischiare le lacrime con le gocce di pioggia. Appena entra lascia cadere il suo cadavere per terra e si siede sulle ginocchia vicino a lui. Passa una mano tra i capelli, lo guarda e riprende a versare lacrime. Si distende e lo abbraccia, appoggia la fronte alla sua e gli piange sul viso - "Mi dispiace, non doveva andare così." - Poi si alza, prende la bottiglia di whisky sul tavolo, rimasta aperta e senza tappo, e beve un sorso. Si avvicina ad Andrea per consolarlo. Gli porge la bottiglia ma lui gli fa cenno di no. Allora Elia prova a incoraggiarlo - "Dai, andiamo a fare quello che ci ha chiesto."
È d'accordo con lui - "Voglio portarlo io."
"No, Andre. Lo portiamo insieme."
Caricano il cadavere di Marcus in spalle. Passano dalla cantina, prendono una pala e una bottiglia di vino. Aprono la porta e si tappano le orecchie per proteggersi dal cigolio assordante. Entrano nel corridoio sotterraneo ed Elia illumina il percorso con la sua torcia. Camminano questo lungo corridoio dalle murature rocciose e il terreno tappezzato di sampietrini deformi. Alla fine del corridoio c'è una brevissima salita e trovano il portone. Escono dalla "caverna" e si trovano a ridosso del ponte di pietra. La pioggia ha diminuito la sua consistenza ma il cielo è ancora scuro. Camminano fino a raggiungere un sentiero e mirano una porzione di terra non troppo secca e non troppo bagnata. Posano il cadavere a terra, Andrea raccoglie una trentina di sassi nelle vicinanze e li raggruppa, mentre Elia scava una fossa prima con le mani e poi con la pala. Salutano Marcus abbracciandolo per l'ultima volta e canticchiando "A mano a mano". Spingono il suo corpo dentro la fossa e lo ricoprono prima con la terra, poi con i sassi raccolti da Andrea. Si siedono lì accanto, Andrea non si cura dell'erba bagnata e si sdraia accendendosi una sigaretta. Elia rimane seduto a bere un'intera bottiglia tutta per lui.
Andrea gli chiede - "Ti ricordi quella volta a scuola che abbiamo fatto pipì nel cestino?"
"Tra tutte le cose che abbiamo fatto ti è venuta in mente solo quella?"
"Sto pensando ai momenti più divertenti."
"Tipo?"
"Quando hai aperto il regalo prima, la faccia che hai fatto... avresti dovuto vederla."
"Immagino..."
"Dici che era destino? Quello sarebbe stato comunque il nostro ultimo momento tutti insieme?"
"Non lo so, ci pensiamo ora perché è successo quello che è successo. Se fosse andato tutto secondo i nostri piani saremmo qui a insultarci, non credi?"
"E io in mezzo a voi a dividervi perché ho la prontezza di ragionare un minimo."
"È stato così per quanti anni? 5?"
"Forse 6."
"Eppure sembra ieri."
"Sembra ieri quando ci prendevamo gioco dei vecchi sul pullman."
"Sembra ieri quando ti nascondeva lo zaino e tu pensavi fossi io."
"Era Marcus a nascondermelo?"
"È sempre stato Marcus, tu eri troppo impegnato ad incazzarti con me."
"Che bastardi infami..."
"Ne abbiamo combinate. Lascia stare quest'ultimo periodo, solo che ho la mente troppo offuscata. Ho mille ricordi che girano attorno, uno dietro l'altro, tutti confusi, appannati, non riesco a prenderne uno tra tutti."
"Sarebbe riduttivo."
"Molto riduttivo." - conferma Elia.
"Due mesi a fare castelli in aria per poi arrivare a questo."
"Che facciamo ora?"
"Uhm?"
"Non sappiamo dove andare, come muoverci, non conosciamo la zona. Era sempre Marcus a guidarci. Ora che siamo solo noi due che cazzo facciamo?"
Andrea realizza soltanto adesso la loro spacciata situazione, e invece di rispondere alle domande di Elia si mette a ridere, perché lui la risposta non ce l'ha.
"Sempre così. Siamo spacciati e invece di risolvere ci ridiamo sopra. Non è mai cambiato niente."

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