Facile preda

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La giornata passò via veloce. Il giorno dopo Deren tornò in ufficio. Non vide Huma e pensò che fosse ripartita anche lei con Ali.  Andò nel suo ufficio e come sempre controllò posta, notizie e lavoro arretrato. Arrivò Cey Cey, trafelato come sempre. 

"Signora Deren,le ho portato il caffè!"

"Grazie ma...oggi niente caffè per me!"

"Non vuole il caffè?" le chiese Cey Cey meravigliato.

"No...grazie" ripetè di nuovo Deren.

Cey Cey rimase allibito. Stava per uscire dall'ufficio quando Deren si alzò e il ragazzo non riuscì a non constatare che la donna non indossasse tacchi . Anche l'abbigliamento non era il solito, sostituito da un semplice paio di jeans, una camicetta bianca e delle basse scarpe stringate.

"Ehm,signora Deren, è sicura di sentirsi bene?" chiese il tuttofare, palesemente preoccupato.

"Sì, tutto ok Cey Cey, va pure!" gli rispose lei, presa a visionare varie bozze sparse sulla sua scrivania. 

Cey Cey uscì dall'ufficio pensieroso come non mai: era possibile che avesse usato tre "grazie" in tre frasi? Dov'era Deren? Quella non era decisamente lei: era una persona diversa che aveva preso le sue sembianze!"

Deren restò tutto il giorno nel suo ufficio, chiunque le chiese di visionare qualcosa venne accolto senza le solite grida o rimproveri. Tutti la guardavano sospettosi: cosa l'aveva fatta calmare così? Nel pomeriggio Can convocò tutti nella sala riunioni per comunicare che sua madre era ripartita e che sarebbe tornato tutto alla tranquillità di sempre. Ma a Deren non interessava niente di Huma. Fu l'unica a non esultare: restò impassibile fino a che Can non congedò tutti, poi si alzò anche lei ed uscì a prendere un po' d'aria. Due ragazzi, in pausa, si organizzavano per la serata e fumavano una sigaretta. Se ne fece dare una: era dai tempi del liceo che non fumava, perché in realtà non le era mai piaciuto. I ragazzi la guardavano sospettosi.

"Beh?! Cosa c'è? Non avete mai visto fumare qualcuno? Vi ho sentito parlare di un locale prima, è nuovo?"

I ragazzi si guardarono meravigliati e iniziarono a spiegare che era stato aperto un nuova discoteca dove poter mangiare oppure entrare dopo cena e ballare fino all'alba. Deren chiese l'indirizzo, così magari se le andava avrebbe potuto raggiungerli. I due ragazzi, sempre più meravigliati, dopo averle detto il nome del locale e la via, gettarono a terra i mozziconi e tornarono al loro lavoro.

Rientrata a casa si fece una doccia e si cambiò. Era decisa ad uscire, non aveva voglia di passare la serata da sola. Indossò un vestitino blu laminato, molto corto, abbinato a degli stivali neri alti fino al ginocchio. Si fece una coda alta: il solito caschetto lungo l'aveva stancata. Mise qualche gioiello, indossò il cappotto nero ed uscì. Aveva fame: la vecchia Deren avrebbe ripiegato su del sushi, ma quella sera non ne aveva voglia. Si fermò da un venditore di panini, di quelli che vedi un po' ovunque per strada e prese un kebab. Arrivata nel locale ordinò del vino: al terzo bicchiere cominciò a sentire la testa più leggera e andò a ballare. Le luci stroboscopiche le facevano girare tutto intorno e confondevano i volti: era circondata da una moltitudine di ragazzi e ragazze che si agitavano e ballavano. Qualcuno però le si era attaccato troppo: sentiva alle sue spalle una presenza che le alitava sul collo e le accarezzava le braccia. Per colpa del vino i suoi riflessi erano rallentati, come le sue percezioni. Si voltò e si ritrovò a pochi centimetri dal viso di un uomo non proprio giovanissimo, sudato e dall'alito pesante di alcool. Era alto, moro e dagli occhi scuri e di corporatura massiccia. Le prese il viso tra le mani e provò a baciarla, ma Deren ebbe la forza di spingerlo via e riuscì ad uscire da quella bolgia di gente. Tornò al bancone e chiese un bicchiere di acqua: per l'agitazione aveva iniziato a sudare e sentiva la gola secca. Purtroppo non si era accorta che alle sue spalle c'era il tizio di prima. Deren guardava di lato, verso la pista e non si accorse della pasticca che si scioglieva nel suo bicchiere d'acqua. Si voltò, prese il bicchiere e bevve tutto d'un fiato. Il tizio si era allontanato e la osservava: aspettava il momento giusto. Qualche minuto dopo Deren iniziò a sentirsi debole e la vista le si annebbiò. Prese cappotto e borsa dal guardaroba ed uscì. Si appoggiò al muro, chiuse gli occhi e iniziò a respirare. Non sarebbe riuscita a guidare, le gambe erano troppo pesanti, le girava la testa. Provò a staccarsi dal muro e ad andare alla macchina, ma sbandò e venne sorretta da un uomo, che lei non riconobbe, ma era lo stesso tizio che l'aveva importunata prima. Si offrì di accompagnarla alla macchina, cingendole il bacino con un braccio. Deren non gradiva, ma allo stesso tempo non riusciva a reagire: era come se la sua mente non controllasse più le sue azioni. Il tizio la fece appoggiare alla macchina, le prese la borsa dalle mani, estrasse le chiavi e aprì . Nessuno si insospettì, dal di fuori sembrava tutto normale. Ma in quel momento un'altra macchina, che cercava posto, passò proprio vicino a loro e si mise ad aspettare che la "coppia" andasse via per poter parcheggiare al loro posto. Il tizio, non troppo delicatamente, aprì lo sportello del passeggero e prese Deren per un braccio, per farla sedere velocemente nel posto del passeggero. Nel breve tragitto a Deren cadde l'elastico dei capelli ed il suo caschetto lungo ricadde sulle sue spalle. Nella macchina che attendeva di parcheggiare, il ragazzo ebbe un sussulto. Tirò il freno a mano e scese dalla sua auto, mentre quella di Deren partiva sgommando. Il ragazzo prese il cellulare e compose un numero. Un altro cellulare squillava poco lontano da lui, dentro una borsa abbandonata a terra nel posto lasciato libero dalla macchina appena partita . La prese, ne estrasse il cellulare e lesse il suo nome nella chiamata in arrivo sullo schermo: Ali.       

La linea dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora