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La cucina era la stanza più grande di tutta la casa: decorata con uno stile eccentrico, pittoresco, sembrava traboccare di centinaia di cose non proprio utili, ma poste lì come a voler riempire ogni angolo. Era quasi claustrofobica. Bisognava prestare attenzione nel muoversi al suo interno, soprattutto se non si voleva correre il rischio di sbattere la fronte contro qualche stoviglia volante: decine di pentole, coperchi, mestoli, erano stati appesi a delle grigie di metallo affisse al soffitto e stavano lì, a penzolare.
Tutto era smorzato da colori neutri, dal profumo di pane e vaniglia; lo stesso, immutato, sin da quando era bambino.

Irèné sorrise dietro la tazza di tè che sorreggeva davanti al viso, con entrambe le mani, mentre sua madre, Valentine, era intenta a riempire la superficie del tavolo di ogni tipo di cibo.
La vide scostarsi una ciocca di capelli dalla fronte con fare sbrigativo; sua madre ripeté il gesto un paio di volte, prima di, sbuffando, decidersi a sistemare lo chignon che glieli teneva legati. Gli occhi scuri si spostavano frenetici su ogni cosa, prestando attenzione a ogni gesto, anche se, apparentemente, poteva non sembrare così.

Valentine aveva degli occhi grandi, molto espressivi, spesso e volentieri incupiti da un'espressione severa. Spiccavano sul suo volto pallido, appena appesantito da piccole rughe intorno agli occhi e le labbra sottili. La sua pelle era luminosa come quella di una ragazzina, ma aveva smesso di tingersi i capelli da anni, lasciando che il naturale colore nero cedesse il passo a un cupo grigio, frammentato da sottili ciocche bianche, che restituivano della donna un'idea di età di molto superiore a quella reale: a Valentine ciò non importava, sempre così impegnata a circondarsi di concretezze, per perdere tempo dietro a cose di quel tipo, cose che lei stessa reputava stupidaggini prive di valore.

I bambini le trotterellavano attorno ancora poco svegli, ma abbastanza reattivi da riempirla di domande, seguendola in ogni azione, mangiucchiando un po' di tutto, senza mai riempirsi lo stomaco per davvero.
Il giovane scosse la testa, mentre udiva i passi di qualcuno intento a scendere le scale, producendo un gran baccano in quell'atmosfera ancora raccolta, silenziosa, di primo mattino.

-Buongiorno!- urlò Edith, sbucando nelle cucina a braccia aperte, pronta ad accogliere i nipotini.
I bambini le andarono incontro, l'abbracciarono velocemente, per poi tornare di corsa dalla nonna.
La giovane aggrottò la fronte delusa, si puntò i pugni chiusi contro i fianchi, lanciando un'occhiataccia in direzione di Valentine.
-Mamma, li vizi troppo! Così preferiranno sempre te a chiunque altro-
-Oh, cara, l'obiettivo è proprio quello- ribatté la donna con un sorrisino, stringendosi sul fianco la nipotina e baciando, contemporaneamente, la nuca di Fabien.

Irèné scosse la testa divertito.
-Guarda che ti ho visto- lo rimbeccò la sorella, puntandogli contro un dito accusatore.
-Non ti sembra di fare troppo baccano a quest'ora del mattino, mia cara?-
Martin Laurant fece il suo ingresso nella stanza strisciando i piedi, così rintronato dal sonno dal non rendersi conto, in un primo momento, della presenza di suo figlio e dei nipoti.
I bambini corsero verso di lui, mentre l'uomo strizzava gli occhi costretto da un sonoro sbadiglio.
Incassò il colpo del piccolo assalto da parte dei nipoti, sgranando di colpo gli occhi chiari, sorpreso.
Il colore delle sue iridi sembrava essersi come sbiadito nel corso degli anni, eppure, il suo sguardo era sempre acceso di emozioni gioiose, in netto contrasto con quello della moglie.

-Oh, oh! Guarda un po' chi abbiamo qui!- esclamò entusiasta, abbracciando Bèatrice e Fabien.
Irèné finì per incontrare lo sguardo del padre. Rimasero come sospesi per qualche secondo, a fissarsi, mentre tutti intorno a loro riprendevano a fare baccano.
Lo salutò a mezza voce, distolse gli occhi chiari, proprio come quelli dell'altro, socchiudendoli appena davanti i fumi prodotti dal calore del tè.

Nonostante fossero trascorsi tanti anni da quel giorno, nonostante i due si fossero chiariti, Irèné non poteva fare a meno di sentirsi in imbarazzo al cospetto del padre. Finiva sempre per percepire la sua presenza come qualcosa di ingombrante, che gli pesava sulle spalle.
Sospirò cercando di distrarsi, di scacciare quell'orribile sensazione, nella speranza di non iniziare quel weekend guastandosi l'umore a partire dal principio.
La sera successiva sarebbe stato, già, di ritorno nella capitale. A dispetto di tutto, i suoi genitori, entrambi, gli volevano bene, perciò decise di smetterla di angosciarsi a quel modo.

Dopo quella sua decisione, la mattinata procedette abbastanza tranquilla, tra scambi affettuosi e chiacchiere frivole.

Poco dopo l'ora di pranzo, il giovane lasciò i figli in compagnia dei nonni per accompagnare la sorella a fare delle compere in giro per il paese.
Non lo allettava l'idea di girovagare a vuoto, men che mai la possibilità di incontrare gente che lo conosceva sin da quando era bambino: non aveva granché voglia di soddisfare le curiosità altrui.

In molti, a Provins, non comprendevano per quale motivo avesse deciso, a meno di trent'anni, di adottare un bambino – addirittura, due! – anziché trovarsi una compagna e costruirsi una famiglia tutta sua.
Suo padre, per primo, non era stato particolarmente entusiasta della sua idea; poi si era lasciato conquistare dai nipotini e dall'affetto smisurato che nutriva nei confronti del figlio, ma anche lui, inizialmente, non si era rivelato suo alleato in quella decisione.
Molti, in paese, credevano che ci fosse sotto qualcosa, tipo una qualche cospirazione a livello mondiale, magari, ne era invischiata persino l'Interpol!
Le teorie – e più assurde erano, meglio era – si sprecavano, e nessuna di quelle si avvicinava vagamente alla verità.

A Parigi, nella grande metropoli, nessuno dei suoi conoscenti, colleghi, amici, si era mai stupito della sua scelta. Lo avevano supportato, in qualche modo, compreso; generalmente, si facevano gli affari propri.
Ed Irèné era grato loro di quello.
Avrebbe preferito avere intorno a sé soltanto gente di quel tipo, ma sapeva di non possedere un tale potere sulla propria vita, perciò cercava di andare avanti evitando, per quanto poteva, determinate, spiacevoli, situazioni.

-Hai intenzione di tenermi il muso a lungo?- gli chiese la sorella, di punto in bianco.
Il giovane sussultò, volgendosi nella sua direzione.
Edith lo guardava divertita, stringendo appena le labbra vermiglie, per soffocare un sorrisino, ma i suoi occhi scuri non mentivano, sembrava davvero molto divertita.
Il giovane aggrottò la fronte e, troppo preso dai suoi pensieri, finì per inciampare. Allungò una mano in avanti, istintivamente, mentre la sorella lo strattonava verso di sé, tirandolo dal braccio a cui si era aggrappata durante la loro passeggiata: suo fratello riuscì a recuperare l'equilibrio appena in tempo. Si bloccò in mezzo alla strada, voltandosi verso Edith con sguardo truce.

-Io non c'entro nulla!- protestò la giovane, senza riuscire a impedire a labbra e guance di tremare, a causa dello sforzo a cui le stava obbligando, continuando a trattenersi dal sorridere.
-Mi hai distratto!- protestò Irèné, scuotendo la testa imbarazzato.
Edith non riuscì più a frenarsi e prese a ridere, talmente tanto da trovarsi presto con le lacrime agli occhi.
Finì per contagiare anche il fratello e, quando si furono calmati, decise che era giunto il momento.

-E ancora non ti ho detto la novità! E tu già mi inciampi a destra e a manca. Stai attento fratellino, magari, la prossima volta, potresti finire per cadere ai piedi del principe azzurro!-
Irèné arrossì: si guardò attorno con fare circospetto, trovando i pochi paesani presenti intenti nelle loro faccende, apparentemente distratti riguardo ciò che i due stavano dicendo.
-Che intendi dire?- le chiese qualche istante dopo, mentre si aggiustava i polsini della camicia che indossava sotto la giacca dal taglio sportivo: per avere una scusa qualsiasi a impegnare le sue azioni e il suo tempo, per non essere costretto a ricambiare lo sguardo della sorella.

-Emil... è tornato- mormorò Edith.

Irèné sentì i muscoli delle spalle irrigidirsi, desiderando fortemente, di trascorrere il più velocemente possibile quei due giorni, chiuso, nascosto all'interno della villetta dei suoi genitori, lontano da occhi indiscreti.
Lontano dagli occhi... del suo primo amore.

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