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Nei giorni seguenti, Irèné tentò con ogni mezzo a propria disposizione di ignorare quanto accaduto quella sera.

La sua impresa si rivelò più ardua del previsto.
Iniziò a essere sempre più scontroso e irascibile, come se tutti gli anni trascorsi nel tentativo di costruirsi un'immagine di sé pacata e controllata, fossero andati a farsi benedire nello stesso momento in cui aveva aperto quella busta... e tutte quelle che erano giunte dopo di lei.

Ogni sera.

Sotto la porta d'ingresso.

Il giovane aveva iniziato a passare da lì con il cuore in gola, terrorizzato di vedere spuntare quel triangolino giallo da un momento all'altro; così come temeva che uno dei suoi figli potesse arrivare a raccogliere quelle buste prima di lui.

Nonostante ciò, non era mai riuscito a beccare colui o colei che si era fatto carico di quelle consegne.
Si trattava della stessa persona che aveva orchestrato quel... cosa? Non sapeva nemmeno cosa fosse, dato che oltre le fotografie, le buste non contenevano altro, né un biglietto, né una parola che potesse aiutarlo a comprendere il perché di quanto stava accadendo.

Se Fabien oppure Bèatrice si fossero trovati con quelle orribili foto tra le mani? Cosa avrebbe dovuto fare? Come avrebbe potuto spiegare loro il... significato?

Scosse la testa.

Si guardò intorno con fare circospetto, mentre dagli altoparlanti della stazione veniva diffusa una voce di donna, che annunciava l'arrivo del successivo treno.

E se qualche suo vicino, mentre loro erano in paese, avesse raccolto e aperto la sua posta clandestina?

Non che i suoi vicini gli avessero mai causato grandi problemi, ma quella situazione gli stava creando un disagio così grande, da fargli temere e dubitare di tutti coloro che lo circondavano.

L'artefice delle lettere doveva essere una persona che lo conosceva, o quanto meno, che lo seguiva da un bel po'.

Da almeno un anno e mezzo.

E lui non si era accorto di nulla.

Salì sul treno stringendo la manina di Bèa nella propria, tirandosi dietro il trolley, mentre con gli occhi seguiva Fabien camminare davanti a loro in cerca di tre posti.

Se davvero quella persona lo conosceva, sapeva che non sarebbe stato in casa durante il weekend: magari avrebbe sospeso l'invio delle lettere.

Arrivarono a Provins in tarda mattinata e trovarono Edith ad attenderli in stazione.

-Ciao, fratellino!- esclamò la giovane, cingendogli il collo con le braccia.
Irèné si irrigidì, senza riuscire a ricambiare l'abbraccio della sorella.

Edith si scostò un po' da lui, fissando gli occhi scuri in quelli chiari del fratello: aggrottò la fronte, rendendosi immediatamente conto che qualcosa non andava.

Il giovane cercò di smorzare i sospetti dell'altra con un sorriso, ma non riuscì a sostenere il suo sguardo, mentre la pelle tirava sulle guance, facendogli tremare le labbra.

Edith salutò i nipoti, prese in braccio la piccola Bèa.
Uscirono dalla stazione mantenendo un silenzio strano, mentre Fabien faceva scorrere lo sguardo tra entrambi gli adulti, sempre più confuso da quel loro atteggiamento.

Sua zia era sempre stata una ragazza allegra: fin dal loro primo incontro, aveva cercato di conquistarli con la sua gioia, nel tentativo di rompere ogni imbarazzo e diffidenza con i suoi modi di fare un po' pazzerelli.
Vederla tanto cupa e triste agitava il bambino, che non era in grado di capire il perché di tutta quella tensione. La sentiva come scivolare sulla propria pelle, accellerandogli i battiti del cuore, rendendo i respiri più brevi, senza che fosse in grado di dare un nome a tale emozione. Eppure, la stava vivendo, forte e vera, mentre i "grandi" continuavano a ignorarlo, chiusi all'interno dei loro pensieri.

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