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La stanzetta degli interrogatori era così piccola e angusta da suscitare un moto claustrofobico anche a chi non soffriva di tale fobia.
Ariel si guardava attorno percependo un principio di ansia iniziare ad accellerargli i battiti del cuore.
Perché si trovava lì?
Irèné lo aveva denunciato?
Nella stanza regnava un odore pesante, stantio, che sapeva di umido e nicotina e che stava rischiando di tramutare la nausea del ragazzo in qualcosa di ancora meno piacevole.

La porta venne aperta e Ariel sussultò, rivolgendo lo sguardo verso l'uomo che aveva aveva appena fatto il suo ingresso.
L'ispettore Boyer era accompagnato da una giovane agente in divisa che prese posto al fianco del collega, sedendosi di fronte al loro sospettato.
Fu l'agente a dirigere l'interrogatorio, cercando di carpire informazioni dal giovane che riguardassero Roland e il suo presunto ritorno.

Lo sgomento di Ariel nell'apprendere di trovarsi lì non per ciò che aveva combinato contro Irèné, ma per via di suo fratello, si dissolse presto, lasciandolo confuso e spaventato.
-Mio fratello è morto- mormorò sempre più stupito, mentre i due poliziotti lo fissavano con sufficienza, lasciando che la loro diffidenza nei suoi confronti trasparisse nel modo più palese possibile.
Ariel iniziò a innervosirsi: come poteva dimostrare loro di non sapere di che diavolo stessero parlando se, a prescindere, sembravano non voler credere alle sue parole? 

-Ci è stato riferito che potrebbe essere ancora vivo- disse l'agente Jean, pronunciando ogni parola molto lentamente, scrutando il giovane nel tentativo di scorgere ogni più piccola, sua reazione.
Ariel serrò le labbra e si limitò a scuotere la testa, quasi con violenza.
-È morto- ribadì.
-E questo, allora, chi sarebbe?- domandò l'agente, lasciando scivolare sulla superficie del tavolo una fotografia che aveva pescato dal sottile fascicolo che aveva con sé.

Il giovane sgranò appena gli occhi, la vista sembrò appannarsi un po', restituendogli un'immagine di insieme poco chiara: più cercava di leggere ciò che aveva davanti a sé, meno riusciva a rendere precisi i contorni della figura ritratta all'interno della fotografia.
Con mani tremanti la raccolse dal tavolo, avvicinadola al viso, cercando di contenere l'emozione che l'aveva colto non appena la forma di quell'uomo era di colpo divenuta riconoscibile.

Deglutì un paio di volte, tentando di scorgere il più piccolo particolare che potesse aiutarlo a smentire l'identità di quell'individuo: nella foto indossava una felpa di colore rosso e un paio di jeans, non c'era un solo centimetro di pelle scoperto più del necessario, perciò non riuscì a scorgere il tatuaggio a forma di serpente che Roland si era fatto fare intorno ai vent'anni sul braccio destro.
Nonostante ciò, sembrava lui, sembrava suo fratello: rabbia e gioia iniziarono a lottare dentro di lui.

Sarebbe stato felice se suo fratello fosse stato ancora vivo. Allo stesso tempo non avrebbe potuto fare a meno di essere anche arrabbiato con lui per averlo abbandonato, per avergli spezzato il cuore.
-È suo fratello?- domandò l'agente Jean, e suo malgrado Ariel finì per annuire debolmente.
La donna trasse un lungo sospiro, scambiandosi uno sguardo di sottecchi con il suo collega: l'ispettore Boyer scosse la testa senza aggiungere una sola parola.
-Mi dispiace, signor Morel- disse la poliziotta, allungando una mano nella sua direzione per recuperare la fotografia.

Ariel si passò una mano sulle guance, cercando di asciugare le lacrime che, ribelli, erano fuggite ai suoi occhi.
Strinse la foto tra le mani, mentre l'agente ne afferrava un angolo senza, tuttavia, tirare. Attese che fosse il giovane, spontaneamente, a lasciare la presa, anche se sembrava che quello non fosse affatto intenzionato a restituirla loro.

-Non è suo fratello, signor Morel- sussurrò l'agente Jean con delicatezza.
Il giovane mollò di colpo la fotografia, troppo stupito da quelle parole. La donna la prese in consegna, rimase a fissarla per qualche secondo prima di inserirla nuovamente nel fascicolo.
-È un attore- gracchiò l'ispettore: -Uno di quelli che si mantengono lavorando per un'agenzia che presta quelli come lui a piccole farse familiari: scherzi, soprattutto. Il caso ha voluto che questo signore assomigli molto al suo defunto fratello- gli spiegò, schiarendosi più volte la voce.
-Un attore?- chiese Ariel, aggrottando la fronte.
-Il suo nome è Edgard Barbier. Assomiglia molto a suo fratello, ma non è lui. Anche se sospettiamo sia stato ingaggiato per perseguitare qualcuno a causa proprio della sua somiglianza con suo fratello-
-E credevate l'avessi assoldato io?- chiese Ariel, sentendosi sempre più devastato da quella situazione: aveva appena pianto per un uomo che non conosceva e i due poliziotti gli avevano mostrato quella fotografia volutamente senza informarlo preventivamente che non si trattava di Roland.
Volevano tastare la sua reazione? Benissimo, l'avevano ottenuta: non c'entrava con quella faccenda.

PRÈS A TOI Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora