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Il rientro nella casa dei genitori, per Irèné, si rivelò una mezza impresa epica. Aveva le braccia cariche di buste e tra le mani reggeva delle scatole dalle rifiniture eleganti, sormontate da fiocchi enormi e colorati. Edith gli piroettava attorno, tra un saltello e l'altro, prendendolo in giro per il suo scarso equilibrio, facendolo sussultare a ogni occasione, lasciandosi andare a fastidiosi urletti di ammonimento ogni volta che il fratello rischiava di rovesciare al suolo tutto ciò di cui lei lo aveva caricato.
Il ragazzo si maledisse mentalmente per averla accompagnata a fare compere, grato che si trovassero, ormai, nei pressi dell'abitazione dei loro genitori.

Varcarono il basso cancello in ferro battuto che delimitava la proprietà. Il giovane ebbe tempo di muovere ancora un paio di passi, prima di essere urtato violentemente da qualcuno.
Tra lo stupore di Edith e pacchi, sacchetti che erano caduti, spargendosi sull'erba del piccolo prato che circondava l'intera villetta, Irèné dovette ignorare il dolore sordo alla natica destra, scaturito dalla caduta, mentre la sua attenzione veniva interamente catturata da Fabien. Suo figlio gli era finito in grembo e agitava le braccia cercando un appiglio, continuando a scusarsi. Aveva una benda sugli occhi, che in realtà era una sciarpa scura, di un tessuto molto spesso, legata saldamente con un nodo sulla nuca.

-Che diavolo sta succedendo qui?- domandò confuso, affrettandosi a liberare la vista del figlio dall'impedimento di stoffa.
-Oh mio Dio! Fabien! Stai bene?- a porre quella domanda fu una giovane ragazza, che si precipitò di corsa, tallonata da Bèatrice, presso il gruppetto nei pressi del cancelletto, cadendo sulle ginocchia, pronta ad aiutare Irèné nello sciogliere la benda improvvisata.

-Sto bene- sussurrò il bambino e la pelle di collo e guancie gli si tinse di un rosso vivo a causa dell'imbarazzo, non appena si rese conto di essere finito addosso al padre.
Il giovane gli rivolse un'occhiata severa, ma non gli mosse altro rimprovero, vedendo che il figlio abbassava gli occhi al suolo, mortificato per via dell'accaduto.

-E tu chi saresti?- chiese Irèné, rivolgendosi alla ragazza. Si alzò da terra, portandosi dietro il figlio, aiutandolo a tornare in piedi. Si assicurò velocemente che il piccolo non avesse riportato qualche ferita; si spazzolò i vestiti con fare approssimativo, per poi puntare gli occhi chiari in quelli della giovane, anche lei tornata in posizione eretta.

Edith batté le mani l'una con l'altra davanti al viso, cercando di smorzare la tensione che si era creata.

-Lei è Camille...- incominciò col dire sua sorella, subito interrotta dalla ragazza.
-Sì, il mio nome è Camille, abito qui vicino. Ero venuta a trovare Valentine, ma lei era impegnata in una telefonata, e ho cercato di passarmi il tempo giocando con i suoi nipoti-
Il giovane rimase immobile per qualche secondo, cercando di raccogliere le idee. Sentì la mandibola irrigidirsi nello sforzo di non lasciarsi sfuggire parole che avrebbero potuto innescare un piccolo cataclisma: Irèné era un tipo parecchio emotivo, ma non gli andava di darla vinta alla rabbia; sapeva che non ne sarebbe uscito nulla di buono.

Da quando era diventato papà, soppessava sempre ogni più piccola emozione: era stancante, alla lunga, anche deleterio, ma, sin da ragazzino, Irèné non aveva mai conosciuto mezze misure. Tutto, per lui, era sempre stato bianco o nero: credeva fermamente nelle sue idee e le difendeva a spada tratta, con ardore.
Quello, però, non sempre si rivelava qualcosa di piacevole, soprattutto quando travalicava i limiti del buon senso, dando sfogo alla propria ira.
Non diventava mai violento, ma le sue parole potevano trasformarsi come lame molto affilate, ferendo senza pietà.
Ne aveva pagato le conseguenze a caro prezzo, sia da ragazzino che nel più recente passato.

Sospirò, portandosi una mano a una tempia. Socchiuse gli occhi e scosse piano la testa, prima di riportare la propria attenzione sulla giovane. Mostrava un'età compresa tra i dodici e quattordici anni; aveva grandi occhi chiari e labbra carnose. Stava lì, con una gamba a tremare a causa del nervosismo, tenendo le braccia incrociate sul seno ancora acerbo.
La sua espressione era un misto tra senso di colpa e insofferenza: due sentimenti così constranti tanto da spiazzare chiunque la osservasse.
La vide cercare di allontanare i lunghi capelli dal viso, mentre una leggera brezza non faceva altro che muoverli nell'aria, solleticandole le guance e il naso.

PRÈS A TOI Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora