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Ariel andò via poco dopo, senza che Irèné riuscisse a muovere un muscolo.
Non fu in grado di dire nulla riguardo l'accaduto: sapeva, sin da quando aveva intrapreso la sua relazione con Roland, un paio di anni prima, di aver catturato anche l'attenzione del fratello.

Ma, fino a quel momento, era stato fermamente convinto che quanto accaduto con il suo ex avesse spento, definitivamente, i sentimenti dell'altro.

Evidentemente si sbagliava.

Quando la porta si chiuse alle spalle di Ariel, il giovane tirò un sospiro di sollievo.

Poteva far finta che nulla fosse accaduto?

Non ne era sicuro e sapeva che avrebbe pagato a caro prezzo le conseguenze di quel suo dubbio.

Scosse la testa, lasciandosi cadere sulla stessa poltrona che aveva occupato l'altro sino a poco tempo prima.

Chiuse gli occhi, sentendo un principio di dolore appessantirgli la testa.

Non ebbe modo di riprendersi del tutto, difatti, pochi istanti dopo, qualcuno bussò alla porta del suo ufficio.

-L'appuntamento delle undici- lo avvisò il suo segretario.

Il giovane rimase a fissarlo per un po', domandandosi se fosse il caso, oppure no, di urlargli contro tutta la sua frustrazione riguardo le scarse competenze professionali che aveva dimostrato: come aveva osato far entrare Ariel nel suo ufficio senza neanche avvisarlo?

Alla fine si decise di tacere, limitandosi a fargli un cenno con la mano, in segno di assenso.

Si alzò dalla poltrona, sistemandosi il bavero della giacca.

Un breve colpo contro la superficie, e la porta venne aperta nuovamente, lasciando che Emil Girard facesse il suo ingresso nella stanza.

E sì, in quel momento Irèné desiderò con tutte le sue forze avere la possibilità di urlare.

-Che ci fai qui?- gli chiese a bruciapelo, senza riuscire a celare il suo disappunto per quell'inaspettata intrusione.
-Girard. Alle undici. Oggi-
-Di solito viene tua madre-
-Di solito, si occupava del nostro caso l'altro notaio. Anche se non riesco ancora a capire come a mio padre sia venuto in mente di rivolgersi a questo studio, sapendo che ci lavoravi tu-
-L'altro notaio è andato in pensione la settimana scorsa. Per quanto riguarda tuo padre, ho saputo... quando siete venuti qui un mese fa-
-Per la lettura del testamento- puntualizzò Emil e Irèné si limitò ad annuire, esausto.

Rimasero in silenzio per i successivi secondi, mentre l'imbarazzo sembrava riempire la stanza, come azzerando l'aria, impedendo loro di respirare normalmente.

Irèné invitò l'altro ad accomodarsi, mentre prendeva posto dietro la scrivania, cercando di farsi bastare quel minimo ostacolo fisico tra di loro.

Emil si sedette.

Il silenzio divenne sempre più evidente e carico di tensione.

Nessuno dei due sembrava intenzionato a spezzarlo.

Nessuno dei due sembrava possedere abbastanza coraggio da sollevare lo sguardo per incontrare quello dell'altro.

Sarebbero potuti rimanere in quel modo in eterno: Irèné non credeva sarebbe stato piacevole, perciò decise di rendersi fautore delle successive azioni e parole, di modo da spezzare quello stallo.

-Mi dispiace per tuo padre- sussurrò, tentando di iniziare quella conversazione con toni meno bellicosi, rispetto quelli che l'altro aveva tenuto con lui il giorno prima.
Emil si strinse nelle spalle.
-Non ci parlavamo da anni-
-Sarà stato, lo stesso, molto difficile-
-Non credo che questo sia affar tuo- sbottò il moro.

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