- Interludio -

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NB: Questo Interludio si colloca all'interno del Capitolo 2 - Swing, poco dopo il disastroso Picnic.
Sono ricordi di Crowley, di un tempo passato, e legati alla poesia Lamia che Aziraphale gli ha letto durante il picnic. Mi sono presa la libertà di associare Crowley alla figura di Joseph Severn, grande amico di John Keats. Non me ne vogliate.



Dopo aver salutato Aziraphale, Crowley corse a casa, andando alla massima velocità consentita dalla Bentley.

Quando arrivò all'appartamento, dopo nemmeno una quindicina di minuti, si chiuse dietro le spalle la porta, sbattendola.

Gli ci era voluto tutto l'autocontrollo possibile per non esplodere durante quella giornata. Quel picnic che Aziraphale gli aveva promesso dagli anni '60 aveva finito per trasformarsi nella più assurda delle giornate, e per lui un vero inferno. Non che non lo conoscesse, l'inferno, ma gli era sembrata cento volte peggio.

Aveva ancora il sangue che gli pulsava nelle tempie.

Quel dannato angelo aveva avuto la sfrontatezza di suggerire che la loro relazione potesse cambiare, adesso che l'Apocalisse era stata sventata. Come si era permesso? Crowley era furibondo. LUI aveva avuto il coraggio di chiederglielo prima, quando ancora rischiavano tutto, quando la loro vita era in ballo. LUI non aveva avuto timore di dirgli quanto gli era sempre stato caro, mentre l'angelo aveva sempre negato tutto. E ORA VOLEVA CHE LUI CADESSE AI SUOI PIEDI? Poteva scordarselo. Non avrebbe mai ceduto, mai, nemmeno in un miliardo di anni.

Crowley non si era curato di accendere la luce in casa - ci vedeva perfettamente anche al buio - e camminava nervosamente nella penombra, pieno di una rabbia che premeva per uscire, come una piena da una diga.

Le piante erano visibilmente terrorizzate e tremavano piano, nella speranza di non avere nemmeno una macchia sulla più piccola delle loro foglie, e che il loro personalissimo dio, nel caso, non la notasse.

Crowley quella giornata aveva ostentato stanchezza più che rabbia, per non dare ad Aziraphale la soddifazione di vedere quanto soffrisse (si, aveva urlato un poco, ma non si era esposto troppo). Soprattutto aveva cercato di trasmettere disinteresse, come se fosse già andato oltre la cosa, in modo da umiliarlo per quello che gli aveva proposto: umiliarlo almeno quanto si era sentito umiliato lui quando l'angelo si era rifiutato di scappare con lui su Alpha Centauri.

Quella stupida stella, che Crowley aveva fatto sì che fosse chiamata con le loro iniziali. Oh, sì, era stato uno stupido. Un demone innamorato, di un angelo per giunta.

E come se non bastasse, Aziraphale aveva deciso di leggergli proprio QUELLA poesia.

Forse, se la scelta fosse caduta su qualasiasi altro brano non sarebbe andata così, ma il caso aveva voluto che Aziraphale non conoscesse il retroscena, nè che Keats, quasi duecento anni prima, l'avesse scritta per lui.

Si ritrovò senza nemmeno rendersene conto di fronte al quadro che copriva la sua cassaforte.

L'aprì, spinto da un impulso irresistibile. Conteneva tra le varie cose, una cartelletta di pelle invecchiata e annerita per essere stata toccata innumerevoli volte. La tirò fuori, senza curarsi di richiudere lo sportello dietro di sè, e sprofondò sull'immenso divano del suo soggiorno, su di cui appena qualche giorno prima anche Aziraphale si era seduto.

Aprì la cartella.

Al suo interno, alcune lettere scritte con una calligrafia elegante ed antiquata, obliqua. Erano chiaramente scritte da una mano fine, ma maschile. Infine, c'era anche un piccolo diario, anche questo rilegato in una pelle che probabilmente un tempo era stata di un bel rosso fiammante.

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