3. Touch

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Your touch, your skin, where do I begin?
No words can explain the way I'm missing you
Deny this emptiness, this hole that I'm inside
These tears, they tell their own story

❄️❄️

Se avesse dovuto pensare ad un aggettivo per descrivere la stanza in cui stava, molto cautamente, per muovere il primo passo, la ragazzina non avrebbe potuto scegliere altra parola se non "accogliente".

A differenza della sua piccola ma luminosa stanza, la stessa che aveva imparato, chissà come, ad amare nonostante il suo semplice e sterile candore, quella in cui stava entrando era vissuta, amata e calda. Di bianco non c'era nulla, nemmeno i muri, che erano invece color crema, con una parete soltanto colorata dello stesso verde che ogni tanto, tra una nevicata e l'altra, si scorgeva dalla punta innevata dei pini che attorniavano l'ospedale. Tutti i mobili erano di legno scuro, lucidi e puliti, e tante cornici decoravano le pareti chiare, alcune contenenti foto, altre quadri e altre ancora diplomi ed attestati.
C'erano un divano color magenta, una libreria così ricolma di libri da non riuscire più a contenerli tutti, un grande tappeto, un'altrettanto grande scrivania e diverse sedie e poltrone, e ogni elemento d'arredo sembrava sposarsi a meraviglia con il resto dell'ambiente.

Era tutto dove doveva essere, esattamente al suo posto, precisamente dove avrebbe potuto creare quella sensazione di accoglienza che la ragazzina aveva sentito immediatamente non appena aveva sbirciato da dietro le spalle della sua amica, l'infermiera Karen, con occhi curiosi e attenti.

Aveva avuto paura, la ragazza, al pensiero di conoscere il suo psicologo, la sola idea l'aveva tenuta in ansia per ore, ma adesso la paura e l'ansia sembravano essere del tutto svanite, scomparse, lasciando il posto ad una curiosità e ad una speranza che non si era resa conto di sentire fin dentro alla pancia; in fin dei conti stava per conoscere l'uomo che, a detta della sua amica Karen, sarebbe stato il suo punto di svolta, e Dio solo sapeva quanto la povera ragazzina ne avesse bisogno.

"Siediti qui, tesoro, accomodati. Il dottor Wheeler arriverà a momenti, io vado a prenderti dell'acqua intanto, va bene?" le sorrise Karen indicandole il divano color magenta scuro, affrettandosi a sistemare per bene i cuscini prima di farla accomodare, temendo fosse ancora dolorante dopo soli pochi giorni dal suo effettivo risveglio, poco più di una settimana da quando era miracolosamente sopravvissuta ad una delle tempeste di neve più aggressive degli ultimi 30 anni.
La ragazzina si sedette composta, stringendo appena i pugni per il dolore contro il morbido materiale dei pantaloni grigi che l'infermiera le aveva portato quella mattina, apposta per quell'incontro con l'ennesimo medico. Trattenne il fiato appena un attimo alla fitta al fianco, chiudendo gli occhi stretti stretti ma affrontando il dolore senza una parola né un lamento. Quando riaprì le palpebre, Karen era ormai sulla porta ma ancora rivolta verso di lei con sguardo preoccupato ed impietosito. Certo, ormai a quello stesso sguardo la ragazzina si era abituata, dato che tutti la guardavano così, anche quando cercavano in ogni modo di mascherarlo. Ma non si era ancora abituata a sentirsi una causa persa, per tutti ma soprattutto per se stessa. Senza speranze.

La porta si chiuse con uno scatto e venne riaperta solo un minuto più tardi, ma questa volta a spuntare da dietro la porta non furono i perfetti capelli cotonati e biondi della sua cara infermiera, no, fu piuttosto un ammasso disordinato di boccoli scuri, quasi neri, sparati in ogni direzione come se la persona cui appartenevano si fosse appena alzata dal letto. 'E chi lo sa, magari è proprio così' penso la ragazzina trattenendo un sorriso. Se quello era il dottor Wheeler come presupponeva fosse, non aveva certo l'aspetto del più rinomato psicologo dell'ospedale, e figuriamoci se avrebbe fatto il miracolo che la piccola tanto sognava.
Aveva attraversato la porta sorreggendo un numero ridicolmente elevato di borse, libri, quadernini e agende, e nel tentativo di non far cadere la borsa marrone che gli stava scivolando dalla spalla non aveva ancora alzato lo sguardo dal pavimento, mostrando alla ragazzina solo una nuvola di ricci scuri e un abbigliamento decisamente troppo informale per essere un vero medico.
Fu solo quando raggiunse la scrivania che il ragazzo, appoggiandoci sulla superficie tutti i libri con uno sbuffo e un "ma che cazzo" molto poco elegante, alzò finalmente la testa, bloccandosi sul posto come se fosse rimasto paralizzato, facendo cadere a terra la sua borsa marrone con un tonfo attutito dal tappeto.

Lights Up || MilevenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora