Capitolo 8

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"Costui che nullo amato amar perdona mi prese del costui piacer sì forte, che come vedi, ancor non m'abbandona. Caina attende chi a vita ci spense, queste parole la lor ci furon porte"

La prima volta che Ade aveva visto questi versi era ancora in seconda media, aveva le guance piene, costellate da lentiggini e un paio di occhiali spessi sempre sulla punta del naso.

Era un martedì, se lo ricordava eccome.

La sua professoressa, Eleonora Catulpo, indossava uno strano maglione color cachi;

quel pomeriggio si sarebbe dovuta incontrare per un primo appuntamento con Giampiero, il suo fidanzato del momento alla gelateria del centro e non faceva che farfugliare cose riguardo ai tacchi che avrebbe dovuto indossare e alla stradina dissestata su cui avrebbe dovuto camminare.

Non dobbiamo dunque stupirci del fatto che quel giorno, la lettura del canto V dell'Inferno non si concluse affatto e neanche del fatto che il giorno previsto per la parte finale, la Catulpo si fosse appena lasciata e che quindi la lezione consistette in una serie di "ma perché proprio a me?","ma faccio così schifo?","logorroica? Proprio io?" e alcuni versi sommessi che a causa delle lacrime Ade non era proprio riuscita a distinguere.

Insomma la storia di Paolo e Francesca aveva lasciato il posto a quella di Eleonora e Giampiero, tanto che se le avessero chiesto qualcosa riguardo l'argomento, probabilmente avrebbe descritto quella giornata di pioggia, con la sua classe, ad ascoltare i fallimenti amorosi di quella di italiano.

Chi lo avrebbe mai detto che proprio quei versi le avrebbero cambiato la vita?

Il Sig. Ripamonti, seduto sul sedile di pelle dell'aero che avrebbe dovuto portarlo sulla scena del delitto continuava a formulare delle ipotesi sull'assassino che aveva di fronte.

Beh sì, perché sicuramente si trattava di omicidio.

Qualunque caso avesse trattato in precedenza lo era, gliene venivano affidati solo di quel tipo..

Per quale motivo? Non lo sapeva. Però gli piaceva, eccome se gli piaceva, cercare di costruire la mente dell'uomo che avrebbe dovuto "sfidare", studiarla e schiacciarlo come si fa con i mozziconi delle sigarette usate, quelle che, da dove veniva lui si chiamano "cicche".

Ed era proprio per questo motivo che  stava leggendo il referto medico della vittima.

Lo strumento utilizzato era lungo dai 7 ai 10 cm, spesso all'incirca uno.

 Aveva la punta leggermente ricurva. All'interno della ferita, posta all'altezza della scapola destra, era stato ritrovato del materiale tossico raggruppato in piccoli grumi, probabilmente rilasciati dall'arma a seguito dell'impatto.

Il colpo era stato inflitto dall'alto verso il basso con una leggera inclinazione verso sinistra.

Di certo l'assassino era più alto, oppure indossava dei tacchi, cosa però da escludere, data l'assenza di "fori" nel territorio fangoso adiacente al corpo. Che non fosse stata quella la scena del delitto? Che  si fosse consumato altrove?

E poi era quasi sicuramente destrimano, data l'inclinazione..

La forma era stata associata a un uncino ricoperto di qualcosa che avrebbe dovuto ucciderla.. Ma perché impegnarsi a ricoprire l'arma se il liquido non era stata la causa della morte?

No, doveva essere parte integrante dell'oggetto... Ma cosa?

Poi un colpo di genio: una penna, l'avevano uccisa con una penna.

Spazio "autrice"

non ho riletto, lo farò domani, scusate per l'assenza

P.S. CONTINUATE A LEGGERE

-Sara

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