PROLOGO

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Inizió tutto in una triste giornata di pioggia. Il cielo era nero e le nubi andavano ad oscurare quel lembo di cielo che ancora era rimasto scoperto.
Gli uccellini avevano smesso di cinguettare, per andarsi a rintanare nei loro nidi, nonostante fosse primavera inoltrata e l'aria profumava di quell'odore tipico di una giornata piovosa.
I tuoni cominciarono a squarciare il cielo e in quell'esatto momento con la testa bassa , decisi di prendere quella poca sicurezza che avevo e di dirigermi verso la palestra.
In quel breve tragitto che mi separava da essa, feci cadere due volte gli occhiali e arruffai stressato i miei capelli già fin troppo ricci di loro.
Sospirai, cercando di raccogliere gli occhiali senza cadere nuovamente.
Chissà perché avevo l'innato dono di inciampare sui miei stessi piedi. Sono proprio un imbranato!
Arrivato davanti alla palestra, feci un profondo respiro e entrai.
L'intera squadra di basket al completo che era intenta ad allenarsi sotto la supervisione del coach, si fermó per squadrarmi dalla testa ai piedi, non appena varcai la porta.
Abbassai la testa nervoso, cominciando a guardarmi le scarpe.
-Ryan Smith giusto?-si avvicinó il coach, un uomo sulla quarantina, alto, muscoloso e calvo-quello del terzo anno che voleva fare l'audizione per entrare nella squadra?-
Io mi limitai ad annuire come risposta e in sottofondo cominciai a sentire risatine sommesse e varie voci che dicevano-ma quello sfigato? -
-ma non è un po'troppo basso per giocare a basket? -
-non riuscirà neanche a fare un canestro, ve lo dico io-
Ancora altre risate.
A quelle parole non potei fare a meno di diventare rosso e di pensare a quale sarebbe stato il miglior metodo per sotterarmi ora.
Perché hanno ragione, nonostante io abbia 16 anni, sono alto solo 1:65 e sono la rappresentazione di quello che loro considerano uno sfigato:ho una zazzera di capelli ricci indomabili che mi coprono metà degli occhi, gli occhiali da bravo secchione che sono e ho un fisico esile. Ma di una cosa sono sicuro:il mio aspetto fisico non mi impedirà di dedicarmi alla mia vera passione, il basket.
Persino i miei amici d'infanzia Nicolas e Tom, mi hanno detto che avrei fatto meglio a rinunciare, ma io non voglio farlo. Sono un buono a nulla, sono goffo e ho pochi amici, l'unica cosa che so fare è lottare per ciò che amo davvero fare. È il basket è una di quelle cose, insieme ai libri e alle serie tv ovviamente.
Il coah mi annuncia di dirigermi in campo per fare il riscaldamento, cosi dopo aver fatto 10 giri di corsa sotto lo sguardo indagatore degli altri giocatori, cominciamo a giocare una partita divisi in due squadre.
In poco tempo lascio a bocca aperta tutti, perché dato che sono piccolo riesco a prendere la palla facilmente all'avversario, a palleggiatore velocemente verso il canestro e a centrare la palla. Dopo aver fatto fare 3 tiri da tre punti alla mia squadra, molti si congratulano con me, facendomi arrossire.
-e bravo il piccoletto-mi dice uno di loro, dandomi una pacca sulla spalla.
Alla fine della partita che è finita con la vittoria della mia squadra, il coach fischia e si avvicina a me che cerco di tamponarmi il sudore con l'asciugamano che ho preso dallo zainetto.
-penso siano tutti d'accordo sul fatto che tu diventerai ufficialmente un nuovo membro della squadra-mi guarda dritto negli occhi.
Fischi e urla si levano alle sue parole, facendomi increspare le labbra in un sorriso.
Ce l'ho fatta! Ce l'ho davvero fatta! Sono così contento. Cosa potrebbe esserci di più bello nella mia vita?
-Benvenuto nella squadra-mi tende la mano un ragazzo alto almeno 20 cm in più di me, con il fisico slanciato e i capelli corti neri incorniciati da due occhi verdi mozzafiato-io sono James Williams, il capitano della squadra. Non penso di averti mai visto prima, sei nuovo? -
E in quel momento capì che forse poteva esserci qualcosa di più bello nella vita.
Con le gambe che mi si sciolgono e il cuore in subbuglio, gli stringo la mano che mi ha teso, provando una sensazione di benessere mai sentita prima.
-no.. cioè si mi sono trasferito da San Francisco, ma già da metà del primo anno-balbetto non riuscendo a mantenere il contatto visivo con quegli occhi cosi maledettamente belli.
Ma cosa mi sta succedendo?
-ah okei scusa-si gratta la testa quasi imbarazzato-probabilmente non ci avrò fatto caso, di solito non frequento molta gente del terzo anno-
-perché tu di che anno sei? - gli chiedo incuriosito.
-del quarto, ci passiamo solo un anno-mi sorride, mandando a puttane tutti i miei presupposti di continuare la conversazione senza balbettare.
Per fortuna in quel momento il coach ci annuncia che l'allenamento era finito e  che potevamo andare a cambiarci.
Io subito corro nei bagni e mi chiudo dentro, non volendo che gli altri ragazzi mi vedessero mentre mi vestivo.
Mi vergogno troppo del mio corpo gracile, l'unica cosa che amo di me sono i miei occhi azzurri come il mare che però sono ben coperti dagli occhiali, quindi nessuno ci ha mai fatto caso.
Quando mi accorgo di non sentire più nessun rumore prevenire dallo spogliatoio, mi metto lo zaino sulle spalle e sgattaiolo via furtivamente dal bagno.
Arrivato davanti alla porta che conduce al cortile della scuola che porta all'esterno, mi rendo conto di come il cielo sia diventato un enorme massa nera e grigia. Gocce di pioggia cominciano a scendere sempre più forti, accompagnate da raffiche di vento che mi fanno rabbrividire.
E adesso come farò a tornare a casa con questo tempo? Anche questa volta la mia sbadataggine ha colpito e mi sono dimenticato l'ombrello a casa.
Sospirando, mi copro la testa con il cappuccio della felpa e mi preparo ad attraversare la tempesta, quando sento una voce parlarmi nell'orecchio.
-hai bisogno di un passaggio? - apre l'ombrello sopra le nostre teste James William, rivolgendomi un sorriso radioso, sfoderando le fossette.
-non ti preoccupare..io-balbetto, diventando rosso.
-hei stai tranquillo-mi sfiora la guancia con la mano, facendomela bruciare a causa del suo tocco-per me non è un problema e poi non me lo perdonerei mai di lasciare un mio compagno da solo sotto la pioggia. Mi sentirei in colpa se ti prendessi qualche malanno. Dai andiamo-
Io annuisco, seguendolo senza piu dire una parola.
Durante il tragitto le nostre braccia si toccano di continuo e sento il suo respiro a contatto con il mio che mi fa rabbrividire ancora di più del freddo.
-hai freddo? - mi chiede preoccupato, osservando le mie spalle sussultare.
-non molto-gli rispondo, cercando di non guardarlo negli occhi.
Per fortuna lui comincia un discorso sulla squadra di basket e su come bisogna comportarsi con il coach, per smorzare la tensione e farmi sentire a mio agio.
Lo ringrazio mentalmente per questo e piano piano comincio a rispondergli e ad intervenire nei suoi discorsi.
È davvero simpatico e sa come farmi ridere e inoltre è tremendamente sexy.
Ma cosa diamine sto pensando? Non posso avere pensieri del genere su un mio compagno, non posso.
-questa è casa mia-annuncio non appena entriamo nella mia via.
-grazie del passaggio veramente non so come avrei fatto se tu non ci fossi stato-ridacchio imbarazzato, mentre mi levo lo zaino per cercare le chiavi di casa, ottenendo solo di far cadere gli occhiali per terra.
Ma perché anche in momenti come questi devo fare figure di merda?
Lui li raccoglie da terra e me li consegna, sorridendomi-non c'e di che-
Mi scruta dritto negli occhi, facendo capitolare il mio cuore, prima di esclamare-te l'hanno mai detto che hai degli occhi bellissimi? -
E da quel momento capì che quel ragazzo avrebbe sconvolto la mia intera esistenza e il mio cuore.
E questo era solo l'inizio. L'inizio in una triste giornata di pioggia.

Le cicatrici del passato Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora