1 LA REGOLA DEI TRE MINUTI

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Quella mattina, nel nostro ufficio a Piazzale della Farnesina, eravamo tutti tesi come corde di violino. Non perché nel mezzo di una delle tante crisi internazionali, ma per un motivo assai più futile, infatti, l'Onorevole Avuti - diventato Sottosegretario agli Affari Esteri - avrebbe dovuto scegliere chi, tra noi, l'avrebbe accompagnato in un viaggio di rappresentanza in Giappone, a Tokyo. Inutile dire che l'opportunità di andare nel paese del Sol Levante facesse gola a tutti in ufficio.
Seduta di fronte a me c'era Nicoletta, dolce e capace trentenne, romana di Piazza San Giovanni. Non era molto alta, ma i suoi lineamenti finissimi, uniti a quel giusto mix tra l'ingenuità fanciullesca che manifestava in alcuni suoi momenti e l'estrema caparbietà che mostrava sul lavoro facevano di lei la classica collega per la quale si sarebbe potuto anche perdere la testa.
Ad un certo punto cominciò a fissarmi, massaggiando con le sue labbra carnose il tappo della Bic nera che, nel frattempo, faceva ruotare tra l'indice ed il pollice:

-Sono sicura che porterà te, in fondo te lo meriti, con tutto quello che fai per lui...

Disse lei.

-Sinceramente non mi va d'illudermi - le risposi - certo, il Giappone lo sogno da quand'ero un ragazzino che cresceva a pane, Nutella e cartoni animati, ma sarei sinceramente felice anche nel caso in cui decidesse di portare te!

Questo bastò per far comparire sul volto di Nicoletta uno dei suoi teneri sorrisi ma, ovviamente, la mia altro non era che una frase di circostanza, perché mai sarei dovuto essere felice se l'Onorevole avesse deciso di portare lei e non me? Non scherziamo... Intimamente ero sicuro che Avuti, alla fine avrebbe scelto me, per motivi professionali, certo, ma soprattutto perché Nicoletta è una donna ed io sono un uomo a cui, oltretutto, piace divertirsi, proprio come lui.
Mancavano una manciata di minuti all'una, ed io stavo scrivendo una nota Ansa inerente alla firma dell'accordo di Oslo per la messa al bando delle bombe a grappolo, quando il telefono di Nicoletta cominciò a squillare.

-Onorevole, buongiorno!

Esclamò Nicoletta, tradendo, con l'espressione del viso, la convinzione che l'avesse chiamata per dirle che sarebbe stata lei ad accompagnarlo a Tokyo.

-Ah, ok... Francesco è qui di fronte a me, adesso glielo passo.

Disse incupendosi, e mi passò il cordless.

-Onorevole, alla buon'ora!

- Ciao Francesco, sono appena uscito da una riunione con il Ministro, hai scritto il comunicato per l'Ansa?

-Sì, l'ho appena terminato, vuole che glielo legga?

-No, no, non abbiamo tempo, al Ministro ho detto che l'hai già inviato, mandalo subito e non ci pensiamo più. Altrimenti so già che, fino a quando non vede la notizia sul sito dell'Ansa, mi stressa in continua continuazione sul telefonino.

-Ok, lo consideri fatto. Ha altre novità?

-Sì, senti la Dottoressa Battistoni per il viaggio in Giappone, ha bisogno del tuo passaporto. Entro oggi ti manderà il programma dettagliato, leggilo e prepara tutto il materiale che dovremo portare.

-Va bene!

-Ah, senti Francesco...

-Sì, mi dica...

-So che anche Nicoletta ci teneva molto a questo viaggio, trova tu il modo di dirglielo, ok?

-Ci proverò.

-Bravo. A dopo.

Non appena chiusi la telefonata mi resi conto di avere i grossi occhi da Bambi di Nicoletta puntati addosso. Per un istante mi sentii in imbarazzo, perché dal suo sguardo traspariva perfettamente il fatto che lei avesse già capito tutto. Dopo qualche secondo la sua espressione si fece improvvisamente serena, mi sorrise e, prima che riuscissi ad aprir bocca, riuscì a stupirmi per l'ennesima volta.

-Francesco! Cos'è quel muso lungo, vai in Giappone!

Disse con un sorriso smagliante.
-Lo so, infatti sono strafelice, però...

-Però cosa? Vorresti dire che sei dispiaciuto per me? Ah ah! Ma vedi d'annattene, va!!! Quando riesci a conquistarti qualcosa, devi imparare a fregartene degli altri, pensa a te stesso! Io, da quando ho lasciato quello stronzo, ho imparato a fare così. Anzi, lo sai che te dico?

Mi domandò lasciandosi andare in quella sua cadenza romanesca appena accennata che mi faceva letteralmente impazzire...

-Dimmi!

Le risposi.

-Te dico che stasera andiamo a festeggiare, ti toccherà offrirmi la cena dal giapponese!!!

Io la guardai stupito, in otto mesi ci era capitato migliaia di volte di pranzare assieme, ma mai di organizzare un'uscita serale. Cosa che ho sempre cercato di evitare proprio perché si trattava di una collega, anzi, la collega: quella che sta seduta di fronte a me per circa 10/12 ore al giorno. Se dovesse capitare qualcosa, pensavo, sarebbe un vero e proprio disastro! Dopo questo mio black out durato all'incirca una decina di secondi la guardai, le sorrisi e le risposi brillantemente.

-Affare fatto Nico, ma non tentare di farmi ubriacare per poi approfittarti di me, lo sai che non sono un ragazzo di facili costumi!

-Ma sentilo il comasco - mi rispose, stando chiaramente al gioco - davvero credi che avrei bisogno di farti ubriacare per convincerti a fare certe cose? Tzè! Se voglio sono in grado di farti strisciare ai miei piedi senza che tu nemmeno te ne accorga! Ah ah!

Accettai quell'invito che aveva preso il sapore della sfida con entusiasmo. Le diedi appuntamento alle nove e mezza in Piazza Colonna, da lì l'avrei portata al Ginza, ristorante giapponese appena aperto nella vicina via Barberini.

Lo stato d'animo con il quale mi accingevo ad andare all'appuntamento con Nicoletta era contrastante. Nella mia testa rimbombavano con insistenza un sacco di domande: che intenzioni aveva? Perché aveva accettato così esplicitamente la mia provocazione?
Allo stesso tempo, il fatto che sia stata lei a farsi avanti mi inorgogliva, e non poco. Decisi, quindi, che l'avrei presa in maniera molto easy, ovvero, non mi sarei spinto oltre un certo limite a meno che non fosse stata lei a prendere l'iniziativa e a quel punto... beh, le avrei dato quello che cercava!
Sapevo che lei sarebbe stata puntualissima e arrivai, come al mio solito, con circa tre minuti di ritardo. Era tutto calcolato, una tattica collaudata. Infatti, tre minuti sono troppo pochi per essere contestati dalla lei di turno come un ritardo vero e proprio, ma sono comunque abbastanza per tenerla, anche se per un lasso di tempo molto limitato, sulla corda.
Insomma, quei tre minuti sono una sorta di avvertimento, nel quale è contenuto un messaggio molto esplicito, qualcosa del tipo: "Stai attenta, perché se pensavi di aver trovato lo zerbino di turno disposto ad arrivare all'appuntamento mezz'ora prima per non farti aspettare, beh, ti sbagliavi di grosso. Il gioco lo comando io!".
Nicoletta era lì, appoggiata ad una di quelle ringhiere che dividono la piazza dalla strada. Ormai era buio ma, neanche a farlo apposta, proprio sopra di lei c'era uno di quei lampioni che la illuminavano di quella strana luce rossiccia. Lei indossava un tailleur nero gessato e, sotto la giacca, una camicia di raso, sempre nera. Inutile dire che stava d'incanto.
Quel riflesso dorato provocato dal lampione l'accendeva di una luce che s'intonava a meraviglia con i suoi capelli castani, che le cascavano sulle spalle con una naturalezza ed una perfezione tali che parevano disegnati. Sono certo che, se il compianto Fellini fosse passato da quelle parti e l'avesse vista, avrebbe sicuramente fatto di lei una delle sue maggiori fonti d'ispirazione! Io, da par mio, indossavo uno dei miei completi preferiti: in raso nero lucido, con la giacca leggermente sciancrata sotto la quale avevo scelto di mettere una camicia celeste, ed un pashmina rosa.

Ma non era finita perché, visto il clima mite di quella sera, decisi di presentarmi con la mia bellissima Vespa 125 del '63, perfettamente tirata a lucido nelle sue tinte bianche ed azzurre. Mi fermai proprio di fronte a lei, tolsi il casco e le sorrisi, non feci in tempo a salutarla che mi prese il collo con entrambe le mani e mi diede due baci su quella parte delle guance che traccia la linea di confine con le labbra. Dopo di che mi fissò negli occhi e mi sorrise.

-Lo sai, stasera sei più carino del solito... non è che ti sei messo idee strane in testa, vero?

-Ma figurati! Tu piuttosto, lo sai che mi stavi facendo fare un incidente?

-Ah, si? E Perché?

-Quando stavo arrivando, per guardarti, stavo finendo addosso ad una macchina... lo sai che sei proprio bona stasera?

A quel punto lei si mise a ridere, mi diede uno scappellotto sulla nuca e mi sfilò da sotto il braccio il casco che avevo portato per lei, lo indossò ed in un attimo salì sulla Vespa, dietro di me, tenendosi delicatamente ai miei fianchi.

-Annamo, va! E non correre.

-Tranquilla!

Ingranai la prima e partii, il tratto di strada che dovevamo precorrere per arrivare al Ginza era molto breve, ma bastò per farmi rendere conto che io e Nicoletta, su quella Vespa, eravamo talmente belli che la stragrande maggioranza della gente che camminava sui marciapiedi e che guidava le auto che ci passavano a fianco, si voltava per guardarci, quasi come se avessimo evocato in loro il ricordo di quella mitica scena di Vacanze Romane.

Ti odio da morireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora