2 Il viaggio a Tokio (parte 2)

150 0 0
                                    

Rimasi un po' spiazzato da quella sua risposta. Dentro di me dicevo, con tutte le cose che ci sono da vedere a Tokyo perché proprio il mercato del pesce? Ma, ovviamente, non gli dissi nulla. Dopo aver preso i bagagli ci facemmo scattare una foto con Mazza e ci avviammo all'uscita. Incredibile, la prima foto scattata i Giappone l'abbiamo fatta con un comasco... e pensare che dicono che il Mondo non è poi così piccolo!
Ad attenderci all'uscita trovammo due ragazzi giapponesi talmente sorridenti che sembravano in preda ad una paresi facciale. In mano tenevano un cartello con il bordo tricolore e la scritta "Italian delegation". Non finivano mai d'inchinarsi e, con aria estremamente ossequiosa e sottomessa, ci fecero strada sino al pulmino che ci avrebbe portati al nostro albergo.
Una volta in strada rimasi letteralmente incantato dal paesaggio di quella città così immensa e così diversa, tant'è che cominciai subito a fare foto e riprese. Sembrava di essere in un altro mondo: non c'era una sola strada che non fosse rialzata, le sopraelevate piene di auto s'intrecciavano tra loro in un immenso ricamo sopra le teste dei passanti ed attorno agli innumerevoli grattaceli. Eravamo rimasti attoniti di fronte a tanta grandezza, seppur così estrema.
Dopo circa mezz'ora arrivammo al nostro Hotel, nel bel mezzo del centralissimo quartiere di Shiba, dal quale si poteva scorgere la Tokyo Tower, rossa riproduzione della Tour Eiffel. Appena giunto in camera appoggiai il trolley ai piedi del letto e lo aprii, dovevo subito mettere il Blackberry sotto carica e preparare il completo che mi sarebbe servito il pomeriggio, per l'incontro con il Sindaco Ishihara. Come al solito impiegai qualche minuto per scegliere la cravatta, optando per quella regimental a bande oblique blu scure, celesti e rosa shocking, una delle mie preferite. Una volta in bagno mi accorsi che il water era un vero e proprio gioiello tecnologico, con una consolle laterale sulla quale c'erano i comandi che, a giudicare dalle illustrazioni molto esplicite, servivano per farsi il bidè.
Dopo l'ennesima scoperta mi spogliai e m'infilai sotto la doccia, sentivo l'acqua scorrermi addosso e trascinare via con se le ultime tossine dei mille pensieri che avevano affollato la mia mente durante il viaggio, di cui dovevo disfarmi, perché dovevo potermi godere senza alcun condizionamento quel viaggio così bello, affascinante e, allo stesso tempo, impegnativo.
Ci eravamo dati appuntamento per le 12.00 nella hall dell'albergo, scesi con un quarto d'ora d'anticipo e trovai solamente i due accompagnatori afflitti da paresi facciale permanente e Yolanda, comodamente seduta su una poltrona nella quale sembrava sprofondare. Pensai che quella sarebbe stata l'occasione buona per rompere il ghiaccio e presi posto di fianco a lei.

-Ciao Yolanda, tutto ok?

-Buongiorno Dottor De Simone...

Rispose intimidita, guardandosi la punta delle scarpe.
-No, chiamami pure Francesco, in questi giorni dovremo lavorare fianco a fianco... siamo colleghi!

Dopo quella mia risposta trovò, come per incanto, la forza di guardarmi negli occhi e persino di farmi un mezzo sorriso.

-Beh... grazie... in effetti avremo molto da fare, e poi vorrei trovare il tempo di farvi vedere le cose più importanti di Tokyo.

-Bene! Senti Yolanda, agli incontri io verrò con il mio portatile, in maniera tale che tu possa dettarmi le parti salienti de colloqui ed io possa lavorarci subito, per te va bene?

-Se va bene a lei... ehm, a te... per me va benissimo...

-Allora siamo d'accordo, vedrai che faremo un bel lavoro.

Giovanna e l'Onorevole spaccarono il minuto, ignorando che, per i giapponesi, arrivare in orario equivale ad un ritardo... infatti, non fecero in tempo a mettere i piedi fuori dall'ascensore che ci trovammo letteralmente assaliti dai due ragazzi che, con l'immancabile sorriso a trentasei denti, c'invitavano a salire sul monovolume che ci avrebbe accompagnati dal Sindaco.Il viaggio in mezzo al traffico di Tokyo filò liscio come l'olio, anche perché, tutti noi, eravamo rapiti dal paesaggio che potevamo ammirare dai nostri finestrini.
Entrammo nel parcheggio interno del Tokyo Metropolitan Government Building, che si trova nel quartiere di Shinjuku e, con nostra sorpresa, trovammo ad attenderci un centinaio di persone che sventolavano bandierine tricolore.
Quell'accoglienza così calorosa mi fece provare un'emozione indescrivibile, l'idea di rappresentare il mio Paese a decine di migliaia di chilometri di distanza mi riempì le vene di adrenalina pura, che pompava talmente forte da farmi battere il cuore all'impazzata. Una volta scesi dal pulmino ci trovammo di fronte il Sindaco Ishihara, che riconoscemmo immediatamente grazie alle foto che ci aveva mandato la Dottoressa Battistoni. Al suo fianco una foltissima schiera di autorità locali ed un numero indefinito di fotografi e cameraman, con i rispettivi giornalisti armati di microfono e block notes.
La conferenza andò benissimo e, grazie all'ottimo lavoro di Yolanda, riuscii a prendere molti appunti. Oltre che dalla caldissima accoglienza, ero rimasto colpito dall'organizzazione quasi maniacale dei colleghi nipponici in cui nulla, dico nulla, era lasciato al caso. Nel tardo pomeriggio eravamo di nuovo in albergo, con l' allettante prospettiva di goderci una serata libera a Tokyo. Per prima cosa tornai in camera e misi in ordine gli appunti, una volta finito mi buttai sul letto a sfogliare la guida che mi ero portato da casa, erano talmente tanti i posti da visitare che avevo l'imbarazzo della scelta.
Ma dovevo mettere d'accordo anche gli altri ed ero consapevole che non sarebbe stata cosa facile. Così, presi carta e penna e cominciai a scrivere un elenco dei ristoranti più particolari e caratteristici: si passava da quello con i camerieri vestiti da ninja per arrivare ai posti meno commerciali e più tradizionali. Dopo una mezz'ora abbondante sentii bussare alla mia porta. La cosa mi sembrava strana, dal momento in cui, per comunicare, avevamo il telefono fisso sul quale bastava comporre il numero della stanza da chiamare. Dopo qualche istante mi alzai, infilai la t-shirt ed aprii la porta. Ad attendermi c'era una giapponesina, non tanto alta ma con un viso davvero molto bello.

Ti odio da morireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora