Ogni volta che chiudeva gli occhi, lo sentiva.
La velocità che lo premeva contro al sedile, lo stridio dei pneumatici sull'asfalto, il suono assordante dello schianto, la forte ventata di calore delle fiamme che avvolgevano il veicolo, il sangue che colava lungo il suo corpo; ma ciò che davvero lo tormentava erano le urla.
Quelle maledette urla, grida di terrore e dolore che sentiva rimbombare nella sua testa ogni qualvolta si soffermava troppo a pensare al viso di sua sorella, o alla sua voce.Toby scosse il capo con forza.
Non poteva farsi fuorviare dalla sua testa, non in quel momento.Barcollava nei corridoi di quella clinica come un morto vivente, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e la testa quasi ciondolante, curvo in avanti.
Pareva completamente estraneato dal caos tutt'attorno a sé: non uno sguardo verso i pazienti che, come lui, erano stati liberati dalla loro prigionia, ed ora si riversavano anch'essi nella struttura, chi farneticando tra sé e sé e chi attaccando la prima cosa che vedeva muoversi nel suo campo visivo.
Non uno sguardo all'energumeno che aveva appena superato, intento a sbattere ripetutamente il capo di una guardia contro le inferrate di una finestra.
Non uno sguardo alla donna pochi passi più avanti a lui, nuda, che senza pudore simulava un atto sessuale.L'unica cosa su cui focalizzava la sua attenzione era il mazzo di chiavi attorno al collo dell'infermiere capo; il cordino con cui era legato era di colore arancione acceso, con ricamata sopra, in modo sommario e decisamente infantile, una dozzina di fiori stilizzati.
Come portachiavi pareva resistente, e di certo lo era.
In fondo, era da più o meno una ventina di minuti che Tobias lo usava per trascinarsi dietro il corpo senza vita dell'uomo.Il maledetto armadietto che doveva aprire necessitava di uno scanner d'impronta digitale, oltre che della rispettiva chiave.
Dopotutto si parlava di un posto in cui venivano tenuti farmaci, disinfettanti e prodotti simili, all'interno di un ospedale psichiatrico in cui era rinchiuso un gran numero di criminali violenti, chi verso il prossimo, chi verso sè stesso.Arrivato a nemmeno dieci passi dall'armadio, però, Toby incespicò pericolosamente.
Oltre alla perdita d'equilibrio, l'unica altra reazione del suo corpo che gli fece capire d'esser stato colpito fu il brivido che gli scosse la spina dorsale; si girò di scatto, lasciando la presa sul cordino.Alle sue spalle, un uomo tre volte lui brandiva una pesante catena di ferro.
Il ragazzo la riconobbe subito: era identica a quella cui, legato, aveva passato buona parte del tempo rinchiuso lì dentro.
Dopotutto era un pluriomicida.
Ciò che differiva però tra la catena in mano al paziente di fronte a lui e quella fissata in un angolo della sua cella era la presenza, sulla prima, di sangue e brandelli di pelle.Toby si sentì mancare quando un secondo colpo lo raggiunse alla testa.
Il ragazzo l'aveva visto arrivare, ma non aveva fatto in tempo né a provare a pararlo, nè ad evitarlo; aveva ancora in circolo i medicinali che gli somministravano.
Non poteva rifiutarsi di assumerli: consci del suo essere restio al sottoporsi alla terapia infatti, i medici spesso mischiavano le pastiglie al suo cibo, o lo costringevano con la forza ad ingerirle.Si obbligò a restare in piedi, ma un terzo colpo, questa volta al fianco destro, lo costrinse al suolo.
Il pungente odore di disinfettante che emanava il pavimento riuscì a tenerlo sveglio per pochi secondi, permettendogli di vedere le scarpe macchiate di sangue dell'uomo avvicinarsi a lui.
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Don't You Dare Forget The Sun
FanfictionNon sapeva esattamente da quanto tempo fosse lì. Un mese? Due? Tre? Un anno? I farmaci gli annebbiavano la mente, e non riusciva a ragionare con raziocinio. Era certo di una sola cosa: quello era il giorno designato. Quello era il giorno in cui tutt...