Lei nel frattempo comunicava a tutta birra con l'amica da andare a recuperare, scambiandosi messaggi vocali, sul telefonino.
Camminando,per liberarle le mani, tenevo la sua pizzetta quasi intera, a cui lei aveva dato solo un morso, e che allontanavo da me con tutta l'ampiezza del braccio, scherzando che avevo ancora fame, che se non avesse fatto in fretta a smettere di blaterare al telefono e convincersi anche lei a mangiare, avrei piegato il braccio e l'avrei ingoiata io la pizzetta, in un solo morso, dicevo così, per divertirla.
Poi,lei abbandonato il telefono, commentai della voce della sua amica,tale Veronica, che aveva una bella voce secca, seria, impostata, da speaker dissi io.
"Si lei è tornata qui a Catania, da Roma, che si sentiva un po' spersa e sola in quella città, fa la musicista, suona la viola, è nativa di qui, di Catania."
La vedemmo venirci incontro svelta, preceduta da un cagnolino al collare, Giulia s'illuminò e allungò il passo al vederla, scambiò il saluto dividendosi fra i due, carezzando il cane che le faceva le feste nello stesso momento in cui faceva schioccare sulle guance di Veronica il bacio rituale. Anch'io feci le mie presentazioni,unendomi all'elogio di quant'è bello il cane, carezzandolo, come fosse un umano, un bambino.
Andammo a sedere al tavolino all'aperto di un bar, si chiamava Glamour, in pieno inverno, nei giorni della Merla, era un freddo sopportabile.
Si aggregò anche il fidanzato, che venne col padre, un uomo che Giuliami disse sordo dall'orecchio destro, conseguenze del fatto di aver ascoltato musica a volume troppo alto tutta la vita.
Mi aspettavo un rockettaro, vestito di borchie, pelle e occhiali scuri, arrivò un uomo brizzolato, dai lineamenti scarni,appuntiti, non cadenti ma per niente giovanili, a cui mi venne naturale dare del lei.
Io m'accollai padre e figlio mentre Giulia e Veronica parlottavano col barista, un giovanotto sui ventidue anni che gestiva questa birreria proprio di fronte al Glamour, forse una succursale,piena di birre d'importazione che lui conosceva e descriveva, si diceva, benissimo.
La scena che mi si parò davanti agli occhi più volte, quella e altre sere, fu questo barista che, già preparandosi il lungo discorso,come con un'acquolina in bocca provocata dalle sole parole, primati chiedeva che tipo di birra vuoi e quando incagliava l'indeciso sottoponeva il malcapitato a un fuoco di sbarramento di birre diverse fra cui una avrebbe sicuramente corrisposto al particolare desiderio del cliente.
Era una scena allo stesso tempo buffissima e noiosissima, per così dire,scandalosamente noiosa.
Questo barista cominciava a descrivere in maniera pedante e puntigliosa la birra in questione più o meno sempre allo stesso modo, alternando gli aggettivi secca, corposa, speziata,fruttata, acidula e forse qualche altro aggettivo, uno o due, non di più.
Onnipresenti erano le parole nota e retrogusto.
Dopo la seconda o terza descrizione ti sembrava potessi prevedere esattamente, sovrapponendo la voce, il punto preciso in cui avrebbe pronunciato le parole nota o corposa.
Assumeva un tono serissimo e accademico, uno sguardo vacuo, astraendosi dietro il bancone in una sua torreggiante, assoluta mancanza di empatia.
Sembrava non lo sfiorasse per niente l'idea, non gli fosse mai venuto in mente, neanche per caso, che a qualcuno potesse non interessare questo suo sfoggio di cultura birresca, lui doveva ripetere i suoi mantra costi quel che costi, cascasse il mondo, forse, pensava, era parte del motivo per cui la gente andava lì, al di là della bontà delle birre e del fatto che fosse difficile assaggiare quelle sue birre altrove in città, forse, pensava lui, con il suo blaterare giustificava anche il fatto che le sue bottiglie costassero due o tre euro in più che i prezzi praticati altrove.
A quanto pare il barista aveva ragione, almeno per quel che riguardava Giulia e Veronica, che lo dicevano "un grande", dichiarandosi totalmente affascinate dalla sua sapienza, ma che poi, una volta sedute al tavolo, mi accompagnavano allegre nel prenderlo in giro.
Più Giulia mi faceva da spalla in questo che Veronica, quest'ultima notai un po' meno pronta allo scherzo, più rigida, più seriosa.
Giulia e Veronica pensavo si rivelavano vere accademiche nel farsi ammaliare dal barista, gente a cui piacciono i nomi, le scorze delle cose, le parole per le parole, il loro uso fine a se stesso.
Il padre di Giuseppe invece tornò dall'ordinare una birra come frastornato, divertito e scherzò in dialetto: "Biii,non cia stava facennu chiù a 'spittari ca chissu fineva i parrari,chissu parrava, parrava e iu pinsava: Seeeenti, ma iu c'haiu siti,vuleva sulu na bira."
Traduzione: Oddio, non ce la stavo più facendo ad aspettare che questo finisse di parlare, questo parlava, parlava ed io pensavo: Senti, ma io ho ho sete volevo solo una birra.
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Di squarci e di isole
RomanceMarco ci prova a seguire il suo cuore, ad andare incontro alla sua vocazione. Lascia un lavoro che non gli piace, che lo rende infelice in Inghilterra e torna a Catania, torna da dov'è partito, per scrivere il suo primo romanzo, per finire almeno un...