CAPITOLO 1

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Cari mamma e papà,
Non vi ho mai pensato così tanto. So che sarà inaspettata questa lettera, ma in fondo lo è anche per me, perché scrivervi, anche dopo tutto questo tempo, continua a pesare sul mio cuore.
Purtroppo non mi è possibile descrivervi quello che continuo a subire, benché nonostante parlino una lingua totalmente diversa dalla mia, potrebbero semplicemente tradurla e a quel punto per me sarebbe la fine.

L'unico modo in mio possesso per rincuorarvi ,é dirvi che voi non dovete provare alcun rimorso nei miei confronti, poiché la scelta é stata solo ed esclusivamente mia, guidata  dal mio folle amore nei vostri confronti. Non avrei mai potuto permettere che qualcuno vi sfiorasse anche solo con un dito e, soprattutto, non avrei mai saputo perdonare me stessa all'idea che se solo avessi avuto un briciolo di coraggio in più, avrei potuto salvarvi dalla morte certa.

E' questo che ho continuato a ripetere a me stessa negli atroci momenti che in questi anni hanno sempre fatto più parte della mia quotidianità.
Non posso pensare come vi sentiate in questo momento. Solo posso immaginarmi dai  vostri volti confusi di quel giorno, che pensiate che io sia stata una sconsiderata, che non aveva pensato minimamente alle conseguenze. In effetti così é stato e per questo mi sento di scusarmi.
Adesso capisco che il mondo degli adulti mi è ancora distante e che sono stata un'ingenua alla sola idea di averne compreso anche solo una parte.

Sapete, non mi siete mai mancati così tanto e vorrei che il tempo si riavvolgesse, così da rivedere i vostri volti e imprimerli indelebilmente nella mia ormai fioca memoria, che col tempo mi sta portando a dimenticare il suono delle vostre voci, e con esse, anche il vostro profumo dalla tanta esposizione ad odori sgradevoli.
Il foglio finisce e intanto continuo a fare scelte sciocche, come questa: non sono stata nemmeno in grado di usare le righe a me concesse per dirvi quanto mi manchiate e per questo mi odio sempre di più.
Spero che riceviate questa lettera e che siate vivendo una bella vita.

Appena intinsi la penna nell'inchiostro per segnare l'ultima parola che mai avrei detto ai miei genitori, seppi in cuor mio di dovergli dire addio. Sopraffatta dai pensieri di vuoto, mi abbandonai ad un pianto sfrenato, che si lasciò indietro qualche rumoroso singhiozzo, che cercai di sopprimere, ma invano. Non ci volle molto perché una guardia sentisse il mio lamento e spalancasse la porta metallica.
Subito la lettera si ritrovò litigata tra le mie mani tremanti e disperate e la violenta stretta del sorvegliante. Con tutte le forze tentai di non lasciare la presa, poiché era come difendere nuovamente la mia famiglia, come già avevo fatto, ma ormai tutto era cambiato, così come possedevo poche forze anche solo per alzarmi o camminare da sola.
La mia debolezza fece vincere la sentinella, la quale immediatamente strappò la lettera dalle mie mani, frantumandola, per poi allontanarsi sogghignando e borbottando qualcosa a me incomprensibile, provocandomi un brivido alla schiena.
A pensarci bene non era passato molto tempo da quando mi avevano privata della mia libertà, eppure, dopo così poco tempo, non mi sentivo già più me stessa, poiché i miei pensieri non facevano più parte di me.
Per un attimo scrivere  mi aveva portato almeno mentalmente più vicina ai miei famigliari, benché in cuor mio sapevo che sarebbe stato troppo poter consegnare quella lettera d'addio ai miei cari.
Le mie compagne russe mi dicevano che lui con me era buono, che mi risparmiava il peggio, come se fossi la sua piccola preferita, ma io non credevo a quelle parole.
Il flusso dei miei pensieri si interruppe di colpo quando sentii le chiavi girare di nuovo nella toppa della porta. Il terrore si impossessò di nuovo della mia mente facendomi diventare le mani fredde, la vista offuscata e il corpo immobile.
Un uomo entrò nella stanza rivolgendomi un'occhiata glaciale che in pochissimo tempo mi attraversò il corpo, facendo raggelare tutto il sangue presente nelle mie povere e stanche vene.
Senza preavviso la guardia davanti a me lanciò un urlo nella sua lingua facendomi irrigidire di colpo Il mio corpo, ma continuai ad avere la mente lucida. Quando il sorvegliante si scostò, potei vedere Lui, l'uomo di cui ero l'oggetto: il mio possessore.
Il battito del mio cuore si fece strada fino ad arrivare alle orecchie, tormentandole rumorosamente e annodando la mia gola in una stretta che non faceva segno di andarsene. La vista riprese a diventare vivida e davanti a me lo scorsi con più lucidità. La sua divisa tronava su di me e mi erano ben visibili i numerosi riconoscimenti militari che pendevano dal suo petto, lucidi.
Quando lui si piegò davanti a me, i miei occhi poterono finalmente incontrare i suoi. Anche se nella mia mente continuavo a pensare che trattenere il suo sguardo mi avrebbe portato ad una punizione, non potei seguire la mia coscienza dato che i suoi occhi erano magnetici, ma al contempo spettrali e oscuri. Ogni volta che li miravo era come se fosse la prima volta: erano sempre diversi, non c'era nulla di familiare in loro, nonostante tutto il tempo passato insieme.
Con lentezza estenuante avvicinò le dita al mio viso, con l'intento di sfiorarlo, inizialmente tentennando alquanto, per poi prendere di colpo una convinta decisione. Sentii il calore della sua pelle addosso, violando il mio corpo al suo solo tocco e facendo accelerare vorticosamente il mio battito cardiaco, che ancora mi fu difficile da nascondere

Piano notai l'abbassarsi delle sue palpebre e mi chiesi che cosa stesse guardando, ma subito il mio pensiero fu scosso dallo scoppiare improvviso di una delle sue solite risata a cui non seppi dare una ragione.
Si alzò in piedi rapidamente osservandomi dall'alto per qualche minuto prima di pronunciare in un inglese sgrammaticato e grossolano: «Come ti è andata la giornata?»
Mi colse completamente alla sprovvista e non riuscii a nascondere il dubbio nel mio viso. Sapeva che non avrei parlato, perché continuare ad insistere? Avrei preferito morire piuttosto che sprecare il mio fiato con lui.

Perdere il desiderio di sentire la mia voce significava aver lasciato me stessa rinchiusa in qualche luogo recondito dei miei ricordi: il cantare, così come esporre pensieri e sogni apparteneva alla me del passato, alla Aalina che viveva in Russia. Ormai avevo perso il mio spirito e con esso la speranza, mentre  ora di me non rimaneva che  un ammasso di carne.

"Continuerai a non parlare? Eppure sai quando hai fatto quel passo avanti sembravi così spavalda, così piena di vita. Devo ammettere che in un certo senso speravo con tutto me stesso tu lo facessi, ma non credevo fossi così tanto sconsiderata..." continuò lui in inglese, ma questa volta notai un tono di acidità nelle sue parole e la causa di tutto era il mio continuo silenzio, che non faceva altro che spazientirlo.
Ancora una volta si abbassò, in maniera che le nostre altezze coincidessero, e si avvicinò al mio orecchio, riempiendomi di brividi. "Su' piccola Aalina..." si beffeggiò di me, in un sussurro e iniziando a picchiettare con due dita il mio mento per alzarlo e far incontrare di nuovo i nostri sguardi.
"L'unica cosa che ti continua a salvare è che sei di una bellezza disarmante" continuò lui avvicinandosi pericolosamente alle mie labbra e costringendo i nostri nasi a sfiorarsi leggermente. Mi pulsava il sangue nelle tempie e non riuscivo a fermare gli occhi dall'offuscarsi per la paura e la nausea che mi sentivo salire dallo stomaco. Piano sentii il suo respiro affannoso sulla mia pelle  facendomi strizzare sempre di più le palpebre, pronta all'impatto, ma con mia gran sorpresa non sentii nulla.
A farmi riaprire gli occhi di scatto fu l'apertura della rumorosa porta, accompagnata da un urlo sommesso di un soldato. L'uomo si allontanò da me, continuando a fissarmi inginocchiato: "Io e te non abbiamo ancora finito..." concluse lui guardandomi con il suo solito sorriso beffardo allontanandosi a passi lenti e strazianti, raggiungendo così l'uscita.
Io rimasi così sola e l'unico rumore che riuscivo a sentire era il fischio nelle orecchie e il mio respiro che avevo trattenuto fino a quel momento.
Gattonando verso il letto, con un senso di vuoto interiore incolmabile, mi ci sdraiai a peso morto, chiudendo sollevata le palpebre: ancora una volta l'unico suono che mi circondava era l'incessante e insistente battere del mio cuore.

THE RUSSIAN GIRLDove le storie prendono vita. Scoprilo ora