CAPITOLO 2

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Nella piccola stanzetta quadrata di poco più di tre metri quadri, non potevo distinguere la notte dal giorno. Nessuna fessura da cui potesse entrare la luce, nessuna meridiana per segnare il passare delle ore, nessuna crepa da osservare per dimenticare l'incessante timore di quella maledetta porta. Era come essere in prigione.
Quella notte non riuscii a prendere sonno subito, poiché la mia mente vagava, spossata, tra il ricordo della vicinanza di Lui e la sua presenza opprimente. Avevo i brividi ogni volta che immaginavo di sentire le sue mani su di me. Spalancavo gli occhi, mi rannicchiavo stringendo le gambe al petto e, con il pensiero di essere in questo modo al sicuro, sprofondavo di nuovo in un sonno semi-sveglio. Non potevo lasciarmi andare nemmeno al piacere del dormire e questo non faceva altro che logorarmi la mente sempre di più. Tutte le notti avevo pregato perché fossi lasciata in pace, ma non sempre le cose andarono come speravo. Quella notte infatti non pensavo si sarebbe rifatto vivo, ma eccolo lì, davanti alla porta ormai chiusa, a fissarmi nel buio più totale. Rimasi immobile, si paralizzò anche il mio respiro. Se avesse pensato che fossi addormentata non mi avrebbe svegliato, forse, quindi decisi di fare finta di dormire.
"So che sei ancora sveglia" disse lui da lontano, facendomi ricominciare a respirare e buttare fuori tutta l'aria. Non sarei riuscita a trattenere ancora per molto il fiato.
Notai grazie a uno spiraglio gli luce proveniente dalla porta che, senza muoversi dalla posizione in cui stava, avvicinò le sue mani al viso per coprirselo. Cominciò a sfregarsi le dita sulla fronte fino a raggiungere il cuoio capelluto. Sembrava che si stesse strappando i capelli dalla tanta rabbia che lo invadeva.
Sentivo dentro di me che quella volta si sarebbe deciso, che non mi avrebbe risparmiata.

 Mi dissi che non c'era nulla da temere, che le mie amiche russe, in fondo, avevano ragione, che non mi avrebbe sfiorata. Invece di avvicinarsi rimase lì dove stava, appoggiato allo stipite della porta imprecando tra se' e se'.
"Buongiorno prima di tutto..." Aggiunse lui, pensando in questo modo di apparire educato, mentre invece  mi ripugnava anche solo la sua presenza.
Dopo interminabili minuti, si decise a liberare i suoi capelli dalla stretta presa delle sue dita, per poi guardare in basso, e fare un passo avanti. Mi accucciai con il cuscino in mano, come se questo potesse darmi una qualsiasi protezione, ma non riuscivo a ragionare, la mia mente era vuota.
Lui si sedette sul letto e allungò la mano per farmi cenno di avvicinarmi. Io non mi mossi e strinsi ancora di più il cuscino al petto, fino a farmi dolere alle dita e riaprire le piccole ferite che avevo sulle nocche.
"Oggi non posso considerarla una giornata vittoriosa, quindi te ne prego, toglimi questa preoccupazione di dosso. Sii il mio passatempo per stanotte, per dimenticare, che ne dici? A me sembra un'idea splendida". Ogni parola in più mi infuocava le gote. Non sapevo come scappare: lui aveva chiuso diligentemente la porta prima di avvicinarsi dato che sapeva che avrei tentato la fuga.
Allentai la presa delle dita sul cuscino e appoggiai il braccio sinistro dietro di me, con l'intento di indietreggiare lentamente.
La mia disperazione non mi faceva pensare ragionevolmente, l'avrei portato ad odiarmi, e in quel caso non sarei più stata sotto l'ala protettrice che mi aveva preservata prima. Non sarei più stata la sua preferita.
Percepii i granuli dell'intonaco conficcarsi nella stoffa del mio vestito leggero. Sentendo il tonfo della mia schiena, lui aggiunse sogghignando:
"Dove scappi? Vieni qui... Quel cuscino non ti proteggerà a lungo."
Cominciò a tremarmi la mascella. Lasciai con l'ultima mano rimanente il cuscino per coprirmi la bocca e fermare lo spasmo. Lui con un gesto repentino si sbarazzò del capezzale, l'unico ostacolo che lo teneva lontano da me, dal toccarmi.
Lui fece una risata di soddisfazione e si avvicinò ancora un poco. Potei vedere i suoi occhi a mandorla spalancati, molto probabilmente si sforzava di scorgermi nel buio. Il grigio dei suoi denti mi fece rendere conto della vicinanza che sempre di più c'era tra noi due.

 Si chinò un poco verso si me e allungò la mano per spostarmi una ciocca che mi nascondeva la vista. Mi scostai ancora prima che lui mi toccasse, ma un suo "ssh" mi fece rimanere immobile e lasciai che mi riposizionasse i capelli dietro l'orecchio. Mi arrivò una folata del suo profumo, dell'odore pungente della sua pelle.
"Vedi? È tutto a posto, voglio solo giocare un poco con te. Vedrai ti piacerà ". Quel tocco che era sembrato di primo impatto dolce e leggero si trasformò in qualcosa di volgare e rivoltante. Gli sputai sulla mano che cercava di trattenere il mio viso con la forza mentre mi sfiorava il labbro superiore con il pollice. Fu a quel punto che si avvicinò di scatto e mi spinse di più contro il muro facendo aderire completamente la mia schiena alla parete. Lasciai andare un lamento dalle labbra e le mie sopracciglia si aggrottarono. Con una mano sul mio ginocchio spostava il mio peso sopra le sue cosce, costringendomi ad aprire le gambe su di lui. Con l'altra mano stesa al muro mi bloccava l'uscita.
Respiravo affannosamente e continuavo a strizzare gli occhi. Non potevo credere che l'avrebbe fatto davvero. Era stata una messa in scena fino a quel momento? Fare finta di tenere tanto a me quando invece valevo come le altre, un oggetto da usare e poi da buttar via una volta sciupato. Forse tutta quella attesa mi aveva resa ancora più preziosa e così ancora più forte il suo desiderio. Cercai di bloccare la sua mano sul mio ginocchio ma ero troppo debole. La sua forza era incomparabile alla mia. Non ne sarei uscita, questa volta avrei dovuto sopportare e non lottare. Finirà presto, mi ripetevo, ma ogni volta che sentivo quelle parole rimbombare nella testa sembravano sempre più false e inutili. Inclinai la testa per la stanchezza che mi cadde addosso in quel momento. Lui mi prese il mento con le dita e prima di avvicinarsi me lo strofinò compiendo movimenti circolari, come se intendesse confortarmi. Avvicinò le sue labbra alle mie e mi ricordai la sensazione del giorno prima. Due soli respiri sulle labbra, poi le sue andarono ad attaccare le mie con violenza, mordendo laddove non le trattenevo e spingendomi a rispondere al suo bacio. Con la testa cercai di divincolarmi, dato che le braccia erano state bloccate dalle sue davanti al mio grembo. Visto che le mie labbra non rispondevano alle sue come lui voleva, si staccò e mi guardò da vicino con quegli occhi infuocati, folgoranti di disappunto. Mi diede un bacio lieve sulla guancia, dove si era fermata una lacrima che avevo cercato a stento di trattenere.
Riuscì a tenere i miei polsi con una mano e l'altra la usò per massaggiarmi il collo mentre mi baciava lentamente la mandibola. Da dietro l'orecchio giunse alle clavicole. Non riuscivo a muovere un muscolo. I segnali nervosi del mio cervello non sembravano giungere oltre la testa. Ero in balìa di lui. Con i suoi movimenti cercava di controllare le mie reazioni che erano nulle. In quel momento mi sentii come un automa in carne ed ossa.
A risvegliarmi dalla monotonia delle sue labbra su di me furono le sue mani. Aveva visto che non mi divincolavo più, per questo mi lasciò i polsi liberi, i quali caddero senza vita sul mio grembo. Cominciò a toccarmi dal ginocchio. Il percorso delle sue mani su di me mi fece accelerare le palpitazioni.
"Vedi? Ti sta piacendo...ma non lo vuoi ammettere. Preservare questa tua ingenuità e verginità è ridicolo" mi sussurrò all'orecchio, mentre mi mordeva leggermente il lobo. Mi feci scappare un sospiro. Forse aveva ragione lui, lo volevo davvero. Per un poco mi convinsi di desiderarlo quindi appoggiai il palmo della mano sulla sua, che era arrivato a sfregare contro il mio interno coscia, con il fine di provocarmi piacere. Quel gesto penso ora che fosse solo una richiesta di resa, così che lui si fermasse. Ovviamente lui non la percepì in quella maniera e mi sorrise dietro l'orecchio. Le sue lunghe dita attraversarono l'elastico delle mie mutande attillate e di taglia troppo piccole. Mi toccò il ventre, avvolgendomi con la mano il fianco. Aderì il suo corpo al mio salendo verso l'alto con le dita fino a toccare la mia schiena. Mi rivolse il viso e riprese a baciare le mie labbra stanche e ormai intorpidite dal tanto contatto con le sue.
Non so che cosa si accese dentro il mio petto, ma ero stufa di stare ferma a guardare come lui prendeva possesso del mio corpo. Gli morsi il labbro con forza e lui si allontanò di scatto, liberando la mia schiena dal suo abbraccio serrato. Sentii un bruciore dietro alla schiena e pensai che mi avesse graffiato più volte nell'esplorare il mio dorso. Ero talmente spossata e non presente a me stessa che non avevo percepito il dolore.
Mi guardò con una smorfia, ma non sembrava dispiaciuto dalla mia azione. Sorridendo, ma con il labbro imbrattato di sangue, riprese ad assalire il mio collo sporcandolo. Con una mano gli presi la faccia e la allontanai da me con tutta l'energia che avevo dentro di me. Respiravo affannosamente e lui questa volta mi guardò senza nessuna espressione, poi riprese, cercando ancora di convincermi a fare qualcosa che voleva solo lui:
"Forza bellezza, non opporre resistenza".
"Per favore...Basta" Mi uscì in un mormorio spezzato. Le labbra ricominciarono a tremarmi, in attesa di una sua risposta. Prese un respiro profondo e buttò fuori l'aria addosso al mio viso, tanto eravamo ancora vicini, scostandomi involontariamente la frangia.
Poi con i denti serrati rispose:
"È questo che serve a farti parlare? Toccarti è il modo davvero migliore per aprire quella tua rosea bocca?" E aggiunse infine un ghigno sarcastico. Si pulì il labbro con il dorso della mano, mantenendo gli occhi fissi su di me. Alzai il mento, in maniera da essere alla sua stessa altezza.
"Farmi credere che volessi di più, sei una bugiarda!" Mi urlò e di conseguenza abbassai gli occhi, i quali incontrarono le mie mani che erano rimaste nella stessa posizione di poco tempo prima. Erano abbandonate a se' stesse, lì, sul mio grembo, mentre mi osservavano.
"Ti hanno insegnato loro, quei disgraziati dei tuoi genitori a mentire. Non me ne meraviglio sai? Tradire l'Unione Sovietica senza avere rimorsi. Ti hanno istruito bene. Riuscirai ad avere un futuro un giorno con tutte quelle bugie. Ma qui con me non funziona, cara."
Mi prese il viso con le mani, coprendomi le guance ormai bagnate fradicie di lacrime. Me le asciugò.
"Ciò che ancora mi stupisce é che tu creda nella speranza di rivederli ancora. Povera stupida. Potessi raccontarti quanto ho goduto nel vederli supplicare per la loro vita. Pensavano che dopo essersi liberata di te per salvare la propria pelle li avremmo lasciati in pace. Poveri sciocchi anche loro, mi fanno pena". Continuò, scostandomi dalle sue ginocchia e buttandomi all'angolo del muro. Si mise a camminare avanti e indietro per la stanza, appoggiando il mento sulle mani giunte a mo' di preghiera.
"Ma come fartelo capire senza che tu ti disperassi? Inizialmente pensavo che sarei dovuto essere buono, compassionevole, comprensivo, così da ottenere la tua fiducia. Ma ormai mi chiedo chi abbia deciso queste regole. Tu sei mia e di nessun altro. Decido io che cosa posso farti e cosa invece devo evitare. Sono il solo a scegliere se farti stare sotto di me e farti urlare fino allo svenimento. Fino ad ora sono stato troppo condiscendente. Come si dice in quella lingua barbara? Buono, ecco. Questa è la tua ultima occasione, non te ne concederò un'altra".

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