Capitolo 7

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In un magma di sentimenti, Eren gli scottava la pelle coi palmi roventi di chi voleva di più. Il desiderio vorace di possedersi aveva coinvolto entrambi in una danza violenta, fatta di schiocchi, strette e segni di denti, poi carezzati dalla bocca soffice dell'uomo, così premuroso anche quando ogni parte di sé strillava di voler appartenere a Levi. E Levi lo assecondava in tutto, ma mai passivamente, con le dita a cercare i suoi capelli per stringerli con forza preda del piacere, rendendolo servo della passione nostalgica che lo stava travolgendo ad ampi flutti.

Lo aveva condotto nella sua dimora, ignorando l'angosciante tormento che albergava nel suo petto, portandolo tra i baci impazienti sino alla sua camera, lì dove il letto matrimoniale – ospite da tempo soltanto della sua solitudine – sembrava avesse ritrovato il pezzo mancante del puzzle. Perché Levi si sentiva appagato, sereno, finalmente in presenza della sua parte complementare, di un amore perduto. Si sentiva così, ma non sapeva se fosse l'autentica verità o soltanto un'elucubrazione mentale, una menzogna che non voleva far scivolare fra le dita.

Eppure quella non sarebbe stata una notte di rimpianti, di paure, di angosce.

Per la prima volta a distanza di settimane, sentiva di star facendo la cosa giusta, e quella stessa sensazione gli permetteva di mordere con prepotenza la pelle salata di Eren, di soffiargli sul ventre l'alito bollente che gli infiammava le viscere, di carezzargli in dense lappate il sesso sino a renderlo turgido e pronto soltanto per sé stesso. Sembrava che tutto avesse ripreso a scorrere dal punto in cui la sua vita si era interrotta, e con essa anche la sua natura di amante narcisista e passionale, intento a lasciarsi viziare e pronto a viziare il suo partner nell'intimità di una camera scura.

Si era lasciato andare all'impazienza di una stoccata, all'audacia di un morso sul labbro, ai lividi violacei sui fianchi, e aveva restituito quell'ardore con ogni gemito, ciascun abbraccio in cui racchiudeva i loro respiri, la loro linfa vitale sino a renderla un segreto. Stavano vivendo appieno ogni singolo stralcio di carne di cui erano in possesso, e lo stavano facendo senza alcun ripensamento. L'amplesso era stato giostrato dalle dita rudi della lussuria e dalla dolcezza della nostalgia, da quel viscerale senso di appartenenza che Levi aveva gridato sino all'ultimo respiro, sino a quando il ritmo non era divenuto martellante e frenetico, defraudandolo della razionalità. Abbandonato in modo totalizzante ad uno stato di tranquillità, si era poi accasciato sul petto madido di sudore di Eren, lasciandosi cullare dal respiro aritmico, seppure così rassicurante, che gli sibilava nelle orecchie.

E così, con la conchiglia ben adiacente al suo sterno, riusciva ad udire il walzer di battiti che stava inscenando il suo cuore. Sorrise, e proprio in quel momento la mano calda di Eren gli scostò le ciocche umide dal viso, percorrendo lo zigomo soffice con il pollice. Non dissero nulla, non si diedero neppure la buonanotte. Coi corpi ancora accaldati e la pace in petto, si erano addormentati. E per la prima volta, il loro sonno non venne disturbato neppure da un singolo incubo.

***

Non posso farlo.

Strideva così tanto quel pezzo di carta a contatto col suo cuscino sgualcito, memore di aver ospitato non soltanto lui nel letto, ma anche l'uomo che giaceva addormentato fra le coperte macchiate di umori. E con lui, anche il suo pentimento era rimasto lì, aggrovigliato nelle lenzuola in cui aveva osato provare del puro, intenso piacere che per un istante l'aveva catapultato agli albori di un'esistenza normale, della vita in cui ancora non si era condannato come assassino.

Tutto a un tratto la stanza si fece troppo angusta e la sua respirazione eccessivamente rapida, sicché non degnò neppure di un ultimo sguardo colui che aveva stretto sino a qualche momento addietro, ma si diresse a passo svelto verso l'uscita. A corto di ossigeno e con la mente in subbuglio, si affrettò a raggiungere il prima possibile lo studio della terapeuta Cinders, ed ebbe tutto il tempo di rasserenarsi in sala d'attesa, mentre aspettava oltre il separè che celava la sua identità agli occhi degli altri pazienti.

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