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Gennaio 1957.

Quella sera, dopo che i bambini furono andati a letto, Ilse attese seduta in salotto per altre due lunghe ore che Leonard tornasse. Non si sentiva molto bene dopo quella discussione con i bambini, dopo quelle domande che le avevano posto e tutta quella curiosità. Pensava in realtà , che il passato fosse solo passato e che ora niente e nessuno avrebbe potuto dare una scossa a  quella piccola armonia che era riuscita a creare sotto quel tetto dopo anni di sacrifici.

Una lacrima scese sul suo volto ormai stanco, le mani cominciavano a tremarle e anche il respiro si faceva sempre più corto. Non andava bene, sapeva perfettamente che quello era l'inizio di uno dei suoi consueti attacchi d'ansia, che recentemente avevano smesso di manifestarsi.

Si alzò in fretta per dirigersi verso il cassetto in cui teneva le sue pastiglie. Ne fece scivolare due sul palmo della sua mano e senza nemmeno pensarci due volte le ingerì, senza neanche prendere dell'acqua.Tutto ciò di cui aveva bisogno, non era li con lei.

Quando Leonard rientrò era già passata la mezzanotte. Fece molta attenzione a non sbattere la porta d'ingresso, sapeva che i bambini e Ilse erano ormai a letto da ore. Voleva soltanto bere qualcosa prima di andare a letto; era stata una giornata dura al giornale dove lavorava e affondare tutta quella pressione in un bicchiere di wishkey gli sembrava la scelta più adatta. 

Leonard

Appoggiai la mia valigetta accanto alla porta di ingresso, riponendo il mio cappello e il cappotto sull'attaccapanni.Accesi la piccola lampada posta accanto al divano, quando vidi Ilse sdraiata sul divano feci un sussulto; di solito non dorme mai sul divano, per questo non appena la vidi capii che c'era qualcosa. Se ne stava lì sdraiata, con la vestaglia da camera in seta tutta stropicciata. Volevo svegliarla per accompagnarla in camera, ma decisi di non farlo immediatamente. 

Mi sedetti accanto a lei e la osservai. Ilse è sempre stata una persona così forte. Quando la conobbi per la prima volta devo ammettere che rimasi un po' intimorito dalla schiettezza con la quale parlava e si faceva rispettare. E poi quando il destino cambiò e ci ritrovammo assieme per via dei vari avvenimenti, cercai di farle capire che era la cosa giusta rimanere assieme, ma sapevo che anche se non ne parlava apertamente, in fondo al suo cuore c'era Friedrich. 

Lo avevo odiato all'inizio per come si era comportato con lei, per averla ferita, ma poi quando mi aveva liberato da quella cella, per salvare Ilse, avevo capito perché lei provasse qualcosa per lui; un'altro non avrebbe mai affidato la donna che amava ad un altro uomo per metterla in salvo.

Bevvi l'ultimo sorso di wishkey e quando feci per alzarmi, vidi che mi stava osservando, aveva gli occhi rossi e il suo volto sembrava cosi pallido all'ombra della calda luce della lampada.

"Ehi, come stai? É stata una lunga giornata, vero?" Domandò lei, sistemandosi i capelli che le erano caduti sul volto, dietro le spalle.

Accennai un sorriso, poi abbassai lo sguardo. "Cosa c'è che non va Ilse?" le chiesi, stavolta guardandola negli occhi. 

Passarono un paio di minuti, ma lei non accennava a parlare. Si voltò di scatto verso di me con gli occhi colmi di lacrime, dalla vestaglia aperta riuscivo a vedere che faticava a respirare.

"Ho parlato ai bambini di Frederich." Disse con un filo di voce. Per una frazione di secondo mi sembrò di non avere più la terra sotto i piedi. Questo cambiava tutto ora.

"E come l'hanno presa?" Fu tutto ciò che riuscii a dirle. Riuscivo a sentire i suoi sospiri...

"Non saprei. Più che altro mi preoccupo per Oliver, oggi alcuni ragazzi l'hanno picchiato. Lui non è violento e non vorrei che lo diventasse proprio ora, quando le sue uniche preoccupazioni dovrebbero essere andare a scuola, avere dei buoni amici e divertirsi come un bambino della sua età" Ilse si coprì il volto con entrambe le mani e cominciò  a piangere.

"Non so cosa fare Leonard, mi sento così impotente." disse tra i singhiozzi.

La strinsi tra le mie braccia, cercando di calmarla, ma sembrava tutto inutile. 

"Ci sono io con te. So di non essere il padre di questi bambini, ma li amo come se fossero miei. Li amo con tutto me stesso Ilse e se qualcuno oserebbe toccarvi anche solo un capello, vi proteggerei in qualsiasi modo a me possibile." La guardai negli occhi. 

"Ho sbagliato cosi tante volte nella mia vita, ma mai ho rimpianto qualcosa come mi è capitato con lui. Se solo avessi notato prima che in realtà non sapeva nulla di quello che succedeva altrove, allora forse le cose sarebbero andate diversamente." Ammise, prendendo un fazzoletto dalla manica. 

"Non possiamo saperlo questo, ma ti assicuro che Vicky e Oliver non avrebbero potuto avere madre migliorie di quanto non abbiano già. É importante che tu resti forte per loro, ne hanno bisogno adesso più che mai." Presi le sue mani e le strinsi nelle mie. " E poi, ci sono io con voi. Non siete soli e non voglio che vi sentiate tali, mai." 

Ilse sfiorò il mio volto poggiando delicatamente la sua mano. Non riuscivo più a trattenermi, era da troppo tempo che desideravo farlo ormai. Mi sporsi quel poco che bastava e la baciai. Temevo che mi avrebbe respinto, ma quando mi staccai per guardarla, lei mi tirò verso di se, rendendo il bacio ancora più passionale. Riuscivo a sentire il profumo della sua pelle da cosi vicini che eravamo. " Ilse, ne sei sicura?" domandai, ma dentro di me speravo non smettesse mai. Aveva il volto arrossato e non potei fare a meno di avvicinarmi ancora di più. "Non chiedermelo mai più" disse lei, togliendosi la vestaglia. Le baciai il collo mentre lei tentava di sbottonare la mia camicia. 

Almeno per questa sera riuscii a non pensare alla lettera ricevuta in mattinata all'ufficio, ma l'indirizzo parlava forte e chiaro, mi sembrava quasi di sentirlo urlare:


Friederich Ziegler

Charlottenstraße, 87 Berlin.

10178


Grazie per la lettura.
Al prossimo capitolo,

Lidia💛

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 15, 2020 ⏰

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