Capitolo 4

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L'ennesima supplica condita da parole forti e promesse oscure riguardo un destino avverso e ineluttabile: questo era il succo delle righe vergate da Sigurdr con una grafia larga e tremolante. La vecchiaia lo stava ghermendo; i pomi di Iðunn non sortivano più il loro effetto e, probabilmente, a peggiorare le condizioni dell'uomo c'era il futuro oscuro di quella sua figlia più piccola, che non aveva saputo proteggere per due volte. Le dita di Loki strinsero la pergamena fino a farla scrocchiare. Ci aveva pensato lui, maledizione. Se Sigyn era ancora viva, se non le era capitato nulla di orrendo, era stato per il suo intervento, nient'altro – in quello stesso momento, la ragazza stava facendo tutto ciò che era in suo potere per spezzare ogni vincolo esistente tra loro, ma questo Loki non poteva saperlo.

Gli si chiedeva di restituirla, di lasciare che il suo destino si compisse, di liberarla; non poté fare a meno di piegare le labbra in una smorfia sbieca, trattenuta. Era una richiesta scorretta, ipocrita, che gli veniva mossa comunque troppo tardi. Ma Sigurdr, che lo accusava da tempo e senza mezzi termini di aver disonorato l'onore di sua figlia rendendola, di fatto, la propria concubina, faceva finta di essersi dimenticato quanto fossero costate a lui, Loki stesso, le numerose informazioni incomplete che gli aveva dato. Parlava della figlia considerandola come l'ancella che, per fortuna, non era ancora diventata, incapace di comprendere quello che per il dio dell'inganno era ormai palese: ciò che lei possedeva non poteva essere immolato né condiviso.

Balder, caparbio, lo aveva raggiunto. "Tutti i Nove Regni parlano del sacrilegio che hai, avete compiuto. Ci saranno delle conseguenze."

Loki gli rifilò un'occhiata feroce e divertita insieme. "E quindi? Ci sono sempre delle conseguenze. Hai forse paura di sporcare il tuo bel mantello color neve?" lo canzonò.

"Tu e Thor non potete costantemente far finta di ignorare le leggi e i costumi dei Nove Regni. Non è giusto che vi affidiate alla fortuna," insistette il più giovane, pur sapendo fin troppo bene che la sua era una battaglia persa in partenza. Suo fratello non gli avrebbe dato retta in nessun caso, soprattutto su Sigyn. Aveva versato e perso troppo sangue per ammettere che la sua vittoria, in verità, non valeva niente e che lei, una volta libera, era comunque condannata a rinchiudersi a vita tra quattro mura di pietra a pregare degli spiriti morti da secoli. Riteneva che la ragazza gli spettasse con la stessa tronfia arroganza con cui era sempre stato abituato a pretendere ogni cosa, e se nemmeno Thor si sentiva in animo di contraddirlo, le speranze che arrivasse spontaneamente a cederla si facevano pressoché nulle.

"Noi siamo nati per essere re," replicò difatti l'ingannatore tra i denti riprendendo a camminare. "Le leggi le emaniamo e, quando sono ingiuste, le cambiamo. Altrimenti, Sigurdr non avrebbe nessuna figlia da reclamare," ricordò perfido scoccando un'occhiata feroce al ragazzo.

A volte, Loki si svegliava di colpo nel cuore della notte, certo di aver recuperato brandelli della memoria che aveva smarrito. Succedeva anche quando c'era lei, che dormiva con la testa poggiata sul suo petto e gli cingeva il torace col suo braccio esile e delicato. Fissava il buio e tentava di ricomporre lo schema d'immagini che lo avevano destato cercando di calmare il proprio respiro, ma quelle durante la veglia sbiadivano, sparendo di nuovo nel limbo che le aveva cacciate fuori. Ogni tanto, però, qualcosa s'affacciava nella sua mente e vi rimaneva aggrappata con forza. Nessuno sapeva di quegli incubi né dei pochi ricordi che gli galleggiavano ancora in testa; nemmeno Sigyn si era mai accorta di nulla, continuando a riposare tranquilla stretta contro di lui. Loki le sfiorava con la punta delle dita la bella treccia bionda sparsa sul cuscino, giocando con i ciuffi che sfuggivano all'acconciatura e riflettendo su ciò che la sua memoria imperfetta gli suggeriva. A volte credeva di trovare un significato a tutte quelle visioni, ma il risultato di quei ragionamenti gli pareva sconcertante e ingiusto – spaventoso. Altre, scuoteva la testa e sbuffava indispettito imponendosi di tornare a dormire, archiviando tutto come brandelli di fantasie inutilizzabili. Alcune notti, invece, si alzava con addosso la sensazione che qualcosa d'orribile e imminente stesse per capitargli; allora si metteva a leggere, a tentare incantesimi oscuri, a rispondere per conto di Padre Tutto alle molte missive che giungevano a palazzo, a ricontrollare i bilanci di Asgard e, se quella strana sensazione ancora non se ne andava, sfoderava i suoi lunghi pugnali, afferrava una lancia e si andava a esercitare nella terrazza su cui s'affacciavano i suoi appartamenti, incurante della brezza notturna che sapeva di mare. Resisteva bene al freddo – più di tutti gli altri, persino più di Thor – e non si era chiesto mai il perché.

Scintille nel buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora