Il corno d'idromele era quasi vuoto, ma Loki scelse di non riempirlo. Alla sua scintilla si erano spenti gli occhi. Era seduto su una comoda poltrona, con le gambe allungate su un tavolo basso, davanti a un camino acceso. Non era lì per scaldarsi, anzi, l'aria troppo calda lo infastidiva, ma le fiamme guizzanti su cui aveva puntato gli occhi somigliavano alla sua anima furente. Sfiorò con i polpastrelli le ricche decorazioni del recipiente fissandone la meticolosa lavorazione, ma con la mente era altrove. Le sue dita avevano carezzato la pelle di lei, calda, profumata, indimenticata. Dove ora c'erano l'argento e l'osso prima c'era stata Sigyn – e toccarla non era mai stata un'azione priva di conseguenze. La maledisse perché aveva fallito e non era riuscito a salvarla, perché non aveva smesso di desiderarla. Non erano bastati gli abiti umili, l'aria dimessa o la treccia mesta che imprigionava la massa d'oro dei suoi capelli. Era e sarebbe rimasta, per sempre, la ragazza sfacciata vestita di rosso che l'aveva fissato a un banchetto come se si trovasse al cospetto non di un principe o un guerriero o un mago, ma di un ragazzo insolente. Lo disapprovava, eppure non aveva perso l'occasione per osservare con curiosità ogni cosa di lui, dal modo in cui portava il corno alle labbra al fluido movimento delle sue mani quando voleva sottolineare un concetto, per arrivare ai dettagli della sua armatura decorata con draghi e serpenti. E lui se n'era accorto, che le sue sorelle tenevano gli occhi bassi e lei no, era l'ultima a chinarli, la sola a incrociare il suo sguardo. Allora Sigyn si smarriva: di fronte alla piega ironica del suo sorriso che voleva dire tutto e niente, che prometteva e irretiva.
Ma ora quello sguardo non esisteva più. Ed era qualcosa che gli arroventava l'anima pensare che lei fosse altrove, che si spogliasse dei suoi stracci davanti a Kalfr e lui non potesse far nulla per impedirlo. Appoggiò la nuca allo schienale della poltrona e chiuse gli occhi raccogliendo le idee, ordinandole grazie alla sua mente febbrile, rapida. Se non fosse stato il fiero figlio di Odino si sarebbe lasciato sfuggire un sospiro o una maledizione, ma era nato per essere re: una simile debolezza non era nemmeno contemplata – s'inumidì le labbra raccogliendo l'ultima traccia d'idromele.
Era tornato ad Asgard la notte prima, senza neanche togliersi gli stivali, precipitandosi nella parte più oscura della biblioteca per capire, per vedere l'inchiostro rossastro seccato sulla pergamena formare le parole che aveva dimenticato, anzi, ignorato, perché era più facile raccontarsi una consolante menzogna che togliere il velo dalla realtà. E lui, questo, lo sapeva meglio di chiunque altro; in troppe occasioni aveva sfruttato il bisogno di illudersi proprio delle sue vittime per ingannarle fino alla fine, con poco sforzo.
L'archivio, di notte, era spaventoso, ma Loki non temeva l'oscurità. Lasciava che lo avvolgesse, consapevole che nel buio si nascondevano ombre e fantasmi e colpe. Era sensibile a certe percezioni per colpa del seiðr che, ogni tanto, gli rendeva possibile scorgere i punti di contatto tra questo mondo e quello della spaventosa Hela dalle due facce, minaccioso e oscuro. Aveva rovistato tra le pergamene arrotolate e accatastate le une sulle altre impaziente, nervoso, veloce, come se il tempo potesse scivolargli via dalle dita, a lui, che era un figlio degli Æsir. Si era ritrovato tra le mani il documento che cercava quasi per caso ed era rimasto a fissarlo un momento lungo un'eternità, prima di srotolarlo e far scorrere lo sguardo sulle rune vergate con cura. E il sangue aveva iniziato a scorrergli più velocemente nelle vene, confermando il dubbio emerso nel Tempio. Ogni cosa gli si era rivelata con una chiarezza estrema, ma troppo tardi. Se solo lei gli avesse detto che stava diventando cieca.
Il fuoco crepitava e s'arrotolava nell'immenso camino centrale che scaldava la stanza e l'idromele, ormai, era finito. Strinse la mascella virile e affilata e serrò tra le dita il recipiente lavorato, vuoto, inutile, incapace di soffocare la bestia nera che gli rodeva lo spirito sussurrandogli, con la sua stessa voce perfida, che l'aveva persa perché non era degno, così come non lo era stato di Mjollnir. Lui che li tesseva per gli altri, si era crogiolato nell'inganno di aver sconfitto la più ignobile delle creature di tutti i Nove Regni.
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Scintille nel buio
FanfictionIl destino di Sigyn è segnato da una maledizione. Quello di Loki, forse, è ancora più oscuro e minaccioso. Esistono precetti e leggi che non devono essere violati mai, per nessun motivo, neanche dal dio degli inganni. Prima che Odino scegliesse il s...