Capitolo 10

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Sigyn era diventata cieca. La consapevolezza gli attraversò la mente con lucida precisione. Comprendendo che lei non lo vedeva davvero, si concesse di scrutarla soffermandosi sulle nocche che si aggrappavano convulse alla grata, sul respiro corto e nervoso, sulle labbra tremanti e, infine, sugli occhi velati di lacrime fiere, ma fissi e senza luce. Si domandò come avesse fatto a perdere la vista e decise che fosse colpa di Kalfr o che si trattasse di un qualche tipo di sacrificio volto a espiare la sua presunta colpa. Una sorta di bieco contrappasso che gli fece storcere la bocca in una smorfia carica di disprezzo. Oppure. Il pensiero lo gelò, caricandolo al contempo di una furia fredda. L'eco di un ricordo vago, sepolto da qualche parte nella sua testa, camuffato dal rancore e dal desiderio, prese a pungolarlo con insistenza. Pensò agli incubi che avevano tormentato entrambi e che ancora non lasciavano andare lui. Alla scintilla si erano spenti gli occhi. Sembrava l'inizio di un poema composto da un buon bardo – c'era un'antica profezia su una luce che smetteva di brillare, da qualche parte, sì, ma dove, anzi perché?

In fondo, si ripeté, lei aveva scelto, preferendo essere una delle serve di Kalfr che.

Il pensiero si interruppe dolorosamente a metà, perché Loki non aveva mai voluto definire cosa fosse, anzi, fosse stata per lui Sigyn; ogni termine gli era sempre parso inadatto – e alcuni, come certi incantesimi proibiti, erano semplicemente impronunciabili.

E poi, lei avrebbe dovuto essere sincera in nome di quello che avevano trascorso, della lotta contro il tempo e il destino combattuta da entrambi. Invece era evidente come si stesse trattenendo, soffocando la verità con l'ostinazione che le era propria – quella sì, non gliel'avevano ancora portata via. Ad Asgard lo avrebbe affrontato sfidandolo come aveva fatto troppe volte, certa che lui non sarebbe riuscito a farle del male – ma una volta, per le Norne, una volta l'aveva fatto. E ancora non riusciva a pentirsi per quel gesto, come non avrebbe provato alcun rimorso all'idea di quello che stava per farle.

Era un inganno lecito, dopotutto: doveva sapere cosa si celasse dietro la maschera che lei, incauta, incantevole, perduta, gli stava mostrando. Gli serviva una conferma, una che desse un senso alla fuga di lei, alla decisione di trascorrere il resto della propria vita sfruttata dentro le quattro mura marcite e affrescate di un tempio.

Le rivolse un sorriso breve e mesto, uno che l'ancella non poté cogliere, non privo di una punta di velenosa ironia. "Che i tuoi antenati ti proteggano, allora."

Sigyn s'irrigidì e rispose al commiato con un cenno lieve del capo, ma i suoi occhi erano puntati verso il basso, in direzione del pavimento di pietra su cui, presto, avrebbero cominciato a rimbombare i passi, sempre più distanti, dell'Ase. O, almeno, così lei avrebbe creduto.

Il seiðr era una forza capace di alterare la realtà, di acuire le percezioni, di sanare e disfare in egual misura. Ma, soprattutto, infiammava le vene del figlio cadetto di Odino, sinistramente portato a ogni arte che ne prevedesse l'uso.

Sigyn non vide Loki andar via. Non poteva più. Rimase in ascolto dei suoi passi che si allontanavano, riconoscendo la cadenza tipica degli stivali dell'ingannatore, secca e decisa come il principe che era. Lo amava ancora e non avrebbe smesso mai. Poggiando la fronte sulla grata metallica, rimpianse i baci ansiosi scambiati di nascosto, il corpo tonico e scattante contro cui si era stretta per troppe notti, i sospiri rotti che li avevano traditi. E poi l'odore, il profumo inebriante e ritrovato della sua pelle misto al cuoio dell'armatura intrecciata, che l'aveva ferita riportando a galla tutto questo e molto altro ancora.

Si odiò per la sua debolezza, per ogni singolo momento perduto che avrebbe voluto di nuovo afferrare, prezioso perché effimero, breve, irripetibile. Il rumore si affievolì sempre di più fino a diventare indistinguibile o, forse, era Sigyn stessa che non riusciva a concentrarsi tanto da sentirlo. L'incontro con Loki, inaspettato e doloroso, era riuscito a spiazzarla, a spezzarla. L'aveva detestato con tutte le sue forze, evitando ogni contatto, convincendosi che anche lui la disprezzasse. Era stata ingannata dal suo stesso cuore che aveva confuso il fastidio con l'amore. I passi sicuri di Loki ormai erano spariti; l'ancella lasciò il reticolato di ferro per tornare dalle sue consorelle immobili, silenziose e certamente giudicanti, che l'avrebbero guidata fino nella sua stanzetta. Un compito che senz'altro consideravano ingrato – che valore poteva avere, per loro, occuparsi di un'ancella impura, ai loro occhi doppiamente colpevole? Decise che non le interessava. L'importante era che Loki se ne fosse andato. Tutto il resto rappresentava il male minore. Raggiunse la sua cella e finalmente si ritrovò da sola con i suoi pensieri.

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