Capitolo 5

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Capitolo 5

Il dio dell'inganno sapeva perfettamente di essere brillante e astuto e, a detta di suo padre, era proprio questa consapevolezza a rappresentare uno dei suoi peggiori difetti. Fiero e sicuro di sé com'era, tendeva spesso a fare troppo affidamento sulle proprie capacità o su quelle di Thor. La colpa di ciò era attribuibile, almeno in parte, alla spavalderia che i due principi sfoggiavano nonostante, già da alcuni anni, sulle loro spalle gravassero molte delle incombenze del regno di Asgard. Odino aveva fatto di tutto per forgiare nel ferro e nel fuoco il carattere dei suoi figli maggiori, ma la sensazione d'essere invincibili e immortali non aveva abbandonato i petti tronfi dei due ragazzi, né avrebbe potuto farlo, del resto. Era la necessaria corazza che i due dovevano indossare per dimenticarsi di tutte le volte in cui, coi volti macchiati di terra e sangue, avevano visto morire sotto i loro occhi amici d'infanzia e commilitoni – in fondo, la vittoria porta sempre e comunque con sé il sapore acre della morte. A battaglia finita, non restava loro che bere fino a stordirsi, raccomandando a mezza voce alle anime dei soldati caduti in battaglia di festeggiare allo stesso modo nel Valhalla dove, un giorno, avrebbero finito per ritrovarsi tutti. Ma quando il prezzo da pagare affinché Asgard continui a essere il faro splendente cui guardano tutti i Nove Regni cola dalle proprie ferite, caricarsi ancora più d'orgoglio e pretendere d'avere voce in capitolo nelle più svariate decisioni diventa più facile.

Loki Odinson era stato cresciuto con la promessa di essere nato per diventare re: ne aveva il sangue e la stoffa. Forse era anche per colpa di questa radicata consapevolezza se si mostrava sempre più insofferente alle regole imposte e, più in generale, a tutto ciò che limitava la sua libertà. Padre Tutto lo aveva messo in guardia, ammonendolo di stare il più possibile lontano da Sigyn e di non dimenticare mai, nemmeno per un istante, chi lei fosse e quale destino le spettasse. Il dio dell'inganno si era risentito per quel rimprovero che riteneva privo di senso. Non gli mancavano le ragazze e non aveva certo bisogno di correre dietro proprio a quella. Se non fosse stato per la sottile vibrazione scaturita dalla presunta scintilla, era certo che non si sarebbe mai accorto di quegli occhi rotondi che lo biasimavano a ogni passo, di quelle labbra arcuate in un'espressione carica di disprezzo. Sì, Loki ad alta voce ribadiva il suo disinteresse argomentandolo con una serie di discorsi molto accurati e ben fatti, ricacciando con forza dentro di sé ciò che Odino aveva intuito: una verità che s'infilava nei suoi pensieri più profondi, scoprendo desideri che si alimentavano di se stessi e dolevano come nervi scoperti. Lei era proibita e anche solo guardarla rappresentava un errore, un sacrilegio compiuto nei confronti dell'ordine costituito; avrebbe dovuto rinunciarci senza indugiare in pensieri pericolosi e malsani, ma la soddisfazione non era nella sua natura – questo, però, non lo sapeva ancora.

Lo spazio ristretto del rapidissimo drakkar faceva sì che il dio dell'inganno si ritrovasse il suo delicato ostaggio dai capelli d'oro davanti agli occhi ogni minuto. Sigyn teneva il mento affondato nella pelliccia che le aveva donato cercando di prendere confidenza con i rollii della barca, con i suoi spazi stretti e circoscritti in cui ogni palmo era funzionale a qualcosa e, soprattutto, non lo perdeva di vista neanche per un istante. Era abituata a condurre una vita riservata e ritirata, ben diversa da quella tipica delle Æsinne in generale, delle valchirie in particolare. L'equipaggio la metteva in imbarazzo e, sebbene facesse di tutto per conservare un atteggiamento dignitoso e adatto a una nobildonna, il suo disagio era palese. La vita aveva perso ogni punto di riferimento o certezza esistente. Era una prigioniera – la figlia di un uomo che aveva mancato di mandare aiuti agli Æsir impegnati in una battaglia. Si corresse: di un traditore. Sigyn era abbastanza intelligente da riuscire a immedesimarsi bene nei punti di vista altrui. Gli uomini di Odino la guardavano e pensavano sempre più spesso ai loro fratelli caduti in battaglia, ai loro amici torturati a morte o resi storpi. Come lei, si chiedevano quale destino Padre Tutto le avrebbe riservato alla sua corte, perché nella storia dei Nove Regni c'erano stati ostaggi costretti a morire d'inedia in una torre e altri ridotti in schiavitù. Alcuni, invece, avevano indossato catene fatte d'oro sottoforma di corone che gli avevano cinto il capo, ma lei sarebbe dovuta diventare un'ancella e servire gli antenati; Odino non poteva davvero ignorarlo o dimenticare la sua vocazione. Persa in questi ragionamenti, affondava ancora di più il naso nella folta pelliccia ceduta da Loki dagli occhi di ghiaccio e dal sorriso furbo, che dopo averla strappata alla sua famiglia ostentava una fredda distanza.

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