Capitolo 8

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Capitolo 8

L'unica cosa rimastagli di Sigyn era una sciarpa di seta che tratteneva ancora il profumo dolce della sua pelle. Loki l'aveva stretta tra le dita valutandone la consistenza alcune sere dopo che lei se n'era andata. Sedeva stravaccato su una poltrona, con le gambe allungate sopra un tavolino basso. Cercava un trattato di storia e il suo sguardo era caduto sulla stola sottile. Il primo impulso era stato quello di calpestarla, stracciarla, gettarla nell'ampio camino dove guizzavano le fiamme. Non gli riuscì, ma non osò nemmeno accertarsi davvero se quel pezzo di stoffa sapesse ancora di lei. Non desiderava rievocare il suo ricordo e sapeva benissimo che l'unico modo per liberarsi definitivamente e per sempre della sua ombra era cancellarla dalla testa. L'odore di Sigyn sapeva delle notti in cui il desiderio di possederla l'aveva avvelenato tanto da spingerlo fin sulla soglia della sua stanza o del tempio per fissare i suoi occhi grigi sgranati per lo stupore, le labbra schiuse e invitanti. Serrò con più forza le dita attorno a quel lembo d'eterea stoffa rosa immaginando di vederlo bruciare nel caminetto. Nella penombra rischiarata appena dal fuoco ricreò la scena nella sua mente mille volte – lui che lanciava la stola tra le fiamme e guardava la seta bruciare, distruggendo ogni traccia di lei, scacciando via il suo fantasma. Giurò che l'avrebbe fatto, ma chiuse gli occhi e poggiò la testa sullo schienale della poltrona. Era un bugiardo, dopotutto.

Le sere erano trascorse una dopo l'altra, trasformandosi in settimane e poi in mesi. Era certo di non ricordare più che profumo avesse la pelle di Sigyn – bastava non pensarci e confonderlo con quello di un'ancella che non le assomigliava affatto o di Sif stessa e poi stordirsi con l'idromele, le battaglie e i viaggi. Nessuna delle sue amanti, però, si svegliava e, non trovandolo nel letto, lo raggiungeva sulla terrazza spazzata dal vento per cingergli i fianchi e posare la fronte sulla sua spalla. La notte, certo, a volte lei tornava. Veniva a reclamare le attenzioni che lui si rifiutava di darle durante il giorno, quando la estrometteva dai suoi pensieri e scuoteva la testa per scacciarla dalla sua mente. S'infilava negli incubi che avevano per oggetto l'orrore che per lei, solo per lei aveva affrontato, incantevole ed eterea come la ricordava, sfacciata come era stata solo poche volte. Non la chiamava per nome nemmeno in quei momenti, ma spesso si svegliava con un sussulto e la sensazione di averla stretta tra le braccia fino a pochi istanti prima. Solo che Sigyn era perduta così come era stata intoccabile.

Un principe come lui, che ambiva a sedersi sul trono di Odino, non avrebbe dovuto commettere un errore così plateale e assurdo, eppure non era nella natura di Loki pentirsi di qualcosa che aveva scelto di fare volontariamente. Assumersi la responsabilità di azioni decise in fretta apparteneva al suo carattere fiero e pragmatico di giovane uomo abituato a comandare armate. Di pirata che non sapeva accontentarsi dei tesori che già aveva e ne bramava continuamente altri. O desiderava per sempre quelli che le Norne avevano scelto di negargli.

Si sciacquò la faccia con l'acqua gelida del torrente presso cui si erano accampati. Thor stava dando da mangiare ai cavalli e, vedendolo finalmente sveglio, lo interrogò. "Quanto abbiamo? Tre giorni?"

Loki piegò le labbra in una smorfia tirata. "Non più di due, temo."

"Beh, potresti raccontare che abbiamo trovato un grosso cinghiale a cui dare la caccia," propose l'altro. "Non sarebbe la prima volta."

Sul viso affilato dell'ingannatore si affacciò un mezzo sorriso. "Poi dovremmo scovarne davvero uno. O dire che ce lo siamo fatti scappare."

Thor alzò le spalle. Il problema non lo riguardava – come era possibile non riuscire a cacciare un animale da esibire come trofeo? – e, grazie alla sua immensa tracotanza e alla smodata fiducia in se stesso, era sempre portato a credere che il fato filato per lui fosse pieno solamente di occasioni fortunate, fatte apposta perché le cogliesse. L'atteggiamento di Loki gli risultava spesso sgradito, perché il fratello, al contrario suo, agiva sempre con una circospezione ragionata e selvatica al tempo stesso. Rifletteva su ogni possibile variabile ed era sempre pronto a frenarlo, individuando tutte le falle e i pericoli presenti nei suoi piani spesso azzardati. L'ingannatore non era pavido, anzi: in più di un'occasione le sue trovate erano state giudicate molto più che folli e audaci e, per Thor, non esisteva un compagno d'avventure migliore di lui, anche se non aveva nessuna intenzione di dirglielo. Il fatto era che Loki, prima d'agire, doveva valutare ogni potenziale rischio. La sua cautela era indispensabile affinché i colpi di testa di Thor non generassero disastri giganteschi: si erano trasformati in una squadra perfetta – o lo erano stati da sempre, abituati com'erano a giocare insieme prima, a combattere l'uno al fianco dell'altro poi.

Scintille nel buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora