~Capitolo 6~

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Beck

Speravo di aver del tempo per pianificare le miei mosse una volta all'Inferno, ma quando mai le cose andavano come volevo io?
Fu così che mi ritrovai sulle rive del fiume Stige prima che potessi anche solo pensare a dei nomi in codice memorabili. Per farmi mimetizzare meglio, Dio aveva trasformando i miei occhi da grigi a neri, per poi rendermi più pallido del normale. Inoltre mi aveva fornito una spada come unica arma. «Questa è fatta di luce pura, Beck, quindi provoca nei demoni delle ferite molto più gravi di una spada normale.» aveva detto mentre me la consegnava.

Questa cosa mi aveva rincuorato un po', almeno fino a quando non mi ero ricordato di essere solo, contro l'intero Inferno, in un ambiente ostile alla mia natura, con una persona da salvare in solo quattro fottuti giorni. Maledetto il mio orgoglio.
Visto che andarmene via terrorizzato, perdendo la dignità per sempre, era troppo umiliante, il mio geniale cervello aveva pensato di darsi al suicidio volontario.

Di certo non avrei mai lasciato un'anima in pericolo al suo destino ma, obiettivamente, non vedevo possibilità di successo per la mia impresa.
Comunque, dov'ero rimasto?
Ah, si ero appena arrivato all'Inferno. Dio mi aveva detto che probabilmente avrebbero portato Angelica nel Carcere satanico, quindi, presi la mappatura dell'Inferno che mi avevano fornito e la studiai. Vidi che sarei dovuto passare per un piccolo sentiero che costeggiava i Campi della pena.

Sospirai e mi incamminai, resistendo alla tentazione di volare fino alla prigione. I demoni non avevano le ali, quindi vedere un tizio che volava, così random, mi avrebbe fatto scoprire in meno di cinque secondi.

Quando arrivai mi fermai per qualche attimo fuori dai cancelli del carcere. Fino a quel momento non avevo incontrato nessuno, ma adesso stavo per entrare in un luogo pieno di demoni. Presi un respiro profondo e avanzai, cercando di stamparmi un'espressione corruciata sulla faccia, tipica dei demoni.

Mano a mano che mi avvicinavo, tentavo di reprimere la paura. E quando varcai la soglia dell'edificio, ignorai la macabra frase appesa al posto dello zerbino.
Appena entrato, non feci in tempo a guardarmi intorno, che una guardia mi intercetto subito.
«Chi sei?» mi chiese a bruciapelo.
«Mi chiamo Beck, sono una nuova recluta.» risposi, sperando che la bugia reggesse. «Mi hanno mandato qui.»
Il demone mi scrutò per il secondo più lungo della mia vita. I suoi occhi neri come il carbone mi squadrarono sospettosi. Poi, annuì. «Finalmente ci hanno spedito nuove riserve.» proclamò infine «Stavamo iniziando a fare turni estenuanti.»

Io trattenni un sospiro di sollievo, che avrebbe di sicuro insospettito il mio interlocutore.
«Sono Algar.» si presentò porgendomi la mano. Sorpreso da quel gesto la strinsi con qualche attimo di ritardo, mentre annuivo, incerto se sorridere fosse troppo da angelo.
Lui non fece caso alla mia esitazione e attraversò l'intero androne, facendomi strada probabilmente verso le celle. Svoltammo nell'unico corridoio presente e ci fermammo in una piccola stanzetta buia, senza finestre.

«Qui è dove lavorerai.» mi informò Algar. Io quasi non lo sentii. Stavo fissando il buco sul pavimento, e sottolineo il buco, che aveva appena indicato. Largo circa un metro e mezzo, non riuscivo a vedere niente oltre il buio sempre più fitto. In che senso lavorerò lì? Le celle sono lì sotto?
«E... qualcuno c'è mai morto?» chiesi cercando di sembrare tranquillo.
«Certo.» L'ovvietà del suo tono mi fece rabbrividire. «Alcuni muoiono di fame o di sete, altri si suicidano o vengono uccisi dai compagni. Non dimenticarti che sono tutti criminali.»

Non pensavo di dover rischiare la vita così presto ma, evidentemente, mi sbagliavo.
Scendere per quello stretto cunicolo non fu facile, tanto che quasi mi ruppi l'osso del collo. Subito dopo, Algar mi diede una mappa dei labirintici tunnel che componevano i sotterranei. Sopra ogni piccola cella c'erano scritti i nomi dei prigionieri. Esultai mentalmente, soddisfatto da tutta quell'organizzazione, che avrebbe facilitato la mia missione.

«Puoi iniziare subito con un giro di perlustrazione. Vai pure e attento a non perderti. Non verremo a cercarti.»
Ignorando l'ultima, e inquietante, frase di Algar, mi avventurai per i labirintici sotterranei alla ricerca di Angelica.

Nonostante la mappa non fu facile trovarla, visto che avevo un pessimo senso dell'orientamento. Girando un po' per le gallerie, però, ero riuscito a capire quanto crudele fosse quel tipo di prigionia.
Ero lì sotto da solo cinque minuti e già iniziavo a soffrire di claustrofobia. Non c'erano finestre, tutto era buio con solo qualche torcia appesa alle pareti, le celle erano piccole e molto spesso ospitavano più di due persone.

Lasciando stare le condizioni igieniche pessime, era molto probabile morire a causa del morso di insetti che non avevo mai visto prima. Ora penserete che stavo esagerando, qualche ragno era normale sottoterra, ma quelle creature risentivano del posto in cui si trovavano e ne assorbivano l'essenza malvagia, come delle orripilanti spugne.

Quando finalmente arrivai alla cella, mi fermai a qualche metro di distanza, per osservare di nascosto al scena. Riconobbi subito la ragazza che avrei dovuto salvare, Angelica. Di spalle, con i lunghi capelli rossi che le coprivano la schiena, sembrava in lite con il suo compagno di prigionia. Sbuffai.

Da un lato ammiravo il suo coraggio nel discutere con un criminale ma, dall'altro, ero molto contrariato dalla stupidità dell'azione. E se avesse deciso di farle del male? Che cosa avrei potuto fare io per impedirlo? Non potevo rimanere appostato lì vicino per sempre.
Quando sentii che le loro parole si stavano trasformando in urla, decisi di intervenire.

«Voi due, fate silenzio!» esclamai nella mia migliore interpretazione di un demone arrabbiato. Loro si zittirono, quasi immediatamente, per poi portare la loro attenzione su di me.

L'uomo dimostrava una trentina d'anni e aveva un aspetto trasandato. Il suo viso era pallido e grigiastro, gli occhi erano fuori dalle orbite, forse per tutto il tempo passato senza la luce naturale. Un ghigno dall'aria viscida completava l'aspetto da carcerato fuori di testa. Rabbrividii, sapendo di trovarmi di fronte a un malvivente.

Angelica, invece, aveva le guance rosse per la rabbia e gli occhi ridotti a due fessure. Il loro verde chiaro era oscurato dall'ira che la ragazza stava provando.

«Che cosa sta succedendo qui?»

Angelica all'inferno {IN REVISIONE}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora