~Capitolo 12~

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Angelica

Il dolore infiammava le mie membra, mentre tornavo a prendere conoscenza. Avevo la guancia schiacciata contro una superficie ruvida e un forte dolore alla schiena. Deglutii, tentando di riaprire gli occhi.

"Siamo ancora vive?"
La voce della mia coscienza si fece subito sentire. Io presi un respiro più profondo degli altri, mentre i miei polmoni si espandevano dolorosamente. 
"." non ero in vena di parlare con lei, dopo quello che era successo.  "Menomale, almeno questa volta sei riuscita a sopravvivere, non come nel fiume… "
"Taci!" esclamai mentalmente, ancora scossa dagli avvenimenti degli ultimi giorni. 

"Sto parlando per aiutarti a riprendere conoscenza! Vedi di svegliarti!"
Quell'ordine diede una scarica al mio cervello e riuscii ad aprire gli occhi, sollevando le palpebre che apparivano sempre più pesanti. 

Mi trovavo in una nuova cella. Più piccola della precedente e con una sola brandina.  La penombra del sotterraneo mi impediva una visione generale dell'ambiente.
Ero sdraiata, con il viso rivolto verso il fondo della stanza. Tentai di alzarmi a sedere, ma capii subito di aver commesso un errore, appena mi mossi. Una sensazione di nausea rivoltò il mio stomaco, mentre la vista mi si offuscava. 
"Decisamente non stai bene." commentò la mia coscienza.
"Tu dici? Non l'avrei mai detto."

Rinunciai al mio tentativo di alzarmi e sospirai. Che cosa potevo fare, adesso, in quelle condizioni? 

I miei pensieri furono interrotti da un rumore di passi.
Probabilmente qualcuno camminava di fronte alla cella. Il suono si intensificò, avvicinandosi, finché non si arrestò, sostituito dal tintinnio di un mazzo di chiavi.

Preoccupata che fosse uno dei demoni, chiusi nuovamente gli occhi, fingendomi svenuta.
Non sapevo come affrontare la situazione, quindi meglio apparire innocua. Il cigolio delle sbarre mi fece capire che qualcuno le aveva aperte. 
Iniziai a sudare freddo, faticando a mantenere un'espressione imperturbabile. 

Avvertii un tonfo metallico e uno sciabordio d'acqua. Da quanto non bevevo? Sentivo la gola arida, come se avessi ingurgitato chili di sabbia.
Ci volle tutto il mio autocontrollo per continuare a fingere indifferenza.
Poi, improvvisamente, sentii una mano che mi accarezzava i capelli con dolcezza, scoprendomi la schiena. 

Un contatto troppo delicato per venire da un demone. 

Subito dopo avvertii uno panno bagnato sulla pelle. Il sollievo che provai mi fece sospirare di piacere, provocandomi dei brividi lungo la spina dorsale.
«È il primo segnale di vita in due giorni, vuol dire che prima o poi riaprirai gli occhi?» 

Ebbi un sussulto. Era Beck a parlare. 

Con il cuore che batteva sempre più veloce, sollevai le palpebre, nonostante la loro pesantezza.
Il viso dell'angelo sembrò illuminarsi appena mi vide sveglia e i suoi occhi si velarono di lacrime. 
«Mi passi un po' d'acqua?» 
Sussurrai con fatica. Lui deglutì, annuendo.
«Si… aspetta che ti aiuto a sederti.»

Finì di pulirmi le ferite e strinse delle nuove bende intorno al mio torace.
Poi, mi sollevò con delicatezza, sentendosi accanto a me per sostenermi. Mi appoggiai al suo petto, godendo del suo calore. 
«Ecco qui.» mi porse una borraccia che portava alla cintura.
Debolmente, la presi in mano. I miei muscoli, atrofizzati, mi tradirono, impedendomi di sostenere il suo peso. 
«Menomale che ci sono io ad aiutarti.» 
Commentò Beck. 

Afferrò la borraccia e la accostò alle mie labbra socchiuse. Quando l'inclinò, bevvi avidamente, mentre alcune gocce scivolavano lungo il mio collo. A quel contatto, la mia pelle rabbrividì. 
La mia sete si estinse solo dopo aver consumato una buona parte dell'acqua contenuta nella bottiglia. 

«Ti senti meglio?» il fiato di Beck solleticava il mio collo, mentre parlava con apprensione. Posai una mano sul suo ginocchio per sostenermi.
«Sono più felice.» 
risposi semplicemente. 

Ed era vero. Non potevo dire di sentirmi bene, perché ogni respiro mi sembrava più faticoso del precedente, ma il mio cuore era illuminato dalla luce della speranza.
Ero sopravvissuta e avevo qualcuno su cui contare. «Non credo che qualcuno sia mai stato felice all'Inferno.»
«Allora io sarò la prima.»
Beck rimase un attimo in silenzio.
«Noi saremo i primi.» aggiunse poi.
Un sorriso mi si formò sulle labbra.
«Perché sei felice che non sia morta?» La mia era una domanda sarcastica, ma lui sembrò impegnarsi seriamente nella risposta.
«Sì.» affermò con una sicurezza che mi fece battere il cuore «Non sono venuto qui per riportare il tuo cadavere.» 

Sorpresa da quelle parole inaspettate, non riuscii a trovare nessun commento per allentare l'intensità di quel momento. 

«Adesso, però, meglio che torni alla mia postazione fuori dalla cella. Non voglio rischiare che qualcuno mi scopra.»
Annuii, anche se essere privata del contatto con il suo corpo mi colpì come una raffica di vento invernale. Finsi indifferenza e mi sdraiai nuovamente sull'addome.

«Rimarrò qui fuori, a fare la guardia.»
Quelle le ultime parole che sentii pronunciare, prima di cadere nuovamente nell'oblio del sonno. 

Dopo non so quanto tempo, delle mani sgarbate mi svegliarono bruscamente. 

Avvertii qualcuno afferarmi i polsi e torcerli dietro la schiena, per poi legarli strettamente con una corda grezza. Aprii gli occhi di scatto, ancora scombussolata, e mi sentii strattonare. «Che cosa… ?»

Qualcuno mi sollevò tenendomi per le braccia e mi trascinò fuori dalla cella. I miei occhi faticarono ad abituarsi alla luce delle torce, mentre un'altra guardia mi afferrò per il gomito, tirandomi in avanti. 

Le mie gambe, ancora deboli, iniziarono a tremare per lo sforzo di sostenere il mio peso.
La schiena mi doleva come non mai, mentre tentavo di raddrizzare la colonna vertebrale.
«Cammina con quelle gambe!» 
Mi intimò una voce vicina a me. 

Il mio cervello era in totale confusione. Troppi movimenti da compiere, troppo dolore da sopportare e informazioni da elaborare. Qualcuno mi colpì alla schiena, per farmi avanzare. Mi si rovesciò lo stomaco.
Vomitai sangue e acqua, mentre le forze mi abbandonavano completamente. Mi piegai in avanti e caddi a carponi.
I demoni esplosero in lamenti e insulti, mentre mi sollevavano nuovamente in piedi. Barcollai, abbandonando tutto il mio peso al sostegno delle guardie. 

Ero troppo debole.

Mi trascinarono fuori dai sotterranei. Lo capii dalla leggera pendenza che il terreno aveva assunto. Avevo gli occhi chiusi e la testa bassa. L'unica cosa che ero in grado di fare era pormi domande.

Dove mi stavano portando? E Beck, dov'era finito? Mi aveva abbandonata di nuovo?

Uscimmo fuori dal carcere tramite una porta secondaria. L'aria, seppur intrisa di zolfo, era più respirabile di quella precedente. La luce rossastra del cielo mi investì, mentre riuscivo finalmente a socchiudere le palpebre.
L'unica cosa di fronte a noi, a pochi metri di distanza, era un carretto che trasportava una gabbia a misura d'uomo. 

"Seriamente? Ma dico siamo delle bestie? Sei così pericolosa da dover essere messa in una gabbia?" La mia coscienza iniziò a protestare. Io evitai di commentare. Non avevo forze per mettermi a litigare con le guardie. 

I miei piedi strascicarono sulla terra, finché uno dei demoni non aprì le sbarre della gabbia. Gli altri due mi buttarono dentro, senza curarsi delle mie condizioni.
Per evitare di cadere di faccia, frapposi le mani, scorticandole contro il legno del carretto. 

Sopressi l'ennesimo conato e mi appoggiai con una spalla alle sbarre. 
Dietro di me, la gabbia veniva chiusa, mentre la chiave girava per quattro volte nella toppa.

Quel particolare mi fece sorridere. 
Sembrava che in tre giorni fossi diventata la criminale più pericolosa dell'inferno. 

Spazio Autrice
La vita all'inferno non si ferma mai, e nessuno ha un attimo di tregua, neanche i nostri protagonisti.
Secondo voi cosa succederà?
Dove la stanno portando?
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Angelica all'inferno {IN REVISIONE}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora