~Capitolo 9~

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Angelica

Le lacrime furono mie compagne tutta la notte. Dopotutto, non potevo certo dormire tranquilla, con un cadavere accanto. 

La cosa peggiore, però, erano i miei pensieri. C'erano momenti in cui mi rendevo realmente conto delle conseguenze del mio gesto e altri in cui cercavo di giustificarmi. Ma non c'erano scuse che tenevano, avevo ucciso una persona. ''Be', in teoria era già morto" disse la mia coscienza ''L'ho fatto scomparire per sempre, allora!''
"Si ma avevi una buona ragione"
"Non è vero! Avrei potuto limitarmi a chiamare le guardie una volta stordito."

In effetti quello sembrava un piano molto più ragionevole di: soffocalo fino alla morte. "Si e visto cosa è successo quando hai chiesto aiuto! È comparsa quella voce terrificante che ti ha… posseduto."
Sospirai, rabbrividendo al ricordo di come mi ero sentita impotente, attraversata da una crudeltà che non era la mia. "Ero disperata. Non ho riflettutto abbastanza prima di darle il controllo… e guarda cosa ho fatto."
"Non è colpa tua. Non eri nelle condizioni di poter ragionare razionalmente, hai agito d'istinto. E direi proprio che io preferisco la sua morte alla tua." 

Mi abbracciai le gambe e abbassai il capo. Nonostante l'avessi fatto per salvarmi non riuscivo comunque a perdonarmi. L'idea di essermi comportata come una criminale qualunque, degna di essere all'Inferno, non mi dava pace.
Rimasi diverso tempo in quella posizione, pensando a tutto quello che mi era accaduto e doveva ancora succedere. Fino a quando non sentii dei rumori di inequivocabile presenza umana per i vari cunicoli.
L'ansia mi assalì e, mentre battiti del mio cuore acceleravano, le mani iniziarono a sudarmi. Alzai la testa per sbirciare fuori dalle sbarre, non osando fare neanche un suono, per timore di attirare l'attenzione di qualcuno. Intanto però, l'attesa mi stava torturando.

Cosa succederà quando scopriranno quello che avevo fatto? All'Inferno vigeva la legge dell'occhio per occhio, dente per dente? Mi avrebbero strangolato di conseguenza? A peggiorare la situazione sentii delle voci pericolosamente vicine. ''Merda'' pensai agitata. Proprio in quel momento due guardie passarono di fronte alla cella.
«Ma cosa è successo, qui?»

Chiese una di loro, dopo aver visto il corpo di Noah a terra. Lo sguardo del demone vagò per l'angusto ambiente, fino a posarsi su di me. Nonostante avessi fatto di tutto per rannichiarmi il più possibile nell'oscurità, mi notò ed, evidentemente, fece due più due.

«Assassinio nelle cella numero 427.» urlò il suo compagno. L'avviso rimbombò per tutto il labirinto e, come una sirena della polizia, le parole si propagarono, trasportate dall'eco che regnava sovrano nei cunicoli. La prima guardia, intanto, aveva già aperto le sbarre. Mi prese per un braccio e mi trascinò fuori.

Io non opposi resistenza, provata dalla stanchezza, sia fisica che mentale. «Non so come tu abbia fatto, ma ti aspetta un trattamento ancora peggiore.» ghignò, mentre anche il suo compare mi afferrava per l'altro arto. "Peggiore di quello normale?" pensai incredula. Sospirai e mi lasciai trascinare da un corridoio all'altro, mentre cercavo di memorizzare il percorso, in caso che la punizione fosse stata quella di essere abbandonata lì sotto per sempre.

Gira a destra, poi tutto dritto, ancora a destra, la seconda a sinistra. Il mio cervello stava per esplodere. ''Ma gli costava mettere un cavolo di cartello?'' pensai angosciata.
«Dove mi state portando?» ebbi l'ardire di chiedere. «Sala delle torture.» rispose secco il tipo a destra. Mi si rivoltò lo stomaco. La sola idea di tortura mi faceva ribrezzo terrorizzava allo stesso tempo.

Dopo qualche altro attimo ci ritrovammo di fronte a una porta di legno molto rovinata, sbarrata da un asse di legno orizzontale. Sulla superficie logorata, poi, era stata incisa una frase dal significato nefasto: «Chi uccide non si aspetti la stessa clemenza.»
Che tradotto significava: «Tu hai ucciso una persona e noi, ora, ti torturiamo fino alla morte.» deglutii iniziando a sudare freddo. Non volevo entrare. «Vi prego… » sussurrai con le lacrime agli occhi. I demoni non mi lasciarano finire la frase e mi spinsero all'interno della sala. 

L'ambiente ampio, al contrario degli angusti cunicoli, era contraddistinto dall'acre odore di sangue rappreso e legna bruciata. Un braciere, che probabilmente divorava ciocchi e persone, ardeva in un angolo della sala. Un paio di tavolacci scuri e rozzamente intagliati esibivano una serie di strumenti dall'aspetto sinistro. Coltelli di tutte le dimensioni, aghi molto più grossi del normale, catene arrugginite, martelli chiodati, fruste e marchiatori. 

Cominciai a sudare freddo e la bocca mi si seccò, mentre la nausea iniziava a salire. La presa delle guardie sulle mie braccia si intensificò, mentre mi trascinavano verso un semicerchio di ferro affisso al muro. Con una leggera pressione mi fecero scendere in ginocchio. Le gambe mi tremavano così tanto che non riuscii a opporre resistenza.

Mi legarono i polsi alla ruvida superficie ferrosa e mi ritrovai con le braccia bloccate ai lati del viso. In quel momento potevo solo guardare le pietre scure della parete, mentre ascoltavo le parole dei demoni.

«Andiamo a chiamare il boia.» disse uno dei due al suo compare. Uscirono, lasciandomi sola. Deglutii. «Il boia?!» quasi strillai, anche se sapevo che non c'era nessuno ad ascoltarmi. Tentai di prendere un respiro profondo, per evitare di andare in iperventilazione. 
Non avevo mai provato una paura simile. 

"Qui si mette male." Disse la mia coscienza.
"Non ci volevi te per dirmelo!"
"Lo so, ma volevo solo parlarti per un'ultima volta."
"Quindi mi dai già per spacciata."
"Be' sai, il boia non è esattamente un tipo amichevole."

Strinsi i denti per evitare di urlare dalla frustrazione.

"Forse, però, visto che sei già morta  farà meno male."
"Cosa?!" sbottai esasperata "Per una volta puoi mostrarti seria?! Sei la mia cazzo di coscienza e… e mi stai solo facendo sentire peggio."

Sospirai tentando di calmare i nervi. Non volevo, anzi non mi potevo permettere, di sprecare energie arrabbiandomi con me stessa. Forse tutto questo era solo un escamotage della mia mente per distrarmi dal mio imminente destino. 
Beck non era riuscito a salvarmi, avevo rovinato tutto con la mia avventatezza, e stavo per essere torturata da una creatura senza cuore. Gemetti, tentando di reprimere un singhiozzo. Più ci pensavo e più mi sentivo come se fossi sul punto di vomitare anche il cuore.

"Non finirà qui Angelica. Qualunque cosa ti succederà tu sei più forte." la mia coscienza parlò per un'ultima volta. 

E in quel momento la porta si aprì.

Spazio Autrice

So che mi starete insultando anche in aramaico antico, ma... Cos'è una storia senza suspense?
Mi sento particolarmente malefica ogni volta che lascio le cose così in sopseso ahahahhaha
Ricordatevi di commentare e votare se vi sta piacendo la storia, mi date un grande supporto❤

Angelica all'inferno {IN REVISIONE}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora