26.Tanto, tutto passa.

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Zack.

Cinque mesi dopo.

I mesi successivi sono come un tuffo nel vuoto.
La tristezza che alberga dentro di me è quasi onirica, profonda, statica e smisurata.
Sono come sorretto nel vuoto, una particella di consapevolezza senza mani, né piedi, né capelli, né labbra.
Mi sento impregnato da una strana percezione di pace, malgrado il palpitare sordo che va e viene.
Mi percuote a ondate sempre più forti, sempre più appuntite, finché si trasforma in uno schianto, in un picchiare continuo.
Sbatto le palpebre, ma mi accorgo che gli occhi sono già aperti.
Non c'è nulla intorno a me, nulla sopra né sotto.
Soltanto dolore, che pulsa nella mia testa.
Sbatto di nuovo le palpebre.
Nessuna sagoma, nessun'ombra, nessuna forma indistinta.
Soltanto l'assoluto, divorante buio.
Di colpo mi raddrizzo.
Nella mia mente.
In realtà non accade nulla.
È come se il mio cervello sia separato dal resto del corpo.
Non sono in grado di percepire le braccia, le gambe, la lingua, le dita.
Però riesco a sentire.
Cristo santo, riesco a sentire, anche se alle mie orecchie giunge un unico suono: quello del mio cuore che batte all'impazzata, come se voglia uscire dal petto.
Ogni doloroso battito viene amplificato nella mia testa, come se tutti i miei nervi termino lì, in una pulsante pozza di sangue.
Riesci a sentire.
Riesci a respirare.
Forse hai perso la vista, ma sei vivo.
No.
Non appena ho messo piede nello Stato di Washington, ho sentito gli occhi secchi e mi faceva male la gola.
Ho pensato: "Forse mi sto ammalando".
Perché stavo davvero facendo fatica anche a respirare.
Purtroppo, non ero malato.
O almeno non di qualche formula influenzale che colpisce l'80% della popolazione mondiale durante la primavera.
Semplicemente avevo il mal d'amore.
E più o meno, sono stato in quella condizione da quando avevo lasciato casa di Clytia cinque mesi prima.
Inserirsi in un nuovo contesto faceva schifo.
Realizzarlo era come uno schiaffo in faccia, abbastanza violento da farmi bloccare sui miei passi.
Ma alla fine mi ero ambientato.
Avevo conosciuto i miei nuovi compagni di squadra.
La mia nuova università.
E il mio nuovo appartamento.
Ma odiavo, e ancora odio con tutte le mie forze, esser qui.
Non dovrei.
Chiunque avrebbe fatto carte false per esser al mio posto.
Qui c'è energia, come se ogni persona fosse così grata di poter essere parte di questo posto da trasudare trepidazione.
Tutti tranne me.

Ho appena concluso l'ennesima sessione di allenamenti.
Sfilo la maglia della squadra dalla testa e ne approfitto per fare una doccia.
Se c'è qualcosa che mi rilassa è la doccia.
L'acqua scivola lungo il corpo, i palmi delle mani premono contro le piastrelle fredde che rigenerano ogni mia terminazione nervosa, piego la testa contro il fiotto d'acqua che mi investe ed inizio a pensare.
Mi abbandono, mentre gli interi mesi di merda trascorsi scorrono sul mio corpo come i rivoli di acqua.
Impreco tra me e me, per non farmi sentire dai miei compagni.
Lascio che l'acqua mi investa, mentre si porta via la sua fragranza, la sensazione della sua pelle a contatto con la mia, il suono tenue dei suoi respiri, mentre la mia bocca godeva del suo corpo.
Batto i palmi delle mani contro le piastrelle, mentre so di non riuscire a levarmela dalla testa.
È entrata occupandone ogni cellula e ora non più come cancellarla via.
Con un asciugamano avvolto in vita, esco dalla doccia.
Siedo su una delle panche, mentre i miei compagni si dileguano dallo spogliatoio.
Ho quasi pietà di me stesso mentre tampono i miei pettorali prima di vestirmi.
Durante il percorso, trascino i piedi con una riluttanza evidente e una voragine colma di una brutta sensazione piantata in fondo allo stomaco.
Nessuno sembra particolarmente sorpreso nel vedermi.
Ricevo un paio di cenni solidali, mentre salgo le scale fino al mio piano.
Una volta dentro casa, lancio un'occhiata verso il mio nuovo coinquilino, Kai, notando la sua devozione per la playstation tanto da concedermi un semplice cenno prima di ritornare nel suo mondo.
Kai non è fa parta della squadra, a dirla tutta non fa nessun tipo di sport.
È un informatico, frequenta la maggior parte dei miei corsi ed è all'ultimo anno dell'UW.
Ha un fascino tutto suo, piuttosto volgare a dire il vero.

Non è facile essere me.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora