25.Così mi dice la testa.

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Zack.

L'aria dentro il mio appartamento è così densa e umida che mi si appiccica addosso come uno strato di vestiti bagnati.
Tecnicamente questa è la mia festa, una sorta di "addio" da parte della mia squadra, ma anche dormire sarebbe meglio che stare a questa festa orribile con un mucchio di gente ubriaca.
Mi ci vuole quasi uno sforzo fisico per fendere l'aria, mentre cammino verso la finestra, la apro per annusare l'aria fresca.
La stanza è in penombra, la pioggia che scroscia sempre più forte sul tetto minacciosa, e io ho la sensazione che al mondo non viva nessun altro a parte me.
Ho un gran bisogno di sentirmi così.
Non sono state solo le parole di Clytia a toccare un nervo scoperto, ma il fatto di aver perso il controllo ed essermi comportato come non avrei immaginato di fare.
Sono diventato quello che ho sempre evitato di essere, ma continuo a far scorrere le sue parole nella mia testa e non riesco a trovare pace.
Com'è possibile che non riesca a comprendere la verità?
Ora, a distanza di giorni, ancora qui a Philadelphia, nell'ultimo giorno prima di andar via?
Lei non mi vuole.
Una volta per tutte.
In quella dispensa volevo proprio ferirla, ma non so dire perché.
Dio.
Se qualcuno mi chiedesse come mi sento in questo momento, non so cosa direi.
Non penso di avere una risposta.
C'è dolore, panico e senso di abbandono, ma allo stesso tempo sono come intorpidito.
Non percepisco niente e percepisco tutto insieme, ed è la sensazione peggiore che abbia mai provato.
Infilo le dita tra i capelli fissando la strada.
Il temporale è cominciato un'ora prima.
Retth ubriaco, mi appare dietro, mi poggia una mano sulla spalla.

«Ehi pivello, questa è per te» mi passa davanti agli occhi una bottiglia.

«Non bevo», bisbiglio.

«Non stasera.»

Pessimo momento per essere ironico.

«Voglio che stasera ti diverta»

«Non ho bisogno di bere per divertirmi.»

Mi guardo intorno e mi rendo conto che nessuno ascolta la nostra conversazione.

«Non ho mai detto che ne hai bisogno. Ma dovresti per risolvere i tuoi problemi»

Divertito dalle sue parole, scoppia a ridere.

«Non c'è niente da risolvere, quindi sto bene.»

Ma so anch'io che non è una garanzia a prova di bomba.

«Ne sei sicuro?»

Lo sa che sto mentendo.

Di solito non bevo, e non mi ubriaco mai, nemmeno nel weekend.
Ho sempre associato la sbronza alla debolezza, alla mancanza di controllo, a pensieri annebbiati e azioni deplorevoli.
Ma questa è un'occasione davvero diversa.
Ed è esattamente quello di cui ho bisogno in questo momento.

«Lasciami tutta la bottiglia».

Mi dà una pacca sul braccio e non se lo fa ripetere due volte.
L'afferro e senza insistere se ne va lasciandomi di nuovo da solo.
Sono letteralmente andato.
Non so che ore siano.
Quanto tempo sia passato dall'inizio.
C'è musica, alcool a volontà e l'unico segnale a ricordare che qui fuori non è tutto allegro e bello come vogliono farmi credere gli altri, sono i riflessi della pioggia che rimbalzano sui vetri delle finestre e le ombre che danzano sulle pareti.
Mi ci sono voluti diversi minuti per finire la bottiglia che mi ha dato Retth e medito se bere altro per lenire il fastidio che sento all'altezza del petto.
La casa è piena di gente e io non capisco niente.
Il bruciore costante dell'alcol sulla lingua e del fumo nei polmoni inizia a darmi fastidio.
Se essere sobrio non fosse così doloroso, non toccherei più questa roba.

«Quanto alcool si deve bere per dimenticare qualcuno?» domando a Retth e Teo osservando i loro volti euforici, mentre se ne stanno beatamente stravaccati sul mio divano.

Non è facile essere me.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora