3. Tentazioni senza nome

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Come avevo anche solo potuto scambiare il signor sarà impossibile non pensarmi stanotte con il mio ammiratore segreto? La cosa che più mi faceva rabbia era che ci aveva pure azzeccato: non avevo chiuso occhio tutta la notte pensando ripetutamente al nostro incontro.

Continuavo a rimuginare su quelle parole, sentivo ancora la sua voce sfiorarmi l'orecchio.

Aveva uno sguardo penetrante, gli occhi di un verde misto oro, inconfondibili tra mille. Quando mi guardò, ebbi la sensazione di essermi spogliata lì, in mezzo al pub, davanti a tutti.

La sua pelle era scura, ricoperta da una sfilza di tatuaggi old school. Dopo lo scontro al sapore di fragola, quando ci chinammo per raccogliere il ghiaccio caduto per terra al Gorill, avevo notato sulla sua mano due rose rosse curate nei minimi dettagli.

Mi piaceva il suo stile. Aveva dei ricci abbastanza lunghi da essere morbidamente raccolti sulla nuca con un elastico nero, anche se un po' schiacciati da quel maledetto cappellino. Il suo viso era spigoloso, con la mascella pronunciata, ma armonioso allo stesso tempo. Sotto il grembiule indossava una maglietta nera a maniche corte che metteva in mostra le sue spalle e i suoi muscoli e...

«Alexa?» mi richiamò Pier, durante la lezione di Latino.

«Si?» chiesi, ancora un po' sconnessa dal mondo. La sua immagine non riusciva a svanire ed offuscava qualsiasi altro pensiero.

«Sei imbambolata da più di mezz'ora» mi fece notare.

«Capisco che la situazione di ieri ti abbia turbata, ma mi sembra too much, no?» continuò.

«Scusami, sono sovrappensiero».

«Stai ancora pensando a "Mister facciamo sesso anche se non sai come mi chiamo"?» mi interruppe, imitando le virgolette con le mani.

Non mi era mai capitato di invaghirmi così di qualcuno prima d'ora, neanche con Denver o Troy, gli unici ragazzi a cui mi ero concessa. Con Troy avevo perso la verginità a sedici anni, spinta dalla curiosità di provare sensazioni nuove. Ogni tanto ci salutavamo ancora nei corridoi di scuola, avevamo mantenuto un buon rapporto. Denver fu invece una breve parentesi a cui non diedi mai molta importanza, non sapevo più neanche che fine avesse fatto.

Il nuovo barista invece mi restò impresso nella mente, probabilmente per il suo modo di fare, per la sua estrema bellezza. Suscitava in me emozioni contrastanti, dalla rabbia alle farfalle nello stomaco. Era insolente, arrogante, sfacciato e tutto ciò che di negativo potesse essere un ragazzo, ma devo ammettere che era fin troppo affascinante.

Annuii alla sua domanda, confessando il protagonista dei miei pensieri.

«Non pensarci nemmeno Alexa. So già come andrebbe a finire. Io non ho per niente voglia di vederti stare male, hai già passato tanti momenti brutti». Si fece serio.

Pier mi conosceva come nessun altro al mondo. Aveva ragione, dopo la morte di mio padre avevo sofferto abbastanza.

«Lo sai che mi si spezza il cuore quando stai male tesoro, non voglio più vederti in condizioni simili».

Gli diedi un bacio sulla guancia, per ringraziarlo delle attenzioni che mi dedicava.

«Signorina Berger» mi richiamò la professoressa Incant.

«Vuole condividere con noi il discorso che sta affrontando col suo compagno di banco? A quanto pare sembra essere più interessante della mia lezione» mi riprese, interrompendosi mentre stava scrivendo alla lavagna.

«Mi scusi professoressa» risposi, dopo aver assunto in viso un colorito vicino al bordeaux.

Feci segno a Pier di continuare la nostra conversazione più avanti e lui comprese al volo.

Ti prego non dirmi ti amoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora