Era quella la mattina in cui, per la prima volta, avrei preso in mano la mia vita senza permettere ad altri di gestirla.
Ero appena uscito dall'ufficio dei manager: avevo chiuso la questione di Giulia, motivando che nuoceva troppo, non solo al mio rapporto di coppia, ma anche alle visualizzazioni sotto i miei video e quelli di Emanuele. Non è che mi fregasse molto, ma a loro si: volevano solo guadagnare su di noi.
Avevano fatto resistenza, ma alla fine avevano ceduto decidendo che puntare sui “Tankele” sarebbe stato più conveniente.
Fottuti soldi e fottuta pubblicità.
Non me ne fregava più un cazzo. Ero arrivato al punto, così come gli altri ragazzi, di detestare la situazione e di voler solo evadere.
Mancava poco alla nostra partenza: solo due giorni e io sentivo finalmente la libertà.
La libertà di essere Tancredi.
La libertà di poter fare ciò che volessi.
La libertà di ricostruire i Q4 lì dove si erano persi.
La libertà di godermi Lele, completamente.
Avrei visto Giulia quella sera, per poter parlare e sperando di dirci definitivamente addio. Non era una cattiva persona, ma non era adatta a me: non lo era mai stata. Era arrivata solo nel momento in cui avevo bisogno di nascondermi, di nascondere quei sentimenti che all'epoca ancora non comprendevo bene.
Mi sedetti su una panchina. Non avevo voglia di tornare a casa in quel momento, ero immerso nei miei pensieri e il rumore non mi aiutava.
Sorrisi inconsapevolmente: ci fosse stato Lele avrebbe detto che l'ultima volta in cui avevo pensato avevo fatto una puttanata. Come dargli torto? Lo avevo lasciato, come sempre, per colpa delle mie paure.
A rifletterci bene era da tutta la vita che vivevo nascosto nelle mie paure. La mia era solo la facciata di chi sapesse di essere fragile quanto un vetro di cristallo.
Accesi una sigaretta e sentii il telefono squillare: non guardai neanche il nome, non ne avevo bisogno.
L: “Tanc, come è andata? Sei già uscito?”
T: “Le, respira, è andato tutto bene. Stasera mi vedo con Giulia per dirle tutto quanto e poi possiamo fare tutto il cazzo che ci pare.”
L: “Sono così contento, non vedo l'ora di tornare a Roma.Dove sei?”
T: “Sono uscito ora dall'ufficio, cinque minuti e sono a casa”
L: “Va bene e mi raccomando, fai attenzione”
T: “Dio Le', sono cinque minuti a piedi”
L: “Mai dire mai! Mai dire mai”
Detto ciò staccai la chiamata e ridacchia fra me e me. Mi soffermai a guardare la foto di sfondo: noi due, abbracciati mentre dormivamo. Era una foto che ci aveva fatto Gian di nascosto: non avrei mai ammesso di ringraziarlo profondamente per avercela scattata.
Dio, da quando ero così sentimentale? Da quando avevo capito di amarlo.
Mi alzai dalla panchina, spensi la sigaretta ormai finita e mi avviai verso casa sapendo che se no si sarebbe agitato.
Una volta arrivato, non feci nemmeno in tempo ad aprire la porta che iniziai a sentire delle urla provenire dal nostro appartamento,
No, oh no.
La bestia era stata liberata.
D: “Bro, abbiamo cercato o posti vicini..ma erano finiti”
L: “E quindi io devo essere lo stronzo che sta seduto non si sa dove in un altro vagone?! Ma giustamente mettiamo Lele no? Tanto non dice un cazzo?!”
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Storie sui Tankele//Part one
FanficUna storia che in realtà raccoglie vicende, momenti, attimi dei nostri amati pischelli romani. Tankele? Tankele. Gay? Gay. 1° PARTE