C'è qualcosa di affascinante e selvaggio nelle battaglie. Il clangore del metallo contro il metallo, l'immensa forza di cui si pervade il suo corpo nel tentativo di respingere i nemici, il cui unico scopo è conficcarti una spada nel petto e lasciarti a morire sull'erba, senza degnarti di uno sguardo. La cosa più affascinante, tuttavia, rimane la sua capacità di vedere la battaglia a rallentatore.
In quel momento la sua attenzione viene catturata da un uomo che corre con la spada alzata, pronto ad affondare il colpo. In un unico, fluido movimento, nonostante la pesante armatura, riesce a bloccare la spada a mezz'aria e a respingere l'uomo, che indietreggia stupito, sicuramente non si era aspettato una reazione così veloce, e rimane immobile per un attimo di troppo. Quell'esitazione gli costa la vita, perché la spada si è già conficcata nel suo addome, fendendo la tunica di cuoio che lo protegge. Con poco sforzo lascia cadere il corpo del nemico, i cui occhi vitrei fissano ora il cielo senza vederlo, sfilando la spada. Guardandosi attorno vede che la battaglia ora è furiosa. Vede Lancillotto e Galvano tenere testa a dieci guerrieri Sassoni, entrambi i cavalieri con il sorriso selvaggio dipinto sul viso, tipico della battaglia, un sorriso che conosce bene. I suoi occhi si spostano sul guerriero Sassone che si sta avvicinando alla spalle dei due cavalieri, una spada a due lame in pugno, pronto a uccidere."Galvano!" un grido esce dalla sua bocca, ma il fragore che regna sul prato impedisce al suono di percorrere la distanza. Senza pensare porta la mano al petto e sblocca il pugnale che porta nella tasca cucita su tutte le sue armature. Prende la mira e con tutta la potenza dei muscoli tesi lancia il pugnale attraverso la battaglia. Questo va a conficcarsi con estrema precisione nel punto esatto tra le due scapole del Sassone, che cade a terra con un grido. In quel momento Lancillotto e Galvano si girano. I loro sorrisi si fanno più larghi e con un ruggito finiscono i pochi nemici che ancora li attorniano.
Un grido giunge alle sue orecchie ed ha appena il tempo di voltarsi per vedere un altro uomo avvicinarsi. Estrae la seconda spada dalla schiena e incrociando le sue due lame ferma la lama nemica a mezz'aria. Comincia a menare fendenti, rendendosi conto che sta arrivando un secondo uomo alle sue spalle: rotea una spada, in modo che la lama sia direzionata contro il secondo uomo e senza guardare, con un rapido movimento del braccio, conficca la lama nel petto del Sassone, mentre con l'altra spada atterra l'uomo che ha di fronte.
Si gira velocemente, in modo da fronteggiare i nuovi nemici che sarebbero sicuramente arrivati, ma in quel momento il suono di un corno riempe la valle: i nemici superstiti calano le armi e cominciano a correre su per la collina. Non sarebbe stato ragionevole seguirli, il corno è il segnale della ritirata: significa che per oggi la battaglia è vinta.
Quando si volta vede attorno a sé corpi e sangue che coprono il verde della valle. Fumo e fiamme si levano dalle capanne del villaggio e i contadini superstiti, le donne e i bambini escono dai loro nascondigli. Questa volta sono riusciti ad evitare una strage: la popolazione del villaggio è quasi tutta salva, fatta eccezione per pochi uomini presi alla sprovvista mentre erano nei campi.
Si china per pulire le sue spade nell'erba che non è macchiata di sangue e le ripone nei foderi che porta sulla schiena. Prende da terra due pugnali che aveva usato per colpire i nemici e li ripone nel loro alloggiamento, all'interno degli stivali. Si toglie i guanti di cuoio e piega le mani, anchilosate per aver tenuto le spade a lungo in mano. Manca solo un pugnale all'appello, il suo preferito.
"Gwen!" lei si volta e vede Galvano avvicinarsi con un pugnale in mano
"Ci hai salvato la vita."
"Come sempre." e allunga la mano per prendere il pugnale, ma il cavaliere lo ritrae. Fa scorrere la lama sulle maniche dell'armatura, per pulirla, poi porge l'arma alla ragazza dalla parte dell'elsa "Sarebbe un peccato se sporcassi la tua armatura" e scoppia in una fragorosa risata. Gwen si lascia coinvolgere da quella risata sincera, sorridendo a sua volta, guardando la sua armatura, ricoperta di fango, sangue e polvere. Prende il pugnale e lo fa scorrere nella tasca appositamente creata a livello del petto, imbottita in modo che non le faccia male durante la battaglia. Il pugnale è uno dei pochi ricordi della sua famiglia che possiede. E' di fattura semplice, ma con una lama perfettamente affilata e un'elsa decorata con fiori di agapanto. Al centro è incisa una "G". Suo padre era un fabbro e l'aveva forgiato solo per lei, la sua piccola bambina guerriera. Quelle parole, a distanza di anni, si sono rivelate una profezia. Gwen chiude per un attimo gli occhi, immaginando di essere ancora nel suo villaggio, bambina, circondata dall'amore della sua famiglia. Riaprendo gli occhi fa scorrere lo sguardo lungo la valle e quello che vede le riporta alla mente un ricordo di quindici anni prima. La stessa crudeltà, le stesse fiamme. Ma allora i cavalieri non erano arrivati in tempo. Lei aveva otto anni e sedeva accanto al muro di legno della sua capanna, le lacrime le rigavano il viso e tremava, circondata dai cadaveri di sua madre, suo padre e suo fratello. Era riuscita a ferire due uomini, uno era crollato a terra e si contorceva, ma l'altro era in piedi davanti a lei, con un sorriso malvagio. Lei continuava a stringere il suo pugnale, ma ormai non sapeva più cosa fare. Aveva chiuso gli occhi dopo aver visto l'uomo alzare la spada, sapendo che l'avrebbe calata su di lei e che di lì a poco avrebbe rivisto i suoi genitori. Ma il colpo non era mai arrivato. Quando aveva riaperto gli occhi aveva visto davanti a sé un uomo, alto e imponente, che reggeva nella mano destra una spada che sembrava brillare di luce propria. L'uomo aveva rinfoderato la spada e si era chinato. Lei si era allontanata, ma l'uomo le aveva sorriso e le aveva porto la mano. Poi aveva parlato, una voce profonda e gentile.
"Non ti farò del male" e lei aveva capito che poteva fidarsi. Aveva stretto quella mano e aveva lasciato che lui la aiutasse ad alzarsi. Ma le gambe non l'avevano retta, così l'uomo l'aveva presa in braccio e l'aveva issata sul suo cavallo. Gwen era scivolata in uno stato di incoscienza, aveva sentito l'uomo dirle che l'avrebbe portata a vivere nel suo castello, poiché nessuno nel villaggio era sopravvissuto. A quelle parole la mente della bambina non aveva potuto far altro che spegnersi, per non dover sopportare altre orribili parole.
Il ricordo svanisce dalla sua mente. Con un sospiro infila nuovamente i guanti e si dirige verso il gruppo di uomini che sta spostando i cadaveri dei caduti, seguita a poca distanza da Galvano.
"Aiutami, Galvano." dice, sollevando un uomo da sotto le spalle. Il cavaliere solleva le caviglie e insieme lo depongono vicino agli altri uomini del villaggio che erano morti per mano dei Sassoni.
Otto caduti, nessun cavaliere. Le ronde che compiono ogni giorno servono a questo: impedire ai Sassoni di devastare tutti i villaggi dei dintorni. Quel giorno sono pochi: tre cavalieri e un manipolo di soldati. Insieme a loro c'è anche il Re, che non si è nascosto in battaglia, ha combattuto con furore. Sono passati quindici anni, ma Gwen riesce ancora a vedere in lui l'imponente uomo che l'ha salvata, tendendole la mano e portandola nel suo castello. Il Re, i cavalieri e i soldati si dispongono di fronte ai morti, portano la mano destra al petto, con il pugno chiuso e chinano la testa: l'ultimo saluto ai valorosi caduti in battaglia. Rialzando la testa Gwen vede donne e bambini piangere. Non sopportando quella vista si dirige verso il suo cavallo, Elwyn, che si è avvicinato dopo aver sentito che il fragore della battaglia è cessato. Accarezza la criniera dell'animale, cercando di rimuovere quanta più polvere possibile, poi si issa su di esso. Tenendo un passo lento si avvicina al Re, imitando Galvano e Lancillotto che sono già al suo fianco.
"Sta peggiorando, Artù." il Re si volta a guardarla.
"Lo so Gwen, ma non possiamo fare altro che respingerli ogni volta che attaccano"
"Sono sempre più vicini a Camelot."
"Lancillotto, non pensi che alla fine sia quella la loro meta?"
"Allora perché non attaccare il castello? Perché distruggere i villaggi e ritirarsi appena arriviamo?"
"Perché sanno di non essere abbastanza forti, sanno che perderebbero. Sperano di decimarci prima di dover affrontare Camelot."
Gwen sorride "Ma il loro piano non sta funzionando, a quanto vedo."
Artù annuisce, senza sorridere "Non sottovalutate i nostri nemici, cavalieri. Saranno barbari, ma il loro comportamento è alquanto strano. Nascondono qualcosa, ne sono certo."
"Certo, sire." rispondono i tre cavalieri all'unisono.
Voltano le spalle al villaggio lanciando i cavalli al galoppo verso sud, preceduti da alcuni soldati.
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Camelot - Il destino dei cavalieri
FantasyNel Medioevo, dopo aver faticosamente raggiunto la libertà nella loro isola, Artù e i suoi cavalieri sono chiamati a proteggere la pace del loro popolo. A Camelot e nelle terre che la circondano le battaglie infuriano e il sangue scorre, mentre un n...