•Mark•

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"Cos'è la felicità per te?"

Erano quattro semplici parole: "cosa", "è", "la" e "felicità", eppure, sembravano così difficili.

Come faceva a spiegare quella sensazione che provava appena finiva una partita, e si rendeva conto che avevano finto? Quella, non era semplice felicità.

Come a faceva a spiegare come lo facesse sentire vedere i sorrisi sui volti dei suoi compagni? Ecco, neanche quella era "felicità".

O anche semplicemente, come faceva a spiegare l'emozione che provava ogni qualvolta che parava un gol?
"Felicità" sembrava così poco adatto...
Sembrava poco.

E non riusciva a trovare una parola che descrivesse sul serio quello che sentiva.

Ci aveva provato, sul serio, ma era così tremendamente complicato-.

Era sempre stato Jude quello bravo nei temi (come un po' in tutto, alla fine).
Mark immaginava che lui quel compito fosse già riuscito a finirlo.

E invece il castano si perdeva ogni tre parole.
E, quando non si perdeva e decideva di rileggere ciò che aveva scritto, gli pareva così poco chiaro che cancellava ogni frase.

Il fatto che si rendesse conto di quanto quel compito lo stesse mandando fuori di testa aumentava solo la voglia di uscire a sfogarsi su un pallone.

Ma come ogni adolescente, lo sport non era l'unica cosa che doveva affrontare.

Amava davvero la sua scuola, ma gli rimaneva comunque difficile.

Era convinto che, se avesse parlato delle sensazioni che provava giocando a calcio ai ragazzi, loro lo avrebbero capito.

Il problema era far capire il professore.

Così, quando sua madre lo vide scendere le scale di corsa e dirigersi verso la porta d'uscita, lo guardò malissimo.

«Mark, hai finito i compiti?»

Il castano si fermò di colpo, proprio davanti all'uscio.
Si girò lentamente, con un sorriso imbarazzato stampato sul volto.

Sua madre, con quel cucchiaio in mano e il grembiulino bianco sulle gambe era decisamente inquietante.

«Uhm... stavo per andare ad allenarmi. Sai, per schiarirmi le idee-»
Le rispose, grattandosi a disagio la testa.

Sua madre era una donna comprensiva, alla fine.

Sbuffò, abbassando il braccio che teneva la posata, per poi liquidare il figlio.

«Promettimi che quando torni a casa finisci i compiti»

Gli disse, e il ragazzo annuì contento, prima di uscire di casa.

Erano quasi le sei di sera, ma era convinto che, al campo, ci avrebbe trovato qualcuno.
Che fosse l'una di notte o le quattro del mattino, c'era sempre qualcuno.

Così, quando arrivò al campo e vide Nathan e Jude giocare, non si stupì affatto.

Li salutò entrambi con uno dei suoi più luminosi sorrisi.

Inazuma Eleven :DDove le storie prendono vita. Scoprilo ora