•Caleb

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Aveva capito di aver fatto una cazzata quando, ormai, era troppo tardi.

Certo, era ancora convinto di aver avuto ragione, ma aveva sicuramente esagerato.

Erano ormai giorni che era diventato terribilmente irritabile: ogni singola parola rivoltagli lo infastidiva in modo evidente.

L'unica volta in vita sua che aveva fatto i compiti, -ciò su cui tempo prima Jude gli aveva detto di riflettere- la persona a cui avrebbe dovuti consegnarli era completamente sparita, si era dimenticata del tutto.

E il fatto che David e Jude fossero così appiccicati l'uno all'altro non faceva che accrescere la cosa.

Sapeva benissimo che a prima vista sarebbe potuto apparire geloso, ma non lo era: era soltanto infastidito da quel loro coccolarsi e starsi vicino, da quelle loro parole dolci e quegli sguardi.
Come era infastidito da loro, era infastidito anche da qualsiasi altra coppietta che si divertiva a mostrare il loro amore.

Le cose un po' si erano sommate e così, quando avevano iniziato a giocare aveva -forse- esagerato un pochino con la forza usata nel tirare il pallone ai compagni.

Se Xavier fosse stato attento, però, avrebbe tranquillamente potuto intercettare ognuno dei suoi passaggi!

Non lo negava: era probabilmente stato il peggiore dei loro allenamenti, sia dal punto di vista delle loro amicizie, sia dal punto di vista sportivo.

Certo, se ne pentiva, ma il suo orgoglio era troppo per permettergli di scusarsi, anche solo con Xavier, Jordan e l'amatissima coppietta del mese.

Quasi rimpiangeva il periodo che Mark aveva passato a gossipare su quanto lui piacesse a Nelly e su come gli mandasse bigliettini anonimi con citazioni ad Oscar Wilde e Confucio.

Sinceramente, Caleb pensava che fosse una cosa un po' imbarazzante, ma a Mark, tutto sommato, piaceva, quindi che poteva farci?

Come d'altronde non poteva fare nulla nella relazione tra David e Jude: lo infastidivano da morire, ma non si sarebbe presentato davanti a loro con qualche subdolo piano soltanto per far andare a rotoli la loro relazione.

Era appena andato via dal campo da calcio, e camminava a volto basso, con i pugni stretti nelle tasche.
Sentiva ancora il naso bruciargli in modo fastidioso e aveva pensato che forse gli stesse ancora sanguinando.

Seppur si sentisse un poco in colpa, ancora fremeva di rabbia: voleva soltanto andare a casa sua e stare da solo, in pace.

Certo non si aspettava che casa sua sarebbe stato il posto meno pacifico in cui poteva scegliere di recarsi.

Appena aveva varcato la porta, aveva immediatamente notato la televisione del salotto accesa.
Il volume era bassissimo, ma in mezzo al buio che c'era era impossibile non vedere lo schermo illuminato.

Lui non ricordava di averla accesa, perciò pensò immediatamente che ci fosse qualcosa che non andasse.
Sicuro non poteva essere stato lui a dimenticarsi di spegnerla.

Il castano spinse l'interruttore della luce, illuminando la stanza.

«Oh Caleb, sei a casa...» aveva detto una voce che in quel momento, avrebbe preferito non sentire.

«Sì mamma, sono a casa.» aveva risposto lui, con tono acido, secco, di chi vuole finire una conversazione nel minor tempo possibile.

La donna era seduta sul divano davanti al televisore, e ancora non aveva visto in faccia il figlio.

«Mi ha chiamata il preside. Dice che non hai consegnato l'ennesimo compito» gli fece, con tono apatico.
Glielo stava facendo notare, ma non le importava sul serio.

Inazuma Eleven :DDove le storie prendono vita. Scoprilo ora