Capitolo 1

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«Carlos, toccava a te oggi, non fare il finto tonto. Fai sparire quell'espressione, tanto sai che ci vado comunque, ma ti tocca lavare i piatti stasera.»
«Aspetta, vai tra qualche minuto, prima facciamo una partita.»
«Agli ordini!» Scherzo, facendo il saluto da soldato.
Distesi sul divano, mangiamo patatine davanti la TV. Carlos è rientrato da poco con un'aria stanchissima, annunciando, molto ironicamente, che toccava a me fare la spesa perché i suoi piedi non ne potevano più.
Il cellulare. Ha squillato ed è rimasto per parecchi minuti impegnato in una conversazione con qualche suo amico, non ho seguito nemmeno un passaggio, immerso in uno dei tanti documentari che guardo ogni giorno. Questo era particolarmente interessante, trattava una specie di guida in casi malsani che possono capitarti nella vita.
Tipo se rimani nel deserto e non sai come sopravvivere, oppure su di una cima rocciosa con la neve fin sopra la testa. È interessante. Davvero. Anche se quelle situazioni sono molto improbabili per uno come me, di fatto restano comunque una fonte di sapere.
Carlos mi sfila la busta di patatine di mano. Ha terminato la chiamata.
«La facciamo questa partita?»
«Se ci tieni così tanto... ma la X-box la avvii tu, oramai ho riscaldato il posto» di riflesso cerco di rannicchiarmi ancor di più sul divano.
Mi guarda di sbieco alzando un sopracciglio.
«Riscaldato? Tu e queste strane manie. Buon Dio, quanto è difficile il mestiere del fratello maggiore» sospira.
Gli tiro un calcio sulla coscia mentre si alza. Ridiamo. Facciamo quella stupida partita di calcio che inevitabilmente perdo. Stronzo. Si sente un campione con me.
«Oggi ha chiamato Papà, ha detto che fanno più tardi questa sera. Cenetta romantica.»
Carlos si gira a guardarmi.
«Ti ha detto così?»
«Sei scemo? No. Ma si capiva benissimo» Carlos sorride con sguardo malizioso.
«Sonny, questa sera i nostri genitori si daranno alla pazza gioia... sesso sfrenato per i due piccioncini!»
Gli tiro il joystick addosso.
«Sei disgustoso! Ma come ti viene di pensare, per di più dire, certe cose?» Mi metto a sedere e infilo le scarpe, rabbrividendo per l'immagine che ha seguito le parole di Carlos.
«Dove vai?»
Lo guardo lanciando saette dagli occhi.
«Hai bevuto?»
«No.»
«Hai fumato?»
«No.»
«Sei caduto sbattendo la testa?»
«No.»
«Allora sei un cretino al naturale. Vado a fare la spesa, stupido» ride tirandomi in un abbraccio. Mio fratello è sempre stato affettuoso, più grande di me eppure così amorevole tanto che riesce a mettermi in imbarazzo, e ci gode parecchio nel farlo.
Sono così piccolo rispetto a lui. A cosa accidenti pensava mia madre quando mi ha concepito? Forse a qualcosa di troppo dolce, perché il risultato è parecchio differente rispetto al primo. Mi stritola ancora un po', passa una mano sui ricci stringendoli affettuosamente, quasi come fossero un anti-stress, e tutti quei trucioli indisciplinati ballonzolano sulla mia testa.
«Fai presto. Ho fame.»
Lo guardo e scoppiamo a ridere, quando chiudo la porta alle mie spalle borbottando sento ancora l'eco della sua risata.
Penso che le cose accadono per un motivo. Penso che tutto è già scritto da qualche parte, forse nel cielo le stelle formano in una lingua a noi sconosciuta la storia della vita di ognuno di noi, ma... a saperle leggere le stelle! Mi sarei risparmiato tanto dolore. Tante attese che mi aspettano.
Forse quella sera non sarei nemmeno rientrato a casa.

Al negozio sono uno degli ultimi clienti e quando pago il conto per poi uscire, il cassiere del supermarket cala la saracinesca sbuffando. Il rumore di ferraglia è risuonato per l'intero quartiere. Mi ha dato l'impressione che fosse una specie di lamentela tra le righe.
L'estate invade non solo i giorni ma anche le notti in questo periodo, questa sera perfino respirare diventa difficile. Cammino e sento la maglietta attaccarsi alla schiena sudata.
Dondolo la busta della spesa e canticchio avvicinandomi alla porta di casa. Infilo le chiavi nella serrature ed entro, così avvolto dai pensieri che non ho fatto caso alla voce nuova in casa.
Entrato nel salone il tempo ha finito di scalare le ore.
I minuti si sono zittiti.
Da quell'istante inizierò a raccontare la mia vita e quello che è accaduto. Inizierò a spiegare la mia storia, una in mezzo a miliardi di altre vite, una come tante o forse poche.
La mia.
Carlos è seduto sul divano e chiacchiera animatamente con un ragazzo. Santo cielo, non so se il termine "ragazzo" vada bene, non sembra avere la stessa età di mio fratello (o no?), la sua incombente personalità occupa quasi ogni angolo della stanza.
Messo piede nella stanza quella dannata busta ha fatto il suo solito rumore, così entrambi si voltano verso di me; è stato in quel momento che gli occhi grigi del ragazzo mi hanno inghiottito. Letteralmente. Completamente e indissolubilmente assorbito. Sono rimasto a guardare quello sguardo d'acciaio per chissà quanto come uno stupido; ha un aspetto imponente, forti braccia, una di quelle classiche persone che riesce a metterti in soggezione, perché si avverte la sottile e affilata minaccia. Sembrava un soldato vecchio stile, catapultatosi qui direttamente dalla seconda guerra mondiale; mi fissava e in quello specchio riesco solo a vedere un tunnel senza uscita. E poi il suo viso dorato, quasi fosse ancorato con la sua nave in città, le mani grandi che premevano sulle sue braccia incrociate al petto. Il taglio rasato era la ciliegina sulla torta, conferendogli l'aria da perfetto marines.
Solo che lui vestiva tutto di nero, mentre in marina si predilige il bianco.
«Sonny-boy, dove sei andato a fare la spesa, in Africa?» Mi giro intontito a guardare Carlos, quasi mi ero dimenticato di lui. Ah, giusto. Credo che il nomignolo "Sonny-boy" mi sia stato affibbiato fin dalla nascita. Le grandiose uscite di Carlos.
«Stavano chiudendo.»
Mi guarda in modo strano, cercando di dare un senso alla mia risposta. Cosa cavolo dovevo dire? Sono teso come una corda di violino, sono quegli occhi grigi che continuano a fissarmi a rendermi mentalmente confuso.
«Vieni, ti stavamo aspettando. Ti ricordi di Jared?» Mi dice mentre mi avvicino cercando di mantenere un atteggiamento sciolto.
Poso la busta sul tavolino e vado a sedermi sulla poltrona; guardo ancora quel ragazzo soffermandomi sul viso, cogliendo l'attimo come scusa per bearmi un po' dei suoi tratti, su quella bellezza crudele. Ma non riesco proprio a ricordarmi di lui ed è strano; ci sono facce che non si dimenticano, sono bollenti, incandescenti, tanto da marchiarsi a fuoco nella memoria.
«Ehm... No» dico con aria di scuse. Carlos scoppia a ridere dando una pacca sulla spalla dell'amico che a sua volta gli sorride dolcemente. Era strano scoprire che su quella bocca potesse comparire un sorriso simile, era uno di quelli che nascono dal bene, e penso che lui ne voglia tanto a mio fratello. Forse gli vuole bene tanto quanto gliene voglio io.
«Forse è normale fratellino. Jared è il mio migliore amico. È partito quando tu eri alto nemmeno un metro... Quanti anni sono passati, J.? Tanti. È partito con la famiglia ma siamo rimasti in contatto. Adesso e ritornato.»
«Alla fine si torna sempre indietro. Per una cosa o per un'altra» dice il ragazzo con voce profonda e rauca, così densa e stretta da far suonare il suo accento quasi straniero. Non c'era nessuna infiltrazione nasale, la sua voce era pura, di petto. Nasceva dalla gola e filtrava direttamente da quei denti bianchi e seri.
«Già, amico, proprio così. Tuo padre come sta? Il fratello maggiore che fine ha fatto?»
Era quella freddezza a catturare la mia attenzione, riuscivo a seguirne il respiro, guardavo le sue dita racchiuse in un pugno stringersi di tanto in tanto. Erano poche le cose che mostrava di sé, piccoli strascichi quasi invisibili lasciati lì sempre senza essere notati.
Se fossi stato sordo, non avrei saputo ricavare nessuna intuizione dall'espressione fisica di quel ragazzo, nulla che potesse portarmi a una conclusione concreta sulle sue emozioni.
«Carlos, mio padre era un ubriacone. Cinque anni fa io e Edward l'abbiamo portato in uno di quei centri riabilitazione perché la salute era peggiorata drasticamente. Prevedibile. Il medico lo avvertì che una sola bottiglia sarebbe stata un biglietto di sola andata all'altro mondo. Il giorno dopo è partito per sempre. Edward se n'è andato subito dopo i funerali, ogni tanto ci sentiamo.»
Sembrava che tutto quello non lo toccasse minimamente, la sua voce era rimasta disciplinata per tutto il tempo e i muscoli del corpo ancor peggio, manco ci fosse qualcuno alle sue spalle con una frusta, pronto a colpirlo a ogni minimo cenno di umanità. Invece io e Carlos eravamo pietrificati.
«Cazzo. Mi dispiace! Non mi hai detto niente.»
«Perché rovinare le nostre telefonate con guai prevedibili? Poi sai cosa penso? Mi sento libero adesso. Era come portare una catena quando eravamo tutti e tre. Estranei che vivevano sotto lo stesso tetto. Sai com'era la situazione... e sappiamo entrambi che sarebbe un'ipocrisia affermare il contrario.»
Mio fratello lo osserva per alcuni secondi con sguardo dispiaciuto ma complice. Lui capiva.
«Certo che so. Mi dispiace comunque... forse la cosa che mi affligge più di tutto è che le cose non siano andate in modo diverso. Ricordo che è sempre stato così alla fine. Non siete mai stati una famiglia.»
«Già.» Jared mi osserva, Carlos segue il suo esempio e forse è pentito per aver detto quelle cose in mia presenza. In realtà loro ora restano muti e pentiti, ma sono io a sentirmi fuori luogo e imbarazzato per aver assistito a tanta intimità che non avevo il diritto di toccare.
Chiacchierarono per un po', io li ascolto. Jared è ritornato nella casa in fondo alla nostra via, quella in cui abitava all'epoca. Sembra che sia di sua proprietà. Non studia più ma lavora saltuariamente, attualmente è in cerca di un nuovo impiego ma se la prende comoda perché ha qualcosa da parte. Parole sue.
Parlava di tutti, conosceva realmente ogni persona del quartiere, ero io l'unico a non ricordarsi di lui. Continuavo a guardarlo quasi fosse una calamita, sentivo la pelle pizzicare, quell'irrequietezza che non era normale. Quella sera niente lo fu.
La sua voce così bella, così raschiante che sembrava spezzarsi ogni volta, così purpurea che ogni suono che produceva vibrava nel mio petto lasciandomi senza fiato. Avevo, con il tempo, imparato a conoscermi, eppure non riuscivo a trovare normali quelle sensazioni. Questa era più forte delle altre volte, mi scuoteva bruscamente; dalla poltrona su cui ero seduto riuscivo a respirare lo strano profumo di colonia che portava il ragazzo.
Lui di tanto in tanto, mentre chiacchierava con Carlos, posava i suoi occhi su di me osservandomi con quelle due macchie ultraterrene che aveva. Sembrava quasi volesse metter a fuoco la mia anima. Cercava di capire cosa c'era di strano in me. Quello lì riusciva a sentire che qualcosa non andava.
Non ricambiavo mai il suo sguardo, me ne allontanavo sempre, avrebbe procurato troppe emozioni visibili affrontarlo e io proprio non potevo permetterlo. Non con una amico di Carlos. Eppure, nonostante la mai fuga visiva, sapevo bene che quel ragazzo mi stava analizzando.
«Ti fermi qui stasera? Dai, ordino una pizza» Carlos è raggiante. Gli vuole bene. Lui ha sempre avuto tanti amici, ma con Jared sembra conservare un rapporto più solido.
«Certo.»
«Okay. Dammi un secondo, chiamo per la consegna» si alza dal divano con i suoi pantaloni stropicciati e la maglia troppo larga. Lavaggio andato male. Due uomini in una casa sono come dei bimbi alle prese con un auto.
Resto io e l'amico di mio fratello. Jared.
Quell'atmosfera mi soffocava, la consapevolezza di sapere che quel ragazzo di fronte a me ha dei dubbi mi rende nervoso. Ho paura anche solo lasciare il beneficio del dubbio in una persona, devo fare qualcosa, rompere il ghiaccio perché mio fratello deve restare lontanissimo da quello che porto dentro di me. Qualcosa che non mi lascerà mai. Come essere destrorso e imporsi di usare la sinistra. Non puoi. Non si scelgono certe cose.
Così quando non puoi scegliere qualcosa ci devi semplicemente convivere e soffocarla, ed è un continuo conflitto, un continuo amare e odiare quella cosa.
Ma quella cosa sono sempre io, e soffocare ogni giorno una parte di me per il bene delle persone che mi vivono intorno, mi uccide.
Chiudo per un attimo gli occhi, prendo un respiro e decido di spaccare questo maledetto ghiaccio.
«Così hai deciso di restare» la mia voce è vergognosamente flebile in confronto alla sua, a tratti nasale. Timorosa.
Alza i suoi occhi nei miei. Dio mio, sembra... non so... forse qualcosa che sfora quello che per me si avvicina di più alla perfezione.
«Così sembra.»
«Si sta bene qui.»
«Anche troppo.»
«Come mai hai deciso di ritornare?» Vedo, prima di posare lo sguardo sulla busta vuota di patatine ai piedi del divano, il suo sopracciglio inclinarsi all'insù.
«La casa in cui cresci è un po' come il primo amore, no? Ci sono alcuni luoghi dove non andiamo mai realmente via, restiamo lì per sempre. Una parte di noi, almeno.» Avevo seguito la chiacchierata tra lui e Carlos dove era trapelato che non aveva avuto mai un bel rapporto con la sua famiglia. Allora perché ritornare in un luogo dove non ci sono bei ricordi? Forse... chissà, magari per crearne qualcuno? E' un ragionamento strano, lo è ancor di più il fatto che non ho una buona domanda da fargli perché le sue risposte mi hanno portato in un vicolo cieco. E sembrava anche che ogni parola potesse apparire estremamente intima. Avrei potuto offenderlo, avrei potuto mettere in imbarazzo lui e anche me stesso.
Ecco perché mi rannicchio nel silenzio, lui non fa nessuna domanda, resta a fissare la finestra e chissà cosa vede in quelle strade. Non saprei dirlo, io sono rapito dai suoi lineamenti agrodolci, pensando quale vento avesse trascinato questo guerriero disciplinato fin qui.
Carlos ritorna dopo poco e tutta quella strana atmosfera s'infrange. Mi ritiro in camera a studiare e dopo circa un'ora la voce di mio fratello che annuncia la cena mi riporta ancora una volta al piano di sotto.
Mangiamo tutti e tre la pizza, la serata si svolge in modo tranquillo mentre i due amici ritrovati parlano di così tante cose che inizio a pensare a tutt'altro. Mi sento un po' escluso dal mondo di Carlos, è sempre stato così forse perché gli anni di differenza non sono pochi. Non è una questione di disagio o d'interessi differenti, la cosa che ci separa quando si trova con qualche suo conoscente è proprio la situazione in sé per sé a fare la differenza: le amicizie. Non conosco bene nessuno dei suoi amici e non posso parlare di niente con loro, così quando qualcuno viene a trovarlo mi ritrovo ad assistere a discussioni a me sconosciute e di fatti altrettanto ignoti. Non me la prendo, questa sera forse sono più attento perché lui, Jared, mi attira; è una superficie d'acqua nera dove avrei voluto immergere le mani ed esplorarne tutti gli angoli. Poi ritorna quel senso di vergogna e rimorso. Riaffiora il vecchio Sonny.
Dopo cena lavo i piatti, Carlos e J. (come lo chiama lui) stanno ancora parlando in salone. Inizio a canticchiare una canzone che trasmettevano oggi in radio, la canto mentre ascolto il rumore dell'acqua, quel flusso trasparente che mi avvolge le dita. Lavare le stoviglie nei periodi di caldo cocente è sempre piacevole.
«Serve una mano?» Quella voce, così dura, così imponente. Rabbrividisco trattenendo il respiro, mi giro con il viso verso la porta; eccolo lì con tutti i suoi 190 centimetri di statura e un fisico da atleta, con la pelle baciata dal sole e quegli occhi argentei come l'acciaio di Valchiria.
«No... grazie. Ho quasi finito. Carlos?»
«Ha finito le sigarette» dice sempre con la solita fermezza. Perché diavolo è venuto qui? Lo guardo per un breve attimo accennando un mezzo sorriso. Lavo l'ultima posata, chiudo la fontana e quando mi giro per recuperare lo strofinaccio dal tavolo, una mano mi blocca. Afferra delicatamente il mio polso tra quelle grandi dita.
«Faccio... » inizia a dire, lo guardo con gli occhi sbarrati ritirando di scatto la mano. Brucia, la pelle brucia, le sue impronte sono incandescenti. Mi rendo conto della scenata che ho fatto e quel bruciore scala tutto il petto arrivando fin su al viso.
«Non mordo, fratellino di Carlos» perché mi comporto così? Perché il mio corpo reagisce istintivamente? Sono stanco, imbarazzato e frustrato. Non ricorda nemmeno il mio nome. Sono solo un adolescente immaturo per lui.
Prendo lo straccio e glielo porgo.
«Scusami. Stasera non mi sento tanto bene... non so cosa mi sia preso. Colpa del caldo» gli sorrido con sincerità. Afferra lo strofinaccio senza nemmeno sfiorarmi, inizia ad asciugare tutto mentre io resto lì a fissare la porta dove poco dopo entra, fortunatamente, Carlos, liberandomi da quel nodo che rischia d'impiccarmi.
Saluto e corro in camera. Forse penso di dover rifare le presentazioni prima di dormire. Forse ho tralasciato qualcosa.
Sono Sonny. Sonny Jones, diciassette anni, un metro e sessantatré, single.
Sono omosessuale.
All'età di sei anni ho guardato Biancaneve e mi sono innamorato del principe. Non ci si accorge delle diversità da bambini. Inizi a capire quando i tuoi compagni alle superiori si fanno seghe guardando le playmate mentre tu te le fai pensando all'erezione del ragazzo carino che guardava agognante le foto delle playmate.
Già, sono in quei momenti che inizi a sentirti diverso. Il fatto è che mi sento un uomo, parlo come un uomo, mi muovo come un uomo. Non sono uno di quelli che sogna gonnelle o quant'altro. Gesù, no! Sono un ragazzo a cui piacciono i ragazzi. Punto.
Sembra semplice, forse in un certo senso lo è, ma in altri miliardi di sensi no.
Come dicevano in quel film? Ah già, domani è un altro giorno.
Speriamo migliore.
Forse tutti dovrebbero sapere che le persone dentro sono fragili. Siamo la cosa più facile da distruggere e più difficile da riparare al mondo. Siamo tanti bicchieri di cristallo. Il problema in questa vita è che ci accorgiamo della nostra delicatezza solo nell'istante in cui cadiamo e vediamo i nostri pezzi spaccarsi e rotolare ovunque intorno a noi. Sono sempre gli altri a farci cadere, ma siamo noi a sentirci colpevoli, accusiamo noi stessi per essere stati così stupidi.
Da quella sera Jared venne ogni giorno a casa, ogni ora, in qualsiasi momento. Ovviamente mi trovavo sempre in difficoltà a parlargli e a staglia vicino dopo quella prima sera. Scappavo per la paura di ritrovarmi ancora a fissare adorante tutto quel... insomma, quel ben di Dio! Mi spaventava soprattutto il fatto che lui fosse una persona alquanto perspicace, i suoi occhi vedevano ben oltre le apparenze, e i miei sguardi potevano essere svelati facilmente. Quindi, prima che ci parlassimo, passarono tanti giorni, tanti da abituarmi alla sua presenza in casa.
Un pomeriggio assolato quei due giocavano alla X-box mentre io leggevo un libro e un venticello fresco filtrava dalla finestra aperta carezzandomi.
«Ehi J., come mai stamattina eri incazzato? Cristo, sembravi un serpente a sonagli al telefono.»
Mentre parla Carlos ride senza distogliere l'attenzione dallo schermo.
«Sono rincasato all'alba. Ho passato tutta la maledetta notte a giocare a poker con alcuni amici. Barcollavo quando ho messo piede in casa, forse ho alzato troppo il gomito. Così, mentre dormivo, questa mattina alle otto, nel pieno di un'emicrania da sbronza, bussano il campanello. Lo ignoro e, cristo santo, tu credi che si siano arresi? Col cazzo! Hanno continuato a bussare. Mi sono alzato come una bestia, nudo da capo a piedi, solo con gli slip. Ho aperto la porta pronto a sbranare chiunque... c'erano due vecchiette.» Carlos ride come uno stupido, immaginando la scena che, effettivamente, fa ridere anche me.
«E cosa volevano? Gesù!» Dice Carlos tra i sogghigni.
«Oh no amico! Loro non volevano Gesù, erano venute a portarmi Geova. Testimoni di Geova.»
Adesso era comparso un sorriso anche sulle labbra di Jared che, per un brevissimo attimo, si è girato a guardare anche me.
«Le hai cacciate?»
«No. Gli ho chiesto un'aspirina. Dopo che me l'hanno data sono stato onesto dicendogli che, senza offesa a nessuno, non credo proprio in un bel niente. Le ho perfino messe al corrente della serataccia e che necessitavo di un bel sonnellino. Così le due vecchiette mi hanno lasciato uno stupido volantino, dandomi delle pacche sulle braccia nude e mi hanno detto "riposati giovanotto, e che Geova ti salvi da questo ateismo ingiusto.
Carlos ha continuato a ridere per ben dieci minuti, e solo dopo essersi calmato è riuscito a metter giù due parole.
«Testimoni di Geova. Mah! Loro e tutte quelle gran cazzate sulle festività, per non parlare delle donazioni di sangue. Cristo, non donano il sangue a nessuno J. Preferiscono la morte perfino di un loro figlio piuttosto. Ma che cazzo... è solo emoglobina, cosa può mai succedere se ne doni un po' a qualcuno? Cavolo, di certo non è un dito. Un arto o roba simile, solo una cazzutissima cellula morta.»
«Ti sbagli» esclamo tutto pacato.
Entrambi si girano a guardarmi, Jared inserisce la pausa interrompendo la partita di Basket.
«Durante un esperimento militare è stato constatato che una cellula ha memoria. Dopo una trasfusione due persone sono state messe in stanze separate; al soggetto che aveva donato il sangue venivano mostrate tante scene diverse e suoni improvvisi per procurare forti emozioni. Le cellule dall'altra parte della stanza, nella persona a cui avevano fatto le trasfusioni, avevano scariche elettriche ogni volta che il donatore provava qualche emozione. Hanno continuato l'esperimento per svariati chilometri. Le cellule hanno sempre risposto alle emozioni del donatore. Quindi penso che non è vero che le cellule siano da sottovalutare... sono proprio come gli arti, solo che con quelli non hai niente più da spartire una volta che li hai donati, mentre, se regali il tuo sangue a qualcuno per un tempo inestimabile, quell'estraneo proverà le tue stesse emozioni in una piccola e minuscola parte» dico tutto tranquillo senza alterare, o piuttosto, tremare la voce.
Magari dovevo stare zitto. Sono uscite così quelle parole, hanno preso una bella rincorsa e poi via! Era una di quelle cose che vieni a conoscenza e poi le metti lì, in quel sacco culturale che non verrà mai aperto.
Mi guardano in modo strano, Carlos ha una strana espressione mentre quella di Jared è indecifrabile.
«Diobono Sonny, ma dove prendi tutte queste informazioni? Cosa sei, un piccolo Einstein?»
Alzo le spalle rimettendomi a leggere. Ho sempre avuto questo modo particolare di rispondere, capita spesso che fuori escano alcune spiegazioni strambe... capita anche che per fare conversazione usufruisca delle cose più strane e imbarazzanti che conosco. Ma non lo faccio di proposito, è piuttosto un istinto naturale che ho.
Distrattamente, forse soprappensiero, ho alzato lo sguardo dal mio libro ritrovandomi catturato da due occhi freddi. Mi osservava con un sorrisetto d'intesa, amichevole, ma bastava quel piccolo gesto a farmi andare in fumo. Il calore mi aveva inondato il viso così, subito, ho affondato il naso nel libro facendo finta di leggere, mentre le guance pizzicavano e ardevano.
Poco dopo ho preteso lucidità dalla mia mente che, indolenzita dopo quello sguardo, è finita in un circolo vizioso di capricci facendomi apparire tutte quelle righe piene di parole insignificanti. Tornai nel vertice della lettura, perché l'interrogazione che devo avere in settimana mi  prosciugherà, e farmi trovare impreparato rovinerebbe le mie vacanze spedendomi direttamente nel corso degli sfigati e asini di recupero. Non accorgo la X-box è stata spenta, sento improvvisamente solo più silenzio e un lieve pizzicore alla nuca.
Alzo ancora lo sguardo e quel viso da pirata e lì, a pochi centimetri da me, a rubarmi ancora qualche battito. Jared è seduto sulla sedia al mio fianco, mi osservava quasi come stesse pensando ad altro; chiudo il libro istantaneamente emettendo un leggero Pup!
«Carlos dov'è andato?» Forse dovrei smetterla di chiedere dove sia mio fratello ogni volta che restiamo da soli.
«Bagno.»
Apro la bocca emettendo un lieve «Ah» annuendo.
«Non hai una faccia da Nerd» dichiara improvvisamente.
Ci guardiamo, io e Jared, osserviamo studiandoci a vicenda. Ormai sono abituato a lui, ma sono anche curioso, così miracolosamente reprimo l'imbarazzo inghiottendo tutto il resto, compreso quella forte attrazione che mi si è risvegliata da quando questo tipo dall'aria dura è arrivato in casa mia.
«Infatti non lo sono.»
«No?» Mi guarda con aria ironica.
«No. A scuola ho appena la sufficienza. Guardo molti documentari, tutto qui.» Si porta quelle sue grandi mani dietro la nuca e tutti i muscoli si flettono, la maglia sembra quasi che voglia cedere e lacerarsi sotto tutta quella pressione. Sonny, non lo fissare, non lasciarti attrarre da quelle meraviglie. Anche qualcosa dentro di me flette, inizia a gonfiarsi dentro la mia gola, e poi scende, scende, scende, fino a pulsare nei miei pantaloni. Non riesco a smettere di fissare i suoi muscoli, le vene che intravedo sotto la pelle calda.
«Guardi documentari... riguardo cosa?»
«Riguardo tutto. Non riesco più a capire se lo faccio per puro piacere o per una questione di routine.»
«Anche la scuola è una routine. Visto che hai appena la sufficienza suppongo possa considerarsi piacere personale.»
Mangio quelle parole, mentre i nostri occhi si scambiano sguardi, e le digerisco, così dopo aver afferrato il senso sorrido. Ha ragione. Ed è incredibile come sia riuscito a capire con poche parole la verità.
Amo semplicemente i documentari.
«Già» dico sorridendo con gioia infantile, dondolandomi sulla sedia, senza frenarmi.
«Sai... non riesco a capire, ogni volta che ti guardo mi sembra di osservare qualcosa... i tuoi occhi non sono da liceale. Sono strani.»
Mio dio. Cos'erano quelle parole? Perché mi dice quelle cose? Proprio lui... se solo sapesse quello che provo per lui. Non verrebbe più nemmeno a casa. Cancellerebbe il nostro numero civico dalla sua mente. "Ecco" avrebbe pensato "quella porta è da dimenticare, dietro ci sono occhi anormali".
Perché per quelli come me le parole come "anormali" sono perfette.
Per quelli come me non esiste una chance.
Per quelli come me è impossibile una storia d'amore con il "per sempre".
Mentre l'imbarazzo inizia a prosciugare tutta l'aria nella stanza, io vado nel panico, il suo profumo di colonia arriva nei mie polmoni. Ascolto l'incessante e in aumento battito del mio cuore, conto i suoi respiri, la mia mente inizia a fare capricci. Le pupille non riescono a restare ferme, continuo a fare una maratona su e giù sul suo corpo.
«Bella maglia» tutte lì. Quelle strambe parole uscite per quel maledetto imbarazzo o, per meglio dire, per giustificare i miei occhi impazziti. Alla fine ho esalato anche un sospiro, quasi come se avessi ripreso ossigeno, storcendo le labbra in una qualche strana smorfia che fa sorridere Jared.
Santi numi... devo sembrare uno stano, ma di quelli strani forti però. Jared spalanca leggermente gli occhi stupito, mi guarda alcuni minuti poi prende un pezzo di maglia sollevandolo per osservarlo meglio, con un espressione davvero bislacca.
Sì, posso capire. Avrà pensato: forse avrò indossato una maglietta per un'altra, visto che le mie sono sempre standard, semplici e di colori scuri.
«E' molto meglio la tua» la sua espressione è così consapevole e convinta di quell'affermazione, mentre studia ancora il suo abbigliamento semplice, che mi scappa un sorriso per la tenerezza che mi suscita Jared.
Alla fine si tira su, mi passa al fianco, diretto forse sul divano, ma si ferma proprio vicino a me infilandomi una mano nell'ammasso di ricci morbidi, creando nel mio ventre una specie di rilasciamento della sacca organica.
Mi accarezza la testa, in modo amichevole forse, scuotendomi tutte quelle punte indisciplinate.
«Sei interessante, fratellino di Carlos. Mi piacciono nel nostre conversazioni.» Quali Jared, quelle con gli occhi o con la bocca?
Resto lì, mentre lui va vicino alla finestra a fumare, con i miei respiri accelerati e il cuore che batte.
Avevo solo immaginato come sarebbe stato avere quelle mani addosso, ma ora che sapevo com'era, il mio corpo reagiva in modo istintivo, eccitato e indolenzito al solo tocco della sua mano.
I giorni passavano, i mesi iniziavano a finire, tutto camminava in modo lento mentre noi tre cominciavamo a diventare quel solito terzetto abitudinario.
Oramai avevo anche una certa confidenza con Jared... confidenza poi, che parolone! Più che altro facilità nel conversare con lui, perché restava sempre la questione dell'attrazione che continuamente mi sbatteva sul viso le ondate d'imbarazzo.
Dannazione, perché mi sono fissato proprio con il migliore amico di Carlos? Per questo continuo a spingere quel sentimento sotto ogni strato che ho dentro.
Un pomeriggio Carlos esce a sbrigare una delle sue tante commissioni, sinceramente pensavo che anche Jared andasse con lui... ma mi sbagliavo.
In pantaloncini e a dorso nudo, giro per casa a causa dell'afa estiva che incombe in ogni angolo della città, e poi ecco che bussano alla porta, vado ad aprire. È Jared.
Penso che in quel momento i miei occhi si siano sbarrati, il respiro arrestato mentre la mente si è presa un lasso di tempo per digerire l'immagine che avevo di fronte. Il suo viso pieno di escoriazioni, il labbro rotto e gonfio, perfino sulle braccia aveva lividi e graffi.
«Carlos?» Dice soffiando dal naso come un toro, con un tono così aspro da farmi sussultare.
«E' uscito... mio Dio, cose ti successo?»
«Niente» la sua voce è sempre più tagliente, inoltre mi lancia delle occhiate davvero brutte, manco fossi io il colpevole.
«Entra, non puoi andartene in giro così» era l'unica cosa che potevo fare. Di certo fare lo stronzo non gli faceva onore, ma per quanto me ne fregasse, il suo umore poteva anche buttarlo in un cassonetto, io l'avrei ignorato. Era davvero in uno stato post rissa recente per lasciarlo andare altrove. Carlos avrebbe fatto lo stesso.
Mi guarda in cagnesco, sorpreso da questa sua reazione ammutolisco, chiudo la porta e vado con lui in cucina; si accomoda su una delle sedie; sul suo viso, quando si mette a sedere, si forma una smorfia che mi fa capire che anche in altri punti è dolorante.
Prendo una bevanda energetica ghiacciata dal frigo e ne verso un bicchiere a entrambi. Porto tutto a tavola e inizio a osservarlo.La sua mano batte piccoli colpi d'attesa sul tavolo e nel frattempo lo sguardo vaga fuori dalla finestra.
Non posso fare a meno di osservarlo, quelle escoriazioni, lo zigomo gonfio e spaccato, il labbro superiore illividito e residui di sangue rappreso. I suoi occhi lanciano fiamme, ha ricevuto parecchi colpi e le nocche rosse e spaccate delle sue mani dimostrano che ne ha dati anche parecchi. Quel rigido, disciplinato e freddo ragazzo riesce a mettermi paura. Avrei dovuto averne per me, e invece ne ho soltanto per lui; tiene quello sguardo di chi non si fermerebbe davanti a niente e nessuno, ha negli occhi una muta protesta contro il mondo e le sue ingiustizie. Lo sguardo a cui non frega un cazzo più di niente.
Si gira a squadrarmi, imbestialito e a muso duro. «Che cazzo hai da guardare?»
Mi sputa quelle parole addosso facendomi sussultare, poi una macchiolina sulla sua t-shirt cattura la mia attenzione: sanguina, quella macchia si dilata e con lei la mia ansia.
«Sanguini» è la prima volta che lo vedevo tanto arrabbiato da lasciare per un attimo le redini del suo autocontrollo sprofondando nella più totale maleducazione, eppure in qualche modo avvero che la sua rabbia non è rivolta a me. Gli indico la zona con un cenno della mano, lui abbassa lo sguardo lasciandosi sfuggire una serie di sussurrate imprecazioni.
«Togliti la maglia, vado a prendere la cassetta del pronto soccorso» non aspetto una sua risposta, mi precipito in bagno recuperando la teca e ritornando come un fulmine in cucina.
Jared si è sfilato la maglia lasciandola tutta aggrovigliata sul tavolo; il suo fisico è fantastico, anche la pelle che copre ogni giorno con la maglia è dorata e muscolosa. Il petto e ricoperto di lividi, sulla spalla uno squarcio largo due centimetri circa gli deturpa uno strato di pelle. Il sangue essiccato si è riaperto a causa del movimento, facendone sgorgare dell'altro fresco. Apro l'antisettico, afferro la sua maglia posandola sotto lo squarcio come spugna e inizio a spruzzare il disinfettante sopra la ferita; quando il liquido tocca la lesione il muscolo del suo braccio si tende e trasale per il dolore, lentamente si rilassa diminuendo evidentemente il bruciore.
Ero così attento a disinfettare la ferita che non mi sono accorto del suo sguardo vigile, così quando ci finisco dentro, inizio a sudare. Così vicini. Così nudi. Rischio di avere un collasso. Taglio due pezzi di garza a quadrato, li unisco posandoli delicatamente sulla ferita; con il nastro bianco fermo la medicazione.
«Merito dei documentari» mi sussurra con voce più rilassata e una nota di ilarità.
Gli sorrido, senza però dirgli che quello è solo merito di un corso che ho fatto nel primo anno di liceo: metto tutto nella scatola ma non la poso, nel caso volesse darsi una ripulita anche alle altre ferite. Vado in camera di Carlos, recupero una delle sue maglie, torno in cucina e gliela porgo; mi siedo proprio di fronte a lui.
Mentre s'infila la maglia un pensiero stupido e disgustoso mi passa per la mente. Il dispiacere per avergliela portata, non avrei dovuto, adesso non posso più ammirare il suo corpo. Ero così teso che solo dopo aver fatto un respiro di sollievo abbasso le spalle rilassandomi un po'.
Questo ragazzo riesce ad avere sempre lo stesso effetto su di me.
«Come ti sei procurato quella ferita?» Ero curioso, è vero, ma quella lesione non era bella, tutt'altro. Sembrava fatta con ferocia, e chissà con cosa.
«Procurato?» Sorride amaramente. «Ho preso a pugni tanta gente, ho visto tante armi, cristo santo non avevo incontrato nessuno però che usasse una pietra! Quei due stronzi... una pietra! Un attimo di distrazione e sono stato colpito più volte, nello stesso punto, da una pietra.»
Sento dentro di me gli organi farsi molli, deboli, quasi volessero cadere dopo quelle parole. Non sopportavo già la violenza in generale, figurarsi l'idea di tutto quel dolore sulla sua carne. Jared invece se ne sta lì come se le ferite non appartenessero al suo corpo, ma si trattasse solo di una questione di onore.
«Meglio una pietra che un coltello. Sarebbe stato fatale.»
Occhi negli occhi, mentre i suoi respiri si alternano nei mie, torco le mani sotto al tavolo per la smania che ho di stringere quel corpo, è un bisogno, come lo è quello di assaggiare le sue labbra. Più di tutto però ho solo voglia di dargli conforto.
Ma sono sogni campati in aria. Illusioni di uno stupido adolescente con la sua crisi da gay.
Lui mi osserva e annuisce.
Arriva Carlos, quando vede il suo amico gli va incontro, subito iniziano le domande. Poi decidono di fare una passeggiata e parlarne fuori. Non vogliono avere nessuno tra i piedi, sono io l'intruso. Quella conclusione mi procura un misto di gelosia e delusione. Sono geloso del rapporto che Carlos ha con Jared, deluso da entrambi per questa esclusione. Mi sento come... non lo so... come un "grazie" senza "prego".
Quando arrivano alla porta Jared ritorna indietro, si avvicina, e ancora una volta infila le sue gradi e forti dita tra i miei capelli scrollandomi la testa.
«Grazie, Sonny.»
E va via. E io resto attonito, rosso e accalorato sulla sedia. E' la prima volta che mi chiama con il mio nome. E' la seconda volta che mi tocca, e mi piaceva un casino avere le sue mani tra i capelli. Quando richiudono la porta, vari minuti dopo, mi do da fare, poso la cassetta del pronto soccorso, afferro la maglia di Jared e vado a in bagno, con l'intenzione di lavarla... solo che poi non resisto, la avvicino al viso, affondo il naso in quelle macchie cremisi, inspiro l'odore del suo sangue; è simile al ferro, ma tra quello riesco a scorgere anche il profumo della mia pelle. Non è un comportamento propriamente normale, ma chi se ne frega! Se mi avesse lasciato un bicchiere del suo sangue, accidenti, l'avrei bevuto!
Volevo solo averlo dentro di me. Creare un legame profondo. Sentire di averlo sempre addosso, come un pezzo mancante.
Sono deviato, è lui che mi porta ad esserlo, forse a causa dell'inaccessibilità su cui vado a sbattere con prepotenza ogni volta.
Guardo il mio riflesso alla specchio: il naso è sporco del sangue di Jared. Gli occhi si appesantiscono, il mio corpo inizia a fare una serie ripetuta di spasmi per il desiderio.
Quella sera, in bagno, per la prima volta mi feci una sega pensando a Jared. A quella pelle dorata piena di escoriazioni. A quelle mani. I capelli rasati, le labbra sdegnose e autoritarie che pronunciavano il mio nome.
Fu una delle più belle masturbazioni.

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