I miei genitori sono persone molto semplici, non tanto d'aspetto ma di maniere, seppur un filino particolari.
Magari oggi come oggi l'esuberanza che li caratterizzava in gioventù si è afflosciata un po', ma fin dall'infanzia di Carlos hanno sempre avuto due menti fabbricatrici di idee strane.
So che appena sposati andarono a fare un viaggio in Canada e comprarono un iglù, convinti di voler mettere su famiglia in quel posto gelido.
Dopo solo una settimana mamma era così furiosa per il freddo e la scomodità che, da quello che papà racconta, iniziò a lanciare ogni sorta di oggetti forti di costituzione contro quel piccolo rifugio.
Papà alla fine per calmare la sua ira la portò in Brasile e ci restarono per ben cinque mesi. E' stato lì che mamma concepì Carlos.
Il suo nome è legato proprio a quel luogo: lì avevano conosciuto un signore molto anziano che aveva intrecciato, durante la prima settimana di soggiorno, ai capelli di mamma tanti fili colorati dicendole che le avrebbero portato molta fortuna, un'usanza del posto vecchia più del mondo.
Instaurarono una forte amicizia; passarono con lui quei mesi, tanto che mamma iniziò a chiamarlo "nonno" perché gli ricordava tanto il suo, e ancora oggi quando ne parla si commuove.
Quel signore si chiamava Carlos. Mamma voleva portare per sempre con sé il ricordo di quel viaggio, ma inizialmente non sapevo di preciso cosa. Scherzando, papà, un giorno le disse "Perché non lo chiamiamo Carlos?" riferendosi a mio fratello nel pancione. Ci scherzarono molto su, ma mamma aveva preso seriamente in considerazione l'ipotesi. Così andò a cercare il significato del nome e quando scopri che quello era "uomo libero" non ci fu nessun altra scelta oltre quello.
Ecco spiegato il nome esotico di Carlos.
Ora dovrei parlare del mio, una storia, seppur contorta e singolare, abbastanza diversa.
Partiamo già dalla parte fondamentale: i miei genitori volevano una femmina. Una bella bimbetta da poter strapazzare e mettere vestitini rosa, che avrebbe avuto il nome di una delle tragedie Shakespiriane più amate da mamma: Ophelia.
E invece c'era un maschietto nel suo ventre, che per ironia della vita ha ereditato gli stessi gusti di una bella femminuccia in fatto di partner. Va beh, lasciamo perdere...
So che quando scoprirono il sesso mamma in un primo impulso decise di chiamarmi per par condicio (o per rabbia?) "Otello", poi (sia lodato il cielo!) Carlos e papà avevano l'abitudine di parlare al pancione di mamma, almeno è quello che mi raccontano sempre, e usavano rivolgersi a me con "Son".
La prima volta che Carlos mi vide in ospedale mi chiamò proprio con quel nome, e mamma esclamò:
"Sonny, benvenuto al mondo"
Sì, da quel giorno mi sono sempre sentito benvoluto dalla mia famiglia, nuotando in una discreta quantità d'amore che mi circonda e dalla possibilità di sviluppare il mio carattere senza particolari influenze.
Sono stato adagiato sugli allori lasciandomi sempre la sensazioni di essere il più piccolo di casa.
Mentre sono nella mia stanza, disteso sul letto a giocare con la vecchia pallina da baseball e a pensare tutte queste cose, dal piano di sotto avverto un gran baccano.
Quando scendo mi accorgo, guardando l'orologio in cucina, che è l'orario in cui tornano i miei, eppure non c'è nessuno. Il baccano ricomincia e inizio a seguire quei suoni, ritrovandomi in giardino, con la famiglia al completo davanti, l'unico intruso è Jared, che se ne resta spaparanzato sulla sdraio con un sorriso da furfante in volto.
Mamma batte le mani euforica, papà da a Carlos pacche affettuose sulla spalla.
«Bravo figliolo. Ogni anno riesci sempre a ricostruirla e a smontare il nostro pessimismo al riguardo»
Carlos dice qualcosa che non riesco ad afferrare, poi tutti ridono.
Io intanto continuo a rigirarmi tra le mani la pallina, mentre sbadigliando lancio un'occhiata veloce alla piscina.
Tanto è sempre lui che la rimonta ogni anno, e mamma e papà continuano ad avere la stessa reazione. Vorrei davvero essere entusiasta come loro. Cioè, sono sollevato perché da domani, grazie a mio fratello, potrò distendere il mio bel culetto in acqua e stare al fresco, ma non sono meravigliato a tal punto da fare perfino l'applauso.
Ammetto che sorrido solo per l'espressione tutta orgogliosa di Carlos che si gode le ciance di papà.
«Ah, ecco il fantasma di casa. L'anno prossimo la monti tu la piscina» papà si avvicina con un sorriso che taglia in due il viso, lo sguardo da burlone. Ecco, siamo alle solite.
«Certo, così ne trovi due» gli lancio la pallina che afferra al volo.
«Sei uno scansafatiche»
«Touché» ridono tutti, anch'io. Papà mi afferra in un abbraccio ma poi improvvisamente mi issa su una spalla, manco fossi un bambino.
«Ehi, che cavolo fai papà? Mettimi giù!» Gli schiaffeggio la schiena, vedo il mondo sottosopra, non male in verità, e non riesco a smettere di ridere mentre lui mi porta in giro velocemente per il giardino.
La scena deve essere imbarazzante e buffa.
«Mamma!»
«Mamma!» Mi scimmiotta lui, facendo diventare le mie risate ancora più acute.
«Cosa ne dite se per punizione facciamo fare a lui il primo tuffo?» annuncia ad alta voce, in quella sera calma e bollente.
«Sìììì!» Dicono in coro.
«Siete dei miserabili!» Urlo prima di finire in acqua. Il contatto improvviso con il liquido freddo mi mozza il fiato. L'acqua entra in bocca, il naso brucia e per un attimo mi faccio prendere dal panico e dal senso di soffocamento, dimenandomi come un ossesso.
Poi riacquisto lentamente lucidità mentre ascolto il silenzio subacqueo, rilassandomi e lasciando che l'acqua mi faccia sprofondare fino quando la schiena non finisce sul fondo della piscina. Resto così per un bel po', mentre le bollicine escono dal naso risalendo in superficie; osservo il panorama che mi sovrasta, tanto blu ondeggiante, nel silenzio strano e pacifico del fondo della vasca.
Decido di risalire solo quando i polmoni iniziano a dolermi.
Mi afferro al bordo della vasca e prendo fiato in modo alquanto aggressivo, strofino gli occhi con una mano, sposto i capelli sgonfi e lisci dal viso.
Sento il gruppo borbottare. Avvisto la scaletta e nuoto fin quando non la raggiungo.
I vestiti sono appiccicati al mio corpo, fortuna che non ho le scarpe.
I piedi sull'erba diventano appiccicosi. Raggiungo il pubblico; papà e Carlos fumano, mamma mi osserva con espressione dolce. Papà ha la solita fierezza stampata addosso, così per omaggiare il suo spettacolo faccio un inchino come se fossimo in un teatro.
«Com'era l'acqua?» Mi chiede.
«Piuttosto pulita» sorridiamo tutti, e gli occhi mi finiscono su Jared.
Pensavo che vederlo sorridere avrebbe smussato l'annichilimento che aveva su di me, invece no. Mostrava tutto l'amore che racchiudeva, illuminando le pagliuzze d'argento negli occhi, risplendevano come se ci fossero costellazione all'interno, così ancora una volta la sua presenza, seppur ilare, metteva in ombra tutto.
Appare meno posato, sembrava essersi dimenticato delle regole che imponeva ogni secondo a sé stesso.
Sorride verso di me con un'apertura totale, bello da mozzarmi il fiato, e non come la piscina, non come quando uno ha paura, ma come qualcosa che la guardi e pensi "non potrò mai dimenticarlo. Non potrò mai pensarlo raramente, anche se ho voluto provarci".
Non sono stati i giorni a immaginarlo di fare l'amore con me, non quando lo spiavo o ascoltavo la sua risata, non quando mi toccava distrattamente i capelli, non quando parlava e mi diceva cose profonde, da adulto.
No. Mi sono innamorato di lui in quel momento preciso, davanti al sorriso disarmante.
Nell'istante in cui ha iniziato a guardarmi davvero, non dico come qualcuno che puoi amare, non con desiderio, ma sono riuscito a vedere il momento in cui ho smesso di essere per lui solo il piccolo fratellino del suo amico, ma semplicemente Sonny.
Abbasso lo sguardo, arrossendo, e fuggo in camera, mentre mamma gridava cose incomprensibili, forse perché ho bagnato tutta casa, ma tanto non l'ho sentita. L'unico suono che mi arriva è quello del mio cuore che batte a mille.
Quella notte iniziai a patteggiare con me stesso. Non avrei mollato, non l'avrei fatto solo perché era un amico di mio fratello. Se una cosa ci fa stare bene, dobbiamo provare a tenercela stretta, e per come vivevo io, Jared ha scalato in un'unica scena tutta la classifica della mia vita posizionandosi al primo posto nelle cose più importanti.
Con Carlos ci avrei fatto i conti in un secondo momento, ora sapevo solo che in qualche modo avrei dovuto giocare la mia carta, perché la realtà che ora avesse un'altra immagine di me, più quell'amore acerbo che mi sbocciava nel cuore, mi lasciavano spaziare troppo nella fantasia, facendomi perdere del tutto la reale assurdità di quello che il mio cuore aveva deciso di fare.
Forse se adesso mi vede può cambiare anche il modo di osservare le cose.
Però la disciplina che si trascina dietro non riesco a dimenticarla. Da cosa ti proteggi, Jared? E' la tua chiusura, quella con cui affronti la vita a spaventarmi di più.
Non posso però nascondergli questi sentimenti, li avrebbe visti, è troppo attento per non farlo. E per quanto folle possa essere, voglio proprio che lui li scorga oltre i miei occhi. Per sfuggire a tutto questo, l'unica scelta sarebbe quella di cambiare casa. Peccato solo che non so come essere autonomo e che non abbia, dulcis in fundo, nessuna indipendenza economica.
Quindi è questa la strada: amarlo e affrontarlo quando se ne sarebbe accorto.
Sonny, lo sai vero che sarà una scarpinata molto probabilmente inconcludente?
Sì, lo so.
Qualcuno potrebbe dire, se mi vedesse in questo momento, perché diavolo me ne sto chiuso in camera mia quando ho una piscina in giardino, larga tanto da contenere una squadra di pallone? Ebbene, la risposta è oltre che imbarazzante tanto scandalosa.
Il giorno dopo il tuffo in piscina e la scoperta dell'amore verso il migliore amico di mio fratello, dopo le mansioni di casa indossai il costume e m'incamminai verso la piscina tutto felice.
Dopo un po' mi raggiunsero il solito duo.
Certo, guardare Jared svestirsi pian piano, tutti quei muscoli che si flettevano, mentre le risatine tra lui e Carlos riempivano il nostro giardino, era uno spettacolo fantastico.
L'unico problema era la sua entrata in piscina, che non durò a lungo.
Scoprii che gli piaceva sdraiarsi al sole e bere birra.
Era proprio tra l'uscire dalla piscina e il distendersi a distruggermi. Mi eccitavo come non mi era mai successo, senza il minimo controllo.
Quella vergognosa erezione mi aveva costretto a rimanere sotterrato in acqua per più di un'ora, privandomi di guardare Jared nella speranza che il mio uccello cedesse.
Invece aveva persistito a lungo.
Quando sono fuggito dalla piscina mi sono ripromesso di non rientrarci più quando c'erano quei due. I testicoli mi facevano un male cane.
E' una situazione patetica, che mi fa sentire davvero uno sbarbatello immaturo con l'aria da vergineo quale non sono.
Già.
Sono, udite udite, riuscito ad avere due storie serie nella mia piccola cittadina senza che nessuno venisse a saperlo. Certo, storie brevi, non si era rivelato amore ma mi avevano dato la giusta carica e la grande notizia che REALMENTE mi piaceva gli uomini, e quello era un fatto che non avrei potuto cambiare.
Eh, in certi casi bisogna provare. A volte le sensazioni possono sbagliarsi.
Con la finestra spalancata e un buon umore dovuto al cuore gonfio, sorrido senza accorgermene, mentre con un dito percorro la scala di dvd sulla mensola della mia camera. Ho deciso di guardare un film.
Non ne ho molti, compro solo quelli che mi hanno colpito di più, e in verità ho dei gusti bizzarri. Ho sempre spaziato in diversi generi, non ho una categoria preferita, diciamo solo che il contenuto deve colpirmi. Non m'interessa se si tratta di un film premiato, se ci sono attori scadenti, se è datato... tipo questo di Charlie Chaplin. Il grande dittatore.
Credo sia il film che ho guardato più volte e per cui ho versato più lacrime.
Lo guardai da bambino insieme a papà. Piansi molto e il giorno dopo, tornato dall'asilo, pretesi di riguardarlo. Piansi ancora. Eppure il giorno seguente volli rivederlo, e poi ancora, e ancora... finché mamma non lo buttò via. E allora piansi ancora di più, tanto che passai un'intera notte a frignare e papà la mattina seguente andò a comprarne uno nuovo di zecca.
Finì col guardarlo ogni giorno, per mesi, fino a non piangere più e a conoscere le battute a memoria.
Perfino ora che sono grande continuo a riguardarlo spesso, minimo una volta al mese.
Prendo la copertina tra le mani e guardo l'espressione buffa di Chaplin, lui è quella drammatica comicità che amo tanto.
Ripongo il disco tra gli altri, afferro il cappello della marina militare che papà mi ha regalato da piccolo.
Lo indosso, mi piazzo davanti alla finestra e guardo il cielo luminoso e tiepido del tardo pomeriggio, iniziando a recitare a memoria una scena del film: «Mi dispiace. Ma io non voglio fare l'imperatore. No, non è il mio mestiere. Non voglio governare, né conquistare nessuno; vorrei aiutare tutti se è possibile: ebrei, ariani, uomini neri e bianchi. Tutti noi, esseri umani, dovremmo aiutarci sempre; dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo. Non odiarci e disprezzarci l'un l'altro» alzo il mento, pian piano dimenticando il luogo in cui mi trovo, immaginando di essere ai piedi di un pubblico immenso. «In questo mondo c'è posto per tutti: la natura è ricca, è sufficiente per tutti noi; la vita può essere felice e magnifica. Ma noi lo abbiamo dimenticato. L'avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell'odio, ci ha condotto a passo d'oca a far le cose più abiette» respiro, ricordando la mimica facciale di Hynkel. Vampate di calore mi salgono in volto per l'ardore con cui recito uno dei discorsi più belli al mondo, il mio preferito.
«Abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi; la macchina dell'abbondanza ci ha dato povertà; la scienza ci ha trasformato in cinici; l'abilità ci ha resi duri e cattivi. Pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari, ci serve umanità. Più che abilità, ci serve bontà e gentilezza. Senza queste qualità, la vita è violenza, e tutto è perduto. L'aviazione e la radio hanno riavvicinato le genti. La natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà dell'uomo, reclama la fratellanza universale, l'unione dell'umanità. Perfino ora la mia voce raggiunge milioni di persone nel mondo, milioni di uomini, donne, bambini disperati» le braccia sono spalancate, come se realmente tutto il mondo possa sentirmi.
«Vittime di un sistema che impone agli uomini di torturare e imprigionare gente innocente.
A coloro che mi odono, io dico: non disperate, l'avidità che ci comanda è solamente un male passeggero. L'amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano, l'odio degli uomini scompare insieme ai dittatori. E il potere che hanno tolto al popolo, ritornerà al popolo.
E qualsiasi mezzo usino, la libertà non può essere soppressa. Soldati! Non cedete a dei bruti! Uomini che vi sfruttano! Che vi dicono come vivere! Cosa fare! Cosa dire! Cosa pensare! Che vi irreggimentano! Vi condizionano! Vi trattano come bestie! Non vi consegnate a questa gente senza un'anima! Uomini macchina, con macchine al posto del cervello e del cuore.
Voi non siete macchine, voi non siete bestie, siete uomini! Voi avete l'amore dell'umanità nel cuore. Voi non odiate coloro che odiano solo quelli che non hanno l'amore altrui. Soldati! Non difendete la schiavitù! Ma la libertà!» Qualcosa alle mie spalle interrompe il flusso delle parole facendomi girare di scatto, e nel farlo il cappello vola giù dalla testa cadendo ai miei piedi.
Mentre l'affanno mi priva di parole, finisco dritto davanti alla figura di Jared in costume, con espressione così strana da farmi sentire cento volte più imbarazzato di come dovrei sentirmi normalmente per essere stato beccato a fare il cretino a recitare un discorso vecchio più di papà.
La lingua scende fin giù allo stomaco, strabuzzo gli occhi e resto a respirare velocemente con le labbra socchiuse, mentre il rossore deve aver invaso tutta la mia pelle.
Jared è poggiato alla cornice della porta, dettaglio che mi induce a pensare che sia lì già da un bel po'.
«Continua» mi chiede con voce roca e gentile, incitandomi ulteriormente con un cenno del mento. I suoi occhi sembrano più limpidi oggi, e anche più grandi.
Mi si poteva dire tutto tranne che non fossi coraggioso, visto che andavo incontro all'insuccesso assicurato ma nonostante ciò avevo la forza e il cuore grande di provarci.
Jared è diventato ancor più dorato in questo periodo, grazie all'esposizione solare a cui si sottopone ogni giorno. Non riesco a evitare di solcare con lo sguardo il suo petto nudo, le gambe che spuntino dal costume e le caviglie incrociate in modo affascinante e provare fame di lui, una voracità logorante che mi provoca reazioni inconsce e devastanti, brutali da non riuscire più a riconoscermi.
Non riesco a non sentirmi povero di cose interessanti davanti alla sua presenza eclatante, così padrona, così bella da guardare, così misteriosa. Non bisogna solo essere belli, il fascino sta proprio come uno ci cammina in questa vita, come inclina il collo per parlare con qualcuno, come aggiusta il mento sporgendo un po' il labbro superiore, come il viso sia sempre inclinato lateralmente e gli occhi guizzino nella tua direzione, obliqui eppure decisi e dritti senza mai interrompere il contatto, come a dire che nessuno potrà mai farli abbassare.«Non lo ricordo più» la voce non sembra nemmeno più la mia! E dio mio, ha perfino tremato inizialmente. Il discorso lo conosco a memoria, dalla prima all'ultima sillaba, ma nel momento in cui è entrato Jared nel mio contatto visivo, ogni ricordo è finito in un pozzo lasciandomi solo emozioni e più nessuna parola.
Jared mi sorride.
«Che cos'era?»
Lecco le lebbra per renderle meno secche, e per trovare lucidità porto la mia attenzione sulle mani di Jared. Una pende da un lato e i palmi sono più chiari rispetto al resto della pelle del dorso.
Quella visione mi fa rabbrividire nonostante la sua semplicità, ai miei occhi anche quel particolare è stimolante.
«E' il discorso all'umanità interpretato da Charlie Chaplin nel film Il dittatore»
«E tu lo conosci a memoria?» Ha un espressione stupita, senza nessuna ruga d'ironia.
«Già. E' l'unico film che guardo da quando andavo all'asilo»
«Perché?»
Rido sbuffando, afferro il cappello dal pavimento e vado a metterlo al suo posto. Jared è sempre fermo lì a esaminarmi, come se non volesse invadere i miei spazi... o sta solo mantenendo le distanze?
«Esiste una vera ragione per cui una cosa ci piace? Non lo so perché. So che da bambino mi faceva piangere tanto e mi faceva ridere allo stesso modo. So che ogni cosa, dall'inizio alla fine, mi regala una miriade di sensazioni. So che il bianco e nero mi rilassa e che vedere la figura di Hitler e tanti altri ridicolizzata in quel modo mi fa stare bene. So che all'apertura delle elementari, ero convinto che facessero proprio quel discorso e ci restai malissimo quando invece ci fu un insulso benvenuto, tra pianti e lagne varie»
Jared resta a fissarmi con occhi sbarrati poi scoppia a ridere, lo fa con trasporto, con le palpebre strette tanto da formare delle rughe ai lati degli occhi, i denti scintillanti che illuminano la mia stanza. Stringe tra le braccia la pancia, senza riuscire a fermarsi.
Quando recupera il controllo non smette di sorridere, si avvicina a me, alza una mano e io la osservo finché non viene a posarsi sui miei ricci.
In realtà non sono molto basso. Però ci separano alcuni centimetri di differenza che gli permettono di fare quel gesto.
Sorrido anch'io, imbarazzato eppure felice.
«Lo sai, la gente non si accorge di te. Non perché... come posso dire? Non perché non attiri l'attenzione, piuttosto perché sei molto semplice. Forse eviti deliberatamente di farti notare, ecco perché mi sono accorto di te solo dopo molto tempo. All'inizio eri il fratellino di Carlos che non ricordava nulla di me e io lo ricordavo solo un poppante. Poi ho notato questi capelli che mi fanno rilassare parecchio, un po' come te con il bianco e nero. Un giorno hai detto qualcosa, alzando il tuo sguardo nel mio, e ho visto questi occhi gialli, nemmeno loro sono semplici. Non sono riuscito a non pensarci. Sai cosa mi hanno ricordato?» Mi chiede, con voce pacata come se stesse parlando a un bambino, con un angolo della bocca incurvato in un sorriso delizioso e scaltro. Ipnotizzato dalle sue parole strascicate e pure, scuoto la testa «Il gufo delle nevi.» anche se suona male l'ultima affermazione, non riesco a evitare di essere ammaliato dalla sua voce cavernosa, che scivola come cioccolato caldo in tutta la camera.
«E' un animale raro, buffo e particolare, che a contatto con la neve rischia di passare inosservato. Eppure quando alza lo sguardo la sua presenza riesce a sovrastare tutto il resto. Mi sono accorto anche della mente brillante, anche se hai delle idee abbastanza strane, ma oggi scopro che non hai solo gli occhi di un gufo. Hai anche la stessa saggezza»
Continua ad accarezzarmi come fossi un cagnolino, e io pendo letteralmente dalle sue labbra.
«Grazie» sputo fuori la tipica affermazione da imbecille.
«Per cosa?» Chiede con un sorriso sghembo. Lo so, lui quelle cose le ha dette così, perché osserva la gente e gli viene naturale poi raccontare quello che scopre. Sono il solo ad averci visto troppa tenerezza.
«Per avermi visto» afferro la lingua tra i denti mentre gli sorrido a mia volta, mascherando con ironia una frase che può essere interpretata in due modi diversi, e il mio non potrà mai arrivare a lui.
«Di niente» si allontana dal mio viso iniziando a osservare la camera.
«In realtà ero venuto qui a prenderti. Ho avuto la strana sensazione che mi stessi evitando, anche perché è strano che te ne stia rinchiuso qui a fare la sauna.»
«Nah, volevo solo guardare un film» mento spudoratamente e tanto Jared non l'ha bevuta. Vedo il suo sopracciglio destro inarcarsi all'insù.
«Certo, hai avuto voglia tutta la settimana di guardare film che hai già visto, galleggiando nel tuo stesso sudore»
«Che schifo» ridiamo entrambi, lui si alza e cammina fin sotto l'uscio della porta.
«Metti il costume e vieni giù» va via senza nemmeno girarsi, sputandomi quell'ordine lì su due piedi, lasciandomi una scia di brividi lungo tutta la spina dorsale, una sensazione che nasce in modo quasi spiacevole e finisce in mille scintille che di solito precedono l'orgasmo.
La sua voce perentoria, il comando, il fatto che fosse venuto lì per me mi rendeva febbricitante, caldo.
Pieno.
Indossai il costume con la costante sensazione di sentire ancora la voce di Jared vibrare all'interno delle pareti della mia camera. Ho ascoltato così tanto il suo respiro mentre mi parlava che era diventato il suono che conoscevo meglio, e quando restavo lì a pensarci era sulla pelle del collo che lo sentivo, una fantasia che mi faceva diventare le ginocchia molli.
In giardino Carlos e Jared sono immersi in una discussione fatta di sussurri; mio fratello ha la fronte corrucciata, continua a fissarsi le braccia incrociate come se stesse pensando a cose accadute.
Chissà cosa gli prende. Jared gli parla annuendo, come se lo stesso convincendo a fare qualcosa.
Entro nella piscina immergendomi lentamente, poi vado a posarmi con i gomiti su bordo vasca e guardo il cielo arancio del tardo pomeriggio. L'acqua è calda.
Un movimento attira il mio sguardo e quando mi giro vedo Jared intento a fare il suo ingresso in piscina. Guardo dietro di lui e mi accorgo che Carlos non c'è, poi lo vedo... è sul fondo del giardino, a piedi nudi sull'erba, mentre con una mano gioca vicino alla staccionata in legno e con l'altra tiene il telefono. Sta parlando con qualcuno, e non sembra proprio in ottime condizioni.
Quando riporto l'attenzione su Jared lui sta già nuotando e viene verso di me. Si ferma a poca distanza mantenendosi a galla con movimenti lenti e ondulatori delle braccia; mi fissa per un po' poi si immerge, sparendo dalla mia visuale.
Torno a guardare Carlos e non posso fare a meno di soffrire un po', accorgendomi che qualcosa nella sua vita non deve essere andata per il verso giusta. Quella posa... le spalle curve, la schiena che sembra quasi possa spezzarsi sotto il peso di tanto dolore, le rughe intorno agli occhi e la bocca in una smorfia amara... tutto indica la fine di un rapporto in cui hai investito tanto.
Con chi si vedeva ultimamente? Non mi ha messo al corrente di nulla, sono rimasto fermo all'amore che aveva conosciuto al liceo e che si era trasportato per anni, fino alla rottura totale per tradimento.
La sua ex ragazza si chiama Emma. Non mi è stata mai molto simpatica e sono convinto che anche lei nutrisse un avversione nei miei confronti; me ne accorgevo ogni volta che veniva a cena da noi, mi fissava sempre con uno sguardo d'allerta, come se io potessi realmente rappresentare una minaccia. Inoltre non aveva mai tentato di fare conversazione e quando ero più piccolo ha comunque mantenuto sempre le distanze.
E' io che pensavo che le fidanzate dovessero essere più carine con i fratellini dei loro innamorati!
Ora che ci rifletto forse dovrei iniziare a prendere seriamente in considerazione l'idea di vivere capovolto al contrario, come mi aveva tenuto papà l'altro giorno. Forse comincerei a vivere meglio.
Sbuca dal pelo d'acqua Jared, nello stesso identico punto dove era sparito prima; quanto tempo è rimasto sotto, accidenti a lui?
Sbuca con violenza, roteando la testa e scagliandomi miliardi di spilli d'acqua sul volto.
Iniziano a solcare il suo viso tante gocce, una scivola giù dalla fronte, percorrendo il naso lateralmente e solcando l'infossatura sul labbro per poi finirgli nella bocca.
Sonny, smettila.
Non guardare cose che ti fanno eccitare.
Non guadargli le labbra, porca miseria! Se ne accorgerà altrimenti.
Ammonendomi internamente risalgo nei suoi occhi che fanno davvero impressione sotto questo cielo, con le ciglia completamente bagnate.
Vuoi restare a guardarlo come un imbecille o dici qualcosa?
La voce in lontananza di Carlos mi tira fuori da quel groviglio di ansie.
«Cosa succede?» Chiedo preoccupato, indicando con un cenno della testa in direzione di Carlos.
«Non ha detto nulla?»
«No, quindi suppongo che abbia avuto i suoi buoni motivi»
«Penso anch'io»
«Allora?» Lo guardo mentre accarezzo la superficie dell'acqua con la mano.
«Credo che dovresti chiederlo a lui»
Il viso mi si indurisce.
«Invece lo sto chiedendo a te. E comunque non sono il tipo che va da mio fratello e gli riferisce tutto, sai. Ho la sensazione che questa situazione lo ferisca molto, solo per questo evita di parlane con molti e alzare un polverone»
Jared si volta a guardare mio fratello, restiamo entrambi a fissarlo mentre chiacchiera al telefono, risoluto eppure così giù di corda che mi si forma un nodo in gola.
«Ha riprovato con Emma, solo che lei non ha perso il vizio di ferirlo, per assurdo nello stesso identico modo dell'ultima volta»
Sento la bocca contorcersi in una protesta di dolore mentre mi aggancio al volto imperscrutabile di Jared.
«Che stronza»
Mi sorride.
«Non dovrei dirlo» proseguo «ma sono contento che sia andata così. Non si è mai meritata Carlos, né in passato né mai.»
Tiro fuori dall'acqua le dita del piede, sono abbastanza vicino alle spalle di Jared ma non ci rifletto molto, sono più che altro perso nei miei pensieri.
A un tratto mi afferra il piede facendomi perdere l'equilibrio. Viene dietro di me, con l'intenzione di levarmi questa imbronciatura dal volto; le sue mani sono ovunque, lo sento sogghignare. Mi strapazza i capelli, gira intorno alla vasca nonostante le mie proteste. Ogni cosa mi va in fiamme, e mentre mi trascina con lui, tra risate e ringhi di protesta, il mio bacino finisce ripetutamente sul suo fallo, e lo sento benissimo grazie alla stoffa sottile dei costumi, lo sento, come anche la pelle sua a contatto con la mia, e la forza delle sue dita, la risata, il calore incredibile che emette il suo viso, senza che io possa fermarlo sono ancora una volta eccitato.
In preda al panico mi dimeno finché non mi libero.
Jared mi chiama, io lo ignoro e fuggo dalla piscina. Carlos fortunatamente è lontano da noi, non vede la scena e non vede la mia erezione spudorata che si regge come una fottuta statua sotto al costume che non lascia molta fantasia e mette in risalto tutto.
Mentre sto per varcare l'uscio di casa vengo bloccato da una mano forte.
Jared mi tiene per il braccio e con un movimento secco mi fa girare proprio davanti a lui.
«Si può sapere cosa diavolo ti prende? Non mi ero affatto sbagliato. Tu hai qualche problema con me, ragazzo» dice risentito, ferito da quella conferma, con atteggiamento graffiante e gelido.
Resto pietrificato, con gli occhi sbarrati e incapace di fare qualcosa di essenziale.
Sono in trappola.
Non poteva andare diversamente, la colpa è mia per essere stato debole e irresponsabile. Mi ero ripromesso di stare lontano da lui, invece ci sono ricaduto come un allocco.
Gli occhi di Jared sono attirati dalla sporgenza del mio costume, e quando capisce quello che sta succedendo anche i suoi occhi si sbarrano. Le labbra si chiudono, diventano una linea dura.
Distoglie lo sguardo inclinando la testa di lato, senza più nemmeno il coraggio di guardarmi in faccia. Volevo una risposta, no? Eccola qui.
Ferito, denudato, messo in ridicolo e arrabbiato raccatto tutto ciò che mi rimane oltre quello e me ne vado con passo deciso.
Nessuna mano viene a prendermi, nessuno bussa alla mia porta.
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Dietro cementi di parole
Romance«Che cosa stai facendo, ragazzino? Entri nella mia testa, mi confondi con questi capelli. Non riesco più a essere lucido. Mi provochi, lo fai in continuazione. Giochi con il fuoco.» [...] «Perché io, Sonny? Che cosa te ne farai di queste briciole?» ...