Capitolo 4

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«Carlos, posso dire la mia?»
«Oh, a questo punto! Parla» lancia il cacciavite in malo modo sul pavimento.
«Non credo debba pendere così, e poi scusa, se l'hai già montato, noi dove li passiamo ora i fili?»
Carlos mi guarda con così tanta ferocia che penso voglia strozzarmi. Prima di iniziare a parlare fa un gran respiro dalle narici, come un drago.
«Secondo te non ci sono arrivato? Perché cazzo danno il foglio con le istruzioni se poi sono sbagliate, diobono!» Sfila la t-shirt zuppa di sudore e la spedisce con un volo chissà dove; tutto stizzito afferra il pacchetto di sigarette e ne accende una. Io vorrei, a questo punto, dire a mia madre: non ti sembra che le faccende di casa siano già troppe? Allora perché compri un lampadario nuovo di zecca e decidi di farlo montare a noi? Tralasciando il fatto che Carlos non è molto idoneo per fare queste cose, non tanto perché non sia capace, ma piuttosto manca di pazienza.
C'è da dire in sua discolpa che abbiamo realmente eseguito le istruzioni passo dopo passo.
Mi fissa tamburellando le dita sulla superficie del tavolo.
«Che facciamo?» Chiede con sguardo affranto.
Sto osservando quel coso e il foglio illustrativo da ben dieci minuti, cerco una soluzione alternativa.
«O torniamo dal rivenditore e ci facciamo spiegare tutto, o cerchiamo di trovare una soluzione alternativa. Credo però che per appurare questa dovremmo fare un altro buco in quel miserabile rosone.»
Carlos si avvicina strappandomi il foglio di mano, guarda quello poi il lampadario storto e poi me.
«Sei sicuro?»
«Sì, guarda...» gli mostro la mia idea, facendogli notare che con un appiglio in più il rosone è fisso e che i fili dobbiamo sistemarli prima di richiudere, magari mentre io mantengo sospesa tutta l'attrezzatura dal basso nel frattempo che lui riallaccia tutto.
Inizialmente non sembra convinto, poi man mano che ripensa alle parole appena dette, osservando il lampadario, riflette e resta a guardare il soffitto mentre fuma. Quando il mozzicone è spento nel bicchiere dell'aranciata, si gira e mi dice: «Si fottano le istruzioni, facciamolo. Se va male glielo ricompro io a mamma» sorrido annuendo. Mi piace quando azzarda, quando prende in considerazione le mie idee. Credo che accettare consigli da qualcuno più piccolo di noi, capire di non esserci arrivati noi stessi a certe conclusioni, crea una serie di conflitti interiori e anche una considerevole somma di stizza.
Ecco perché mi fa sorridere. Alla fine del lavoro do un pacca sulla spalla a Carlos, lui invece preferisce abbracciarmi quando accende la corrente e il lampadario funziona correttamente.
Abbiamo iniziato a lavorarci questa mattina, ora sono le sei inoltrate del pomeriggio e necessitiamo entrambi di una doccia.
Si, è vero. Abbiamo speso un mucchio di tempo, ma immagino che sia normale per due principianti che, problemi di esperienza a parte, hanno dovuto improvvisare a causa di istruzioni assurde e false.
«Sonny-boy, vado a farmi una doccia prima io, ti dispiace?»
«Uh, no. Intanto io sistemo questo casino» indico tutta l'attrezzatura e i fili tagliati sul pavimento. Carlos annuisce prima di salire le scale.
Quando suonano alla porta ho quasi finito, sono intento a ficcare l'ultima scatola nella busta per la differenziata. Canticchio da un bel po' il ritornello di Spoongebob, che fino a poco fa stavano trasmettendo alla tivù, così con la testa altrove vado ad aprire e mi ritrovo faccia a faccia con la persona che ho evitato categoricamente da ben quattro giorni, sette ore e cinquanta secondi.
Entrambi restiamo muti, alla fine cerco di rompere tutta quella scena con delle contorsioni delle labbra e invito Jared a entrare gesticolando con le braccia. Lui abbassa il capo annuendo, sempre da vero soldato, e si trascina dentro. Fortuna che ha preso a camminare davanti, altrimenti avrebbe notato la mia agitazione. Da quella volta non gli ho più parlato, anche se avrei dovuto.
Fingere.
Mentire.
Pregargli di non dire niente a Carlos, ma l'imbarazzo e la totale umiliazione mi hanno impedito qualsiasi approccio.
Ho lasciato tutto alle speranze.
Jared non ha detto nulla, rendendo onore al pensiero che mi sono fatto di lui. Questo mi ha evitato una spiacevole situazione in famiglia, ma non con lui. Entrati in cucina ognuno prende le distanze dall'altro.
Jared va a sedersi al tavolo, osservando il lavoro fatto nel pomeriggio, io prendo varie bibite e le poso velocemente davanti a lui, poi ritorno a mettere ordine.
C'è silenzio, evitiamo di incrociare i nostri sguardi, la sensazione sporca di vergogna che non è attaccata solo a me come pensavo, no. E' tutta intorno a Jared, aleggia indignata e inopportuna, perché era una piccola crepa intorno a tutto quello che lui stesso imponeva di essere.
Nessuno dei due tenta di dire qualcosa. A volte delle piccole azioni contengono più parole delle parole stesse, e restare in silenzio costituiva altrettanto una risposta molto chiara.
In quel momento mi è salita in mente una delle cose che amo fare di più.
Si tratta della luna, che come un faro la vedo ogni notte dalla mia finestra, e in alcune resto sveglio solo per guardarla girare tutta intorno fin quando, verso le 2:30/3:00 quella non sparisce dai vetri, adagiandosi alla destra di casa mia. Amo guardarla, ammirare il colore diverso, la forma che ogni giorno presenta. Uno dei momenti più piacevoli nei quali rifletto un po' su tutto, la maggior parte pensieri che poi dimenticherò del tutto la mattina dopo.
Era da un po' che invece della luna preferivo guardare qualcosa che per ironia sembrava essere proprio lontana come essa. E se allungo la mano, posso quasi credere di toccare quella pelle dorata, ma è solo un'illusione, lui è troppo lontano da me, forse è troppo lontano da molte persone.
Dopo un po' ho pulito tutto, la casa è impregnata dall'odore di scatole e polistirolo, ma con tutte queste finestre spalancate non credo che durerà ancora per molto. Esco per andare a buttare la spazzatura, quando rientro c'è Carlos.
Tiene stretto un asciugamano intorno alla vita, annodato male, con lo spacco che lascia trapelare troppe cose.
Guardare Jared chiedergli dettagli sul lampadario, osservare Carlos spiegargli tutto nei minimi dettagli, Jared ridere, Carlos ricambiare mentre massaggia lo sterno con una mano grande, Jared con gli occhi fissi su di lui senza guardare me... tutto quello mi getta tra le fiamme della gelosia.
Mentre la testa diventa sempre più incandescente, mi rifugio in camera. Un messaggio al cellulare m'informava di una festa che alcuni amici hanno organizzato. Sì, credo sia arrivata l'ora di andare un po' al largo da tutto questo guazzabuglio.
Mi lavo in fretta, indossai cose leggere e semplici, arrivo al piano di sotto è come al solito Carlos se ne sta in mutande nel giardino, manco abitasse su di una montagna e nessuno possa vederlo.
«Carlos, esco» dico, mentre cerco di non inciampare nella pompa per l'acqua.
«Dove vai, moccioso?»
«Alcuni amici mi hanno invitato a una festa» evito deliberatamente e con un certo orgoglio pungente lo sguardo di Jared, che per la prima volta da ben due ore è venuto a posarsi su di me.
«Okay, vai. Tanto resto sveglio comunque fino a tardi»
«Non credo di rientrare a notte fonda, comunque ho le chiavi, quindi non preoccuparti» ride, sbuffando a tratti. Spalanca le mani ondeggiando la testa a destra e sinistra.
«Ehi Sonny-boy, guarda che non sono mai preoccupato. Sei sempre stato un tipetto a posto, ho fiducia in te. Cazzo, ascolto perfino i tuoi consigli!» Gli sorrido «Ma il problema sono mamma e papà, loro si incazzano se non faccio le solite cose» dice enfatizzando con voce e allargando le mani «da fratello maggiore. Quindi: fai il bravo, non drogarti e non portare guai a casa che poi finiamo in due nella merda» dice tutto a un tratto serio, puntandomi il dito contro.
«Come sempre» sussurro annuendo, poi vado via.
La festa si rivela carina, partecipo perfino a un gioco di ruolo che consiste principalmente nel girare la bottiglia sul pavimento e dire la verità o pagare un pegno. Durante quello, scopro che un ragazzo abbastanza carino mi lancia delle occhiate.
E' così, quando uno è gay lo riconosci, non so dire di preciso come, perché so cosa ci spinge a sentire quella cosa, ma so che quando incontri uno sguardo sai bene se quella persona è o no come te. Poi c'è il caldo che complica tutto, gli ormoni in subbuglio, le risate con persone perlopiù sconosciute, una birra, il fumo passivo... insomma, ero su di giri, pieno di casini in testa e con la voglia di toccare qualcuno.
Così mi lascio andare, seguendo i segnali del ragazzo dagli occhi azzurri cupi.
Bacia bene, oh come bacia bene, e sono l'ultimo di una lunga lista. La sua bocca mi piace così tanto che lasciai che mi baci anche un po' più in basso, e dopo avermi regalato un orgasmo davvero ottimo gli concedo lo stesso trattamento.
Dopo mi bacia sulle labbra, un gesto così casto da strapparmi un sorriso, poi le braccia che profumavano di eucalipto mi stringe in un abbraccio.
«Buona fortuna» dice improvvisamente.
«Anche a te» ricambia il sorriso prima di separarci.
E' stato davvero dolce, sapeva dove toccare un uomo e leggeva bene gli occhi, ma non era Jared, e io non ero quello che amava.
Credo che il non presentarci sia un reciproco patto di "ci scambiamo un po' d'affetto e poi un addio".
Ne avevo tremendamente bisogno, avvertivo lo scioglimento di tutti i muscoli del corpo che venivano abbandonati dalla rigidezza del nervosismo e lo stress accumulato.
Rincasai tardi, Carlos era ancora dove l'avevo lasciato, non lo raggiunsi, preferì salutarlo da lontano.
Nel letto sentivo ancora il profumo di quel ragazzo, e non so spiegarlo ma quello mi fece sentire meno solo.
Non era la persona che amavo, non era qualcuno con cui avrei voluto legare, era però il solo che mi aveva dato l'unica cosa che ogni essere umano ha bisogno ma che spesso non trova: carezze. Calore. Abbracci. Piacere carnale. Lasciarmi ascoltare il suo respiro, il cuore che batteva a pochi centimetri dal mio.
Non è forse un regalo? Donare il proprio calore a qualcuno, anche se non rincontrerai più quella persona sai di avergli dato ancora un altro giorno in più per sperare.
Ecco come mi sentivo dopo aver lasciato che qualcuno mi toccasse.
Ecco come mi sentivo dopo aver toccato qualcuno.
Pulito, capace d'amare, consapevole di quello che ero e consapevole di volerlo custodire ancora dentro di me, perché avevo così tanta timidezza che quella rasentava tutto il resto. Volevo proteggermi ancora un altro po' dalle difficoltà della vita, che già mi si presentavano sotto mentite spoglie.
Mi addormentai senza lavarmi, lasciai che il sonno mi trasportasse lontano insieme al sapore di un estraneo nella bocca.

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