Anche oggi mi sono svegliato solo, ma va bene.
Mi chiedo solo a quanti altri domani andrà bene, quando questa solitudine inizierà a diventare simile a una malattia.
«La smetti di fare il coglione davanti allo specchio?»
Carlos è da circa cinque minuti tondi che guarda il suo riflesso; inizialmente ha messo a posto i capelli, aggiustato gli abiti, dato una sbirciata al culo e, stanco della serietà, ha iniziato a fare smorfie e strane pose.
«Che ti impicci, tu? Pensa a prepararti, piuttosto e fai il bravo figlioletto.»
«Guarda che sto parando il culo anche a te» dico con un sorrisetto ironico.
Eh. Questa sera sono praticamente lo sfigato per eccellenza, che esce con i suoi per non farli dispiacere. In pratica Carlos si sarebbe impiccato se fosse toccato a lui, così, per evitargli rogne e considerando che questa sera non avevo impegni, mi sono proposto di andarci io.
Mamma e papà sono sempre molto orgogliosi di mostrarci ai loro amici.
Questo mi fa sentire come un piccolo cagnolino dal pelo lungo, che tutti hanno voglia di accarezzare. Finisce sempre così.
Tutti a scuotermi i ricci, a dirmi cose però non direttamente. Eh già. Ogni persona adulta parla ai miei genitori dicendo "quanto è carino, ti somiglia molto. E che capelli! Educatissimo! Che scuola frequenta? Quanti anni ha?" Come se non fossi lì. Queste serate le passo a mangiare tanta pizza e ascoltare delle chiacchierate che dimenticherò il giorno dopo.
«Allora, almeno mi dici dove vai?»
«Jared è stato invitato a un festa. Dice che c'è tanta gente.» Mordo il labbro abbassando la testa.
«Vuoi venire anche tu? Mollali, cosa ti importa? Una volta tanto... poi, Sonny-boy, la devono smettere con questa storia. Mi sento ogni volta un animale impagliato.»
Non vedo solo la sua espressione davanti a me, guardo anche il suo profilo nello specchio ed è come avere una visuale completa di lui. Ha un espressione così sopraffatta ed esausta che inizio a ridere senza controllo.
Vado ad abbracciarlo. Resto con la testa sulla sua spalla ascoltando quel respiro tranquillo.
«Ah, caro il mio fratellino.»
«Lo sai che nessuno di noi due riuscirà mai a negargli queste cavolate.»
«Perché gli vogliamo così bene? Non è giusto.» Ritorno a ridere.
«Magari il contrario non sarebbe giusto...»
«Di solito gli adolescenti odiano i genitori. E' un periodo.»
«Ma tu non sei un adolescente.»
«Cazzo, ovvio che no! Ma lo sono stato, e tu lo sei.»
Mi stacco, resto a fissarlo facci a faccia con le mani sui fianchi.
«Siamo migliori degli altri.»
Carlos assume la posa di Superman e dice «noi non attraversiamo l'adolescenza, la scavalchiamo. Forza Jones!»
Quando Jared passa a prendere Carlos, mi rinchiudo in camera evitandolo per la centesima volta. So che ha capito. Sento i suoi pensieri vibrare in lontananza, sento che in qualche modo mi chiama.
Un suono lontano.
Un potere che hanno le persone che amiamo.
Ci chiamano, urlando quanto siamo deboli.
Dopo poco usciamo anche noi. Papà in auto mette il disco di Abel Korzeniowski, il suo compositore Polacco preferito. Piace anche a me.
In auto penso tanto, posso affermare che mi ha accompagnato in viaggi mentali lunghi il doppio della meta in cui stavo andando.
Seduto al ristorante, tra gente estranea, sorrisi contagiosi e profumo di cibo, mi accorgo che in questo momento io e Jared siamo lontanissimi. Però so che lui è qui, nella mia stessa cittadina, lontano ma vicino.
Lontano, ma recuperabile. Eppure non mi fa sentire meglio.
Ingoio la pizza con delicatezza, gustandola pian piano. Sento il formaggio scivolarmi rovente sulla lingua, facendomi andare le papille gustative in tilt per il sapore buonissimo e frizzante, e poi scivola lungo la gola.
Papà è immerso in un discorso sui famosi anni ottanta e alle grandi avventure passate. Sorrido guardando il suo viso radioso, con quelle rughe che spuntano a ogni smorfia, eppure in questi momenti lo sento un ragazzino come me, che si lascia sporcare ancora dal profumo della gioventù.
Afferro il cellulare e inizio a spulciare la bacheca del social, poi eccoli. Dei selfie appena pubblicati. Ancora, ancora e ancora. Jared che tocca un'altra, che si lascia toccare, che guarda con quell'intensità che agogno io. Lui è così.
Ma nemmeno questa volta sono abituato, il dolore sale improvviso investendomi ancora.
Osservo le foto, vedo solo le sue mani che toccano, vedo gli occhi. Non riesco a vederne il contorno. Sono spesso sul suo contatto ma non aggiunge mai delle foto sue, solo piccole cose. Foto di panorami. Foto di oggetti. Parole. Brevi e grigie.
In quella pagina non c'è niente di lui, proprio quello che era intenzionato a creare.
E so che una volta tornato a casa eliminerà anche queste che ha pubblicato Carlos.
Una ad una le salvo sul telefono.
Non faccio altro che racimolare punti deboli in questo periodo. Non so che mi prende, perché fino ad oggi non mi sono mai comportato in modo così sentimentale.
Ed ecco che si ritorna alla vecchia questione: non mi sono mai innamorato!
Inizialmente mi divertiva giocare a questo folle slancio di fantasia e ammirare un ragazzo fuori dalla mia portata. Solo che il gioco ti porta alla dipendenza, e chissà quando avevo smesso di giocare con la consapevolezza di dover perdere e aver iniziato a giocare con la convinzione che invece non è mai detta l'ultima parola.
Ciò che sono, anche se pochi l'hanno visto, è tutto quello che ho, ed è anche la mia forza più grande.
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Dietro cementi di parole
Romance«Che cosa stai facendo, ragazzino? Entri nella mia testa, mi confondi con questi capelli. Non riesco più a essere lucido. Mi provochi, lo fai in continuazione. Giochi con il fuoco.» [...] «Perché io, Sonny? Che cosa te ne farai di queste briciole?» ...