24-Irene

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{CONTENUTI NON ADATTI A PERSONE SENSIBILI O IMPRESSIONABILI}

Quella notte non dormii molto. Non riuscivo a togliermi dalla mente Arsène legato e torturato per colpa mia. Ed io non ho saputo nemmeno trattarlo bene quando invece cercava soltanto di aiutarmi.

La mattina mi svegliai molto presto e mi guardai allo specchio. Avevo due occhiaie che mettevano paura, le guance ancora umide per le lacrime e gli occhi gonfi arrossati dal pianto. I miei capelli erano un disastro e non potevo nemmeno sistemarli, non avevo la spazzola. Il mio vestito era sporco di sangue, era stropicciato e strappato.

In un secondo mi tornarono alla mente tutte le persone che avevo ucciso ieri sera e le loro grida. Mi meritavo tutto questo. Era la mia punizione a tutto il dolore che avevo causato, anche ai miei amici.

Ero diventata irriconoscibile, un disastro della natura. Gli anni qui a New York sicuramente non mi avevano fatto bene.

Mi venne da piangere ma ricacciai dentro le lacrime e strinsi i pugni. Non avevo più 12 anni e non ero nemmeno più una bambina.

Cominciai a respirare lentamente chiudendo gli occhi. Quante persone adesso starebbero meglio se io non ci fossi? Molte, soprattutto Arsène che si è illuso di amare una persona a detta sua fantastica ma che in realtà è solo una spietata assassina che si maschera dietro al dovere verso l'America e la difesa personale dai boemi. In questo momento poteva stare tranquillamente con suo padre a visitare la città o a prepararsi per un altro spettacolo e invece... solo il pensiero mi faceva male.

Alla fine cedetti; cominciai lentamente a piangere.

Una lacrima, poi un'altra e un'altra ancora e da lì non riuscii più a smettere.

Presi la prima cosa che trovai vicino a me e, in un impeto di rabbia, la tirai sul letto. Stavo letteralmente perdendo il controllo.

Corsi verso la porta della mia stanza e la chiusi a chiave. Mi appoggiai alla porta con la schiena e scivolai lentamente a terra.

Stavo impazzendo! Nella mente continuavano a rigirare sempre le stesse immagini e gli stessi suoni. Gente che muore, persone ferite, amici traditi.

Cercai di tirarmi nuovamente su in piedi e mi appoggiai alla scrivania con tutto il peso del mio corpo e il fardello che portavo sulle spalle da quel giorno, quel benedettissimo giorno in cui partii per l'America insieme a mia madre lasciando i miei due grandi amici sul porto a salutarmi senza poterci dire niente.

Cacciai un urlo fortissimo e caddi nuovamente a terra in ginocchio. Portai le mani tra i capelli cercando di calmarmi ma niente. La testa mi stava per esplodere. I miei singhiozzi si sarebbero potuti udire da distanze enormi.

Anche mia madre era delusa e non solo! Per colpa mia anche Geneviève era morta e ho rovinato la vita al mio padre adottivo Leopoldo. Per non parlare poi del povero Orazio Nelson, obbligato a seguirmi ovunque e a rischiare la vita sempre... Quanto sarebbe stato meglio e più tranquillo senza di me?

Presi la scarpa vicino a me e non so perché, come se fossi impossessata, mi guardai allo specchio e vidi solo un'assassina ridotta in uno stato pietoso e disgustoso. Mi veniva da vomitare solo a guardarmi.

Presi la cosa che avevo più vicino, la mia scarpetta, e la tirai con tutta la forza possibile contro lo specchio che si ruppe in mille pezzi, sperando che quel suono potesse coprire i miei orribili e fastidiosi pensieri, mentre in testa avevo sempre e solo gli sguardi delusi e arrabbiati delle persone a volevo più bene.

"Irene, Irene tutto bene?" mi chiese Sherlock bussando alla porta cercando di entrare.

"Vattene! Sarà meglio per tutti!" urlai con la bocca impastata dal pianto.

"No! Che succede? Dai apri!" mi disse nuovamente con un tono pienamente preoccupato.

Mi alzai in piedi camminando lentamente verso la porta. Appoggiai la mano sulla superficie verticale e sussurrai sperando mi sentisse.

"Mi dispiace. Ti ho fatto solo del male, VI ho fatto solo del male!"

"Irene, non fare cazzate! Apri questa porta e parliamone." disse nuovamente preoccupato.

Passai la manica della camicia da notte in faccia per asciugare i miei occhi offuscati dalle lacrime. Sembrava non avessi nemmeno più il controllo del mio corpo: prendevo cose a caso e le tiravo, urlavo senza motivo, facevo passi avanti e indietro...

Non so come mi ritrovai la mia pistola nella mano e spalancai gli occhi. Andai come ipnotizzata verso lo specchio rotto e fissai la persona riflessa che ormai non ero più.

Feci un respiro profondo. Uno sparo, un solo sparo per liberare tutte le persone a cui volevo bene di un inutile peso. Per liberare la mia mente da questo enorme fardello. Per liberare il mondo di un peso enorme.

Mi appoggiai la pistola sulla tempia. All'inizio fu sono un gioco quasi surreale, come se tutto ciò non fosse vero. Come se l'immagine riflessa potesse essere solo un dipinto che stavo tranquillamente guardando al museo, mano nella mano con mio padre Leopoldo e il fedele Orazio sempre con noi.

Sorrisi alla visione di ciò e come impazzita iniziai a ridere. Ridere, ridere; sempre di più, sempre più forte fino a premere definitamente il grilletto.

Un boato, un solo rumore sordo che in poco tempo si placò come se già tutti si fossero scordati di me.

Caddi a terra. Il pavimento era gelido. Sentivo il mio sangue caldo uscire dal buco sulla testa.

Sorrisi un ultima volta e chiusi definitivamente gli occhi pensando di non poter più dare finalmente problemi a nessuno.

Il mondo era finalmente libero del suo più grande problema che stava lentamente scendendo all'inferno.

Un ultima cosa... É vero che dopo che ci si é sparati in testa si possono sentire e vedere i ricordi dell'intera vita; una vita schifosa nel mio caso.

𝖀𝖓 𝖆𝖒𝖔𝖗𝖊 𝖒𝖔𝖗𝖙𝖆𝖑𝖊 - 𝓢𝓱𝓮𝓻𝓵𝓸𝓬𝓴, 𝓛𝓾𝓹𝓲𝓷 𝓮 𝓘𝓸Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora