34- Arsène

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Eravamo tutti e tre sul tetto del teatro dove avevamo incontrato Irene. Avevamo scelto quel posto perché così prima avremmo fatto rifornimento di armi e munizioni al negozio e se saremmo dovuti scappare sapevamo già la strada da prendere anche se ci eravamo stati una volta sola.

"Quindi siamo dei mega bersagli umani, dico bene?" chiesi rivolto all'ideatrice d quel piano fantastico. "Nessuno ha pensato che potrebbero avere dei cecchini?" ridomandai.

"Se non ti sta bene non frignare. Quella è la porta e ciao." mi rispose Holmes all'esasperazione.

"Senti io ci tengo alla mia vita!" dissi girandomi verso la porta e soppesando l'idea di scendere da lì. "Non prendetela sul personale, ma io ho fame. Voi volete qualcosa?" Sherlock fece di no con la testa mentre la rossa rimase a fissare l'orizzonte.

"Irene?" insistetti.

"No, grazie" rispose lei. Feci spallucce e giunsi davanti alla porta. "Torno tra poco, cedete di non farvi uccidere prima del mio ritorno." dissi cercando di alleggerire la tensione, ma senza successo.

Mi appoggiai allo stipite della porta sospirando.

"Vi ringrazio per quello che fate, infondo è mio padre; ma davvero pensate che per lui valga la pena rischiare la vita fino a questo punto?" nessuna risposta. "Ok, fate come vi pare!" risposi e scesi giù per le scale uscendo dal teatro.

Feci quasi una corsa per arrivare davanti al bar, entrai spingendo la porta in vetro e sistemai il bavero della giacca salutando un paio di giovani signorine sedute dietro alla porta. Avanzai con calma fino al bancone e mentre aspettavo il mio turno sentii una mano che mi stringeva la spalla; agii per istinto: strinsi quella mano facendone girare il possessore e spingendolo contro il bancone. Tutti si girarono a guardarci e notai chi era il mio assalitore.

"Anne!"

"Arsène! Vacci piano, volevo scherzare cavoli." la lasciai sorridendo imbarazzato.

"Scusami è che non ti avevo sentito."

"Pensavi fossero i boemi?" chiese in un sorrisetto sghembo. Risi nervoso guardandola, mi metteva quasi in soggezione.

"Si." ammisi, un monosillabo solamente.

"Dunque... Prendi qualcosa?" fece lei facendomi scuotere dal suo viso e indicandomi la vetrinetta del cibo con il padrone leggermente alterato sopra di esse. Ordinai ciò che serviva a me e qualcosa per i miei amici se necessario. Lei ordinò un semplice tè verde che bevve in un minuto soltanto sotto il mio sguardo stupito e poi mi chiese:

"Devi andare da qualche parte?"

"No, nessun posto di speciale. Ti va di andare a fare una passeggiata?" le chiesi addentando il mio sandwich e porgendole il braccio, lei accettò volentieri e lasciai che Anne decidesse la direzione.

"Immagino prima o poi dovrai tornare in Francia." dedusse lei spiazzandomi.

"In verità si, ma alcuni contrattempi mi stanno intrattenendo in questa splendida città; senza contare poi le splendide damigelle qui presenti." risposi vagando con lo sguardo verso i grandi palazzi e notando, con la coda dell'occhio, che lei era arrossita.

Facemmo una piacevole passeggiata tra i giardinetti di Central Park chiacchierando di tutto ciò che ci passava per la mente. Scoprii, con molto piacere, che avevamo molte cose in comune, più di quelle che mi sarei mai aspettato. Le insegnai qualche trucchetto che si utilizzava al circo e lei qualcuno che insegnavano all'accademia.

Passai dei momenti talmente spensierati che mi ricordai dei miei amici solo nel momento che sentii dei colpi di arma da fuoco riecheggiare nell'aria seguita da diversi spari.

Di colpo mi girai in direzione del teatro sentendomi sempre più uno schifo.

"Devo andare, scusami." e la piantai lì, correndo come un ossesso e sbattendo molte volte contro dame da grossi vestiti e gentiluomini intenti a scappare dalla parte opposta.

Corsi il più velocemente possibile ma quando arrivai davanti al portone dell'edificio capii che era già troppo tardi. Sarebbe stato tutto inutile.

𝖀𝖓 𝖆𝖒𝖔𝖗𝖊 𝖒𝖔𝖗𝖙𝖆𝖑𝖊 - 𝓢𝓱𝓮𝓻𝓵𝓸𝓬𝓴, 𝓛𝓾𝓹𝓲𝓷 𝓮 𝓘𝓸Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora