35- Sherlock

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Stavo cercando il più possibile di sembrare forte e deciso, un adulto insomma. Eppure in una parte remota del mio cervello continuava a riecheggiare le ultime parole di Arsène. Guardai Irene che con il suo solito sguardo di marmo fissava il vuoto e tra le mani stringeva il binocolo.

"Sei sicura?" le chiesi guardandola. "Arsène ha ragione, potrebbe essere pericoloso." mi guardò da sopra la spalla sospirando e non dicendo niente per svariati secondi, a rompere il silenzio solamente il rumore dei nostri respiri.

"Se vuoi scendere, vai. Non ti tengo qui." ritornò a guardare il vuoto sotto di noi trattenendo il respiro.

"Non voglio scendere, no senza di te." la voce mi uscì dura e lo sguardo freddo e tagliente. La sua faccia si scaldò leggermente con un sorriso ma non fu abbastanza.

"Ma Lupin ha ragione, tutto questo non vale le nostre vite!"

"Sono in debito con lui! Con voi." sbottò lei girandosi di scatto verso di me. Aspettai qualche second prima di rispondere:

"Per cosa?" lei tentennò un poco; aprì la bocca per parlare ma poi la rischiuse. Abbassò lo sguardo e si rivoltò nuovamente di spalle.

"Per cosa? Per essere andata via?" una lacrima scintillò controluce sul suo volto ed io mi sentii terribilmente male. Una lampadina mi si accese in testa.

"No, non è per questo" feci qualche passo in più e le appoggiai una mano sulla spalla. Lei fece di no con la testa.

"Parlami, ti prego." Era scossa da singhiozzi, aveva i brividi, le lacrime continuavano a scendere intoccate per le guance.

"Irene..."

"Non ce la faccio più! Ti prego." esplose urlando asciugandosi le guance con la manica del vestito. "Non riesco più; tutto questo è orribile, la mia vita è orribile! Sono sempre in fuga, non so mai dove andrò, sono sempre in pericolo e non è mica finita qui! Non posso stare tranquilla a godermi il momento, non posso avere amici per paura che si possano far male per colpa mia; mia madre poi è insopportabile che cerca in tutti i modi di tenermi chiusa in casa o offrirmi al miglior offerente per farmi cambiare nome o concedermi protezione. Non mi piace nemmeno New York, non ha la metà del fascino di Londra o Parigi, sono tutti grattacieli e quasi niente verde se non Central Park." sudava, urlava, si agitava e piangeva tantissimo. Aveva bisogno di sfogarsi da molto tempo, ma ora ero lì io. L'abbracciai da dietro e sentii il suo respiro calmarsi un poco.

"Non dovevate venire qui, vi ho fatto solo del male. Non sarei dovuta andare a teatro e voi sareste dovuti rimanere in Europa."

"No, no, non dire così. Se non saremo venuti non avremo mai potuto aiutarti."

"Non mi avete aiutato! Vi siete solo fatti del male; te, ma soprattutto Arsène che sta rischiando di perdere suo padre ed è stato preso più volte solo perché mi voleva 'aiutare'." ci fu un momento di silenzio che usai per riflettere ed in poco tempo tutti i punti erano collegati.

"Dunque è per questo che hai provato a suicidarti. Perché volevi liberarti da questo peso senza farci del male?" lei annuì quasi di nascosto. "Non avevi pensato che noi avremmo provato a fermarti o che comunque avremo sofferto per la tua morte?"

"No, no, in verità no; mi premeva solamente al mondo il mio fardello e poter far vivere meglio tutti."

"Ma non è assolutamente vero! Non dai fastidio a nessuno, sei un grande aiuto per me, lo sei sempre stata." le asciugai le lacrime con i pollici. "Cosa è successo quella mattina?"

"Quella notte non dormii molto. Non riuscivo a togliermi dalla mente Arsène legato e torturato per colpa mia. Ed io non avevo saputo nemmeno trattarlo bene. Ero diventata irriconoscibile, un disastro della natura: avevo due occhiaie che mettevano paura, le guance ancora umide per le lacrime e gli occhi arrossati dal pianto. I miei capelli erano un disastro e il mio vestito era sporco di sangue, era stropicciato e strappato."

"Ti sei uccisa solo per il tuo aspetto?" scherzai, ma forse era il momento sbagliato.

"No, no ovvio. Per tutto il resto, in testa avevo un momento di confusione ed ho, non so come chiamami pazza, cominciato a sentire ripetutamente le urla e le voci di tutti quegli uomini che mi seguivano o che durante le missioni ho dovuto uccidere, rivedevo sempre in circolo il momento in cui siamo entrati ed abbiamo visto Lupin, il momento in cui sono partita per l'America e quel dannato momento in cui Geneviève è stata uccisa." il suo viso era intriso di lacrime e dai suoi occhi trapelava tutta la sa tristezza e disperazione.

Nel suo dolce volto vedevo soltanto la sua vogli di far finire tutto questo, il dolore la faceva sembrare più grande. Spostai lo sguardo sulle sue labbra; tremavano come foglie e fui tentato di metterci sopra un dito per farle smettere, ma mi venne un'idea migliore. Appoggiai solamente le mie labbra sulle sue chiudendo gli occhi e mi sembrò che per pochissimo tempo non si mossero più; quando rialzai lo sguardo staccandomi da lei, i suoi occhi erano stupiti e le sue labbra leggermente aperte. Alzò le braccia sulle mie spalle e, completamente colto alla sprovvista, prese la mia nuca e mi spinse nuovamente verso di lei. La baciai con passione, cercando di farla calmare e soprattutto di farle capire che qualcuno al mondo aveva, che qualcuno avrebbe dato tutto per vederla felice e che avrebbe girato l'intero mondo a piedi per arrivare da lei.

Non mi sarei mai staccato da quel momento se non fosse stato per un dolore lancinante al bacino. Mi staccai da lei quasi urlando di dolore, il rimbombo del colpo appena sparato ancora nell'aria. Abbassai lo sguardo e cadendo a terra e vidi che i miei pantaloni grigio scuro avevano un enorme chiazza rossa proprio dove il proiettile aveva forato la carne.

Irene mi prese per le spalle e mi portò al riparo dietro la porta ma in poco tempo fummo circondati da tipi enormi come armadi. Lei fece per prendere l pistola ma la fermai con mano tremante.

Ormai eravamo spacciati, non serviva combattere.

𝖀𝖓 𝖆𝖒𝖔𝖗𝖊 𝖒𝖔𝖗𝖙𝖆𝖑𝖊 - 𝓢𝓱𝓮𝓻𝓵𝓸𝓬𝓴, 𝓛𝓾𝓹𝓲𝓷 𝓮 𝓘𝓸Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora