Le lezioni del mattino erano finalmente finite, e mi sentivo esausta. La quantità di informazioni nuove, i volti sconosciuti, i corridoi affollati... tutto contribuiva a farmi sentire come se fossi stata catapultata in un mondo alieno. Non vedevo l'ora di fare una pausa e di respirare un po' d'aria fresca.
Martina e Andrea mi guidarono verso l'atrio, un ampio spazio illuminato da grandi vetrate che davano su un giardino interno. Qui gli studenti si riunivano durante le pause, chiacchierando e rilassandosi prima di tornare alle lezioni. Mi guardai intorno, cercando di abituarmi al caos ordinato di quella folla, mentre ci facevamo strada tra i gruppetti sparsi.
"Vieni, Liyana," disse Martina con un sorriso, "andiamo a prendere qualcosa da bere."
Mentre ci avvicinavamo al bar interno, notai un gruppo di ragazzi che si dirigeva verso di noi. Erano sei o sette, e tutti portavano un'aria di superiorità che non passava inosservata. Li vidi scambiarsi occhiate e ridacchiare tra loro mentre si avvicinavano. Istintivamente, sentii un brivido di disagio percorrermi la schiena.
Quando furono abbastanza vicini, uno di loro, un ragazzo alto con i capelli scuri e uno sguardo arrogante, si fermò proprio di fronte a noi. Mi osservò dall'alto in basso, con un'espressione sprezzante.
"Guardate un po', un'altra sfigata si è aggiunta al loro gruppo," disse, il tono intriso di veleno. Alcuni dei suoi amici risero, seguendo il suo esempio.
Sentii il cuore accelerare mentre il sangue mi affluiva al viso. Prima che potessi rispondere, un'altra voce si fece sentire, questa volta una ragazza dai capelli biondi e lunghi che stava accanto al primo ragazzo. "Ora pure gli arabi hanno soldi per frequentare i licei prestigiosi? Che ridere."
Quelle parole mi colpirono come un pugno allo stomaco. L'insulto era chiaramente diretto a me, e mi sentii paralizzata dall'imbarazzo e dalla rabbia che cresceva dentro di me. Guardai Martina e Andrea per vedere le loro reazioni, e trovai i loro volti tesi, ma non sorpresi.
"Lasciatela in pace," disse Andrea con voce ferma, fissando il gruppo. "Non vi ha fatto niente."
Un altro ragazzo dai capelli scuri e ricci scrollò le spalle con un sorriso sarcastico. "Non c'è bisogno di difenderla, Andrea. Vedrai che non durerà molto qui. Gente come lei non è fatta per stare in posti come questo."
Il gruppo si allontanò ridacchiando, lasciandoci lì in mezzo all'atrio, con le loro parole che ancora riecheggiavano nell'aria. Sentii un nodo formarsi nella mia gola, mentre il passato che avevo cercato di lasciarmi alle spalle riaffiorava con violenza. Quelle parole crudeli, quell'atteggiamento sprezzante... era come se stessi rivivendo momenti che avrei preferito dimenticare.
Martina si avvicinò a me, posandomi una mano sulla spalla. "Non devi fare caso a loro, Liyana," disse dolcemente. "Sono solo dei bulli. Si nutrono della debolezza degli altri. Il loro scopo è farti sentire inferiore, ma non devi dargli quel potere."
Annuii lentamente, ma dentro di me la tempesta era già scoppiata. Le parole di Martina erano confortanti, ma non riuscivano a cancellare l'amarezza che provavo. Non era la prima volta che mi trovavo di fronte a persone che giudicavano senza conoscere, che usavano la mia origine per ferirmi. Mi ero trasferita a Roma sperando di poter ricominciare da capo, ma in quel momento mi sembrava che il passato non mi avrebbe mai permesso di andare avanti.
Mentre cercavo di calmare la mia mente, le immagini del passato riaffioravano con una chiarezza dolorosa. Ricordai gli anni a Milano, quando per la prima volta avevo sentito quegli stessi insulti. Mi ero sempre considerata diversa, sì, ma non inferiore. Eppure, in quei momenti, era difficile non sentirsi piccola e vulnerabile.
"Non lasciarti abbattere da loro," continuò Martina, notando il mio silenzio. "Qui al Collodi, molti di noi hanno dovuto affrontare cose simili. Ma ci sono anche persone come noi, che non giudicano e che sono pronte ad aiutarti."
"Lo so," risposi, cercando di sorridere. "Grazie, Martina. È solo che... è difficile non prenderla sul personale."
Martina annuì comprensiva. "Lo capisco. Ma ricorda che non sei sola. E noi siamo qui per te."
Andrea, che era rimasto in silenzio fino a quel momento, aggiunse: "Esattamente. Non permettergli di rovinarti il primo giorno. Loro non valgono niente."
Mi guardai intorno, osservando gli altri studenti che continuavano a parlare, ridere, vivere le loro vite senza il peso di certi pregiudizi. Avevo sperato che qui potessi finalmente lasciarmi alle spalle tutto ciò, ma il passato aveva una strana tendenza a riemergere nei momenti peggiori.
Mentre mi stringevo la tracolla dello zaino, decisi che non avrei lasciato che quei bulli mi definissero. Ero più forte di quanto pensassero. Avrei dimostrato a me stessa, e a loro, che non avrei permesso al passato di rovinarmi il futuro.